Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11935 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 19/06/2020), n.11935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27900/19 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato a Lecce, Viale M. De Pietro

n. 11, presso l’avvocato Stefano Leuzzi, che lo difende in virtù di

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Lecce 19-26.7.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.S., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione

internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di aver lasciato il Pakistan “a causa della grave instabilità sociopolitica dello stesso”;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento B.S. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Lecce, che la rigettò con decreto 26.7.2019;

il Tribunale ritenne che lo status di rifugiato non potesse essere concesso perchè i fatti narrati dal richiedente non evidenziavano alcuna persecuzione per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale; che la protezione sussidiaria non potesse essere concessa perchè non ricorreva nella specie alcuna delle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; in particolare il ricorrente “non ha svolto alcuna allegazione che possa essere valutata in termini di rischio futuro di essere destinatario, in caso di rimpatrio, di sanzioni come la pena di morte o altri trattamenti inumani o degradanti”; che la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere accordata perchè nell’area “del Bangladesh” (così si legge a p. 7, quinto capoverso, del decreto impugnato) da cui proveniva il richiedente asilo non sussistevano situazioni di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da B.S. con ricorso fondato su tre motivi;

il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e segg. e il rigetto della domanda di rifugio; nonchè il vizio di omesso esame di fatti decisivi.

L’illustrazione di tale censura (pagine 3-7 del ricorso) consta di tre parti ben distinte, di problematico coordinamento tra loro.

In una prima parte (pagine 3-4) il ricorrente invoca il principio secondo cui nelle controversie aventi ad oggetto la domanda di riconoscimento della protezione internazionale il giudice non può limitarsi ad esaminare le dichiarazioni del richiedente asilo, ma deve anche d’ufficio ricercare elementi di prova “che altrimenti il richiedente non potrebbe procurarsi”.

Dopo aver affermato ciò, con evidente asindeto, il ricorrente passa ad invocare (pagine 4-6) il principio secondo cui il richiedente asilo non potrebbe mai essere respinto verso uno Stato nel quale sarebbe esposto al rischio di persecuzioni, ed afferma che nel caso di specie “se il ricorrente tornasse in patria subirebbe grave pericolo per la sua stessa incolumità” (il ricorso non spiega perchè); e che di conseguenza il tribunale avrebbe dovuto “applicare la presunzione di veridicità dei fatti raccontati dal richiedente”.

Quindi, in una terza parte della illustrazione del motivo (pagine 6-7) il ricorrente conclude chiedendo a questa Corte di “riesaminare la questione, accertando concretamente ed attualmente le condizioni che consentono all’appellante di godere della protezione internazionale, anche attraverso l’ampio potere istruttorio conferito dalla normativa (…), acquisendo anche d’ufficio ogni informazione necessaria a conoscere dell’ordinamento giuridico e della situazione politica del paese di origine del richiedente protezione”.

1.1. Nella parte in cui denuncia il vizio di omesso esame di fatti decisivi il motivo è manifestamente inammissibile. Tale vizio, infatti, viene annunciato nell’intitolazione del motivo, ma non viene minimamente illustrato.

1.2. Nella parte restante il motivo è del pari inammissibile, per due indipendenti ragioni.

In primo luogo il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, per deficitaria esposizione della censura che il ricorrente ha inteso prospettare.

Il ricorrente, infatti, lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e segg.”.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, è un testo normativo che contiene 34 articoli. In esso sono incluse norme sulla protezione internazionale, norme sull’istruzione, norme sull’attività lavorativa, norme sull’assistenza sanitaria, norme finanziarie, norme processuali, norme di diritto transitorio.

Sostenere, pertanto, in sede di legittimità che una decisione di merito debba essere cassata perchè ha violato “gli artt. 3 e segg.” d’un testo normativo è affermazione che impedisce a questa Corte di stabilire quale norma si assume essere stata violata; perchè sia stata violata; se sia stata violata.

1.3. La suddetta genericità non può essere superata nemmeno ricorrendo al principio jura novit curia, e badando al contenuto della illustrazione del motivo, piuttosto che alla sua intitolazione.

L’illustrazione del motivo, infatti, per quanto già detto, non consente di stabilire se con esso il ricorrente abbia inteso dolersi:

a) della violazione, da parte del giudice, del dovere di cosiddetta “cooperazione istruttoria”, di cui al D.Lgs. 25 del 2008, art. 8 (norma non invocata in alcun punto della illustrazione del motivo), come lascerebbe intendere l’esordio e la conclusione della illustrazione del motivo;

b) oppure della violazione, da parte del giudice, del principio di non respingimento, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, come lascerebbe intendere la parte centrale dell’illustrazione del motivo.

2. Col secondo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, da lui avanzata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c), (e dunque sul presupposto che nel proprio paese di origine esistesse una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato).

Deduce il ricorrente che il Tribunale, invece di accertare la situazione socioeconomica del Pakistan, paese di sua provenienza, si è soffermato ad analizzare la situazione sociopolitica del Bangladesh, paese con il quale l’odierno ricorrente non aveva alcuna relazione.

2.1. Il motivo è fondato.

Come già accennato, a pagina 7, capoversi quinto e seguenti, il Tribunale si sofferma ad analizzare la situazione geopolitica e di ordine pubblico del Bangladesh.

Tuttavia lo stesso tribunale, a pagina 2, p. 1, del decreto impugnato, aveva dichiarato – e la circostanza non sembra essere stata mai in contestazione tra le parti – che il ricorrente era un “cittadino pakistano”. Sussiste dunque una non sanabile incoerenza tra il fatto che il giudice di merito era chiamato ad accertare (se esistesse in Pakistan di uno stato di guerra), ed il fatto che il giudice di merito ha concretamente accertato (l’inesistenza in Bangladesh di uno stato di guerra).

Tale incoerenza comporta il vizio di nullità della sentenza.

Quest’ultima va dunque cassata con rinvio al tribunale di Lecce, in diversa composizione, affinchè, acquisendo anche d’ufficio informazioni attendibili ed aggiornate, accerti se nella regione di provenienza dell’odierno ricorrente sussista o meno una situazione “di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato”, per i fini di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

3. Col terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo. Nella illustrazione del motivo si sostiene che erroneamente il tribunale ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Sostiene il ricorrente di avere depositato, nel primo grado di giudizio, vari documenti dimostrativi del fatto che negli anni 2018 e 2019 aveva svolto in Italia attività lavorativa; che tali documenti erano stati trascurati dal tribunale; che se quei documenti fossero stati presi in esame il tribunale avrebbe dovuto accogliere la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, poichè “è evidente che il ricorrente, si è rimpatriato, tornerebbe nel suo paese dopo molti anni, nonostante abbia faticosamente costruito in Italia una onesta posizione lavorativa”.

3.1. Preliminarmente va osservato che il motivo in esame non resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso.

La decisione sulla richiesta di concessione della protezione sussidiaria, infatti, ha presupposti ed effetti diversi dalla decisione sulla richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. L’assorbimento, infatti, può essere proprio od improprio.

Si ha “assorbimento” in senso proprio quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno.

Si ha, invece, “assorbimento” d’una domanda in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande (ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 28663 del 27/12/2013, Rv. 629570-01).

Nel caso di specie non ricorre nè l’una, nè l’altra delle suddette ipotesi. Ed infatti l’accoglimento del ricorso sul punto del rigetto della domanda di protezione sussidiaria non fa venir meno l’interesse del richiedente asilo all’esame della impugnazione concernente il rigetto della domanda di protezione umanitaria, nel caso in cui il giudice di rinvio dovesse tornare a rigettare per la seconda volta la prima domanda. Analogamente, la decisione sulla domanda di protezione sussidiaria non è assorbente rispetto a quella sulla domanda di protezione umanitaria, nè il rigetto della prima comporta per ciò solo un implicito rigetto della seconda.

3.2. Ancora in via preliminare, deve rilevarsi l’inammissibilità della produzione dei documenti allegati dall’odierno ricorrente alla “memoria ex art. 378 c.p.c.” (così definita; in realtà il ricorrente ha solo depositato i documenti, senza svolgere alcuna illustrazione o memoria), produzione non consentita in questa sede.

3.3. Nel merito, il motivo è infondato, per due indipendenti ragioni (ciascuna delle quali, inoltre, di per sè sufficiente a sorreggere una pronuncia di rigetto).

In primo luogo il motivo è infondato perchè il tribunale non ha affatto trascurato di prendere in esame i documenti prodotti dall’odierno ricorrente attestanti lo svolgimento di attività lavorativa.

Il tribunale quei documenti li ha esaminati, ma ha ritenuto che essi non dimostrassero affatto “una sufficiente integrazione sul territorio dello Stato”; nè che rivelassero lo svolgimento di un’attività lavorativa regolare e sufficiente a fornire al ricorrente i necessari mezzi di sostentamento.

Il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, pertanto, non sussiste: lo stabilire poi se la valutazione delle prove documentali compiuta dal giudice di merito sia stata corretta o scorretta, è questione che esula dal perimetro del giudizio di legittimità.

3.4. In secondo luogo il motivo è comunque infondato perchè il ricorrente invoca, a fondamento di esso, una regula iuris inesistente. Il ricorrente, infatti, in sostanza deduce che deve ritenersi “vulnerabile”, per i fini di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e avrebbe per ciò solo diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, colui il quale dimostri di svolgere attività lavorativa in Italia.

Ma un principio di diritto siffatto non esiste nella legge scritta, nè è stato mai da questa Corte ricavato in via interpretativa.

Questa Corte ha, al contrario, già più volte affermato che lo svolgimento di attività lavorativa nel nostro Paese, da solo, non costituisce una ragione sufficiente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per più ragioni:

-) perchè la legge non stabilisce alcun automatismo tra lo svolgimento in Italia di attività lavorativa e la sussistenza di una condizione di “vulnerabilità”;

-) perchè il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura temporanea, mentre lo svolgimento di attività lavorativa, in particolare a tempo indeterminato, legittimerebbe un permesso di soggiorno sine die;

-) perchè la “vulnerabilità” richiesta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 17832 del 3.7.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17287 del 27.6.2019).

Lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, per contro, può essere solo uno dei fattori indizianti che, valutati unitamente a tutte le altre circostanze del caso concreto, può dimostrare la sussistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente asilo.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il primo ed il terzo motivo di ricorso;

(-) accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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