Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11930 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 19/06/2020), n.11930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27961/2019 proposto da:

D.K., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato Giovanna Frizzi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE VERONA;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRENTO, depositato il 13/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/02/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato a quattro motivi, D.K., cittadino del (OMISSIS), ha impugnato il decreto del Tribunale di Trento, reso pubblico in data 13 agosto 2019, che ne rigettava l’opposizione proposta avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale, a sua volta, ne aveva respinto l’istanza volta ad ottenere il riconoscimento, in via gradata, della protezione sussidiaria, nonchè di quella umanitaria.

A sostegno dell’istanza il richiedente deduceva di essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per il timore di essere imprigionato, come il padre, appartenente al partito (OMISSIS), alleatosi nelle elezioni del 2016 con il (OMISSIS), per il solo fatto di aver seguito ed aiutato il padre medesimo nell’attività politica.

2. – Il Tribunale di Trento, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: 1) non sussistevano i presupposti per la protezione sussidiaria in quanto: a) il narrato del richiedente presentava un’incoerenza interna derivante dalle contraddittorie dichiarazioni (diversità della data di abbandono del paese d’origine), dall’implausibilità dei fatti (il padre, incarcerato, che avrebbe carpito delle informazioni dal Governo), nonchè dalla vaghezza delle dichiarazioni stesse (incapacità di precisare il programma del partito a cui avrebbe aderito partecipando alla campagna elettorale, nonchè il ruolo politico ricoperto dal padre nell’ambito del partito indicato); b) era stato lo stesso richiedente a dichiarare l’insussistenza, allo stato, di alcun rischio per lui nel caso di rimpatrio e di non voler rientrare in ragione dell’assenza di alcun legame parentale; c) non vi era pericolo di arresti arbitrari e di torture, in caso di rientro in Gambia, dato il mutamento della situazione politica che, da un regime di dittatura, è passato ad un regime democratico (“condizioni generali di sicurezza” confermate dal “sito della Farnesina”); d) il luogo di abitazione del richiedente non era interessato da violenze indiscriminate di conflitto armato interno o internazionale, così come dichiarato dallo stesso K.; 2) non poteva riconoscersi il permesso per motivi umanitari in quanto, allo stato, il richiedente non svolgeva alcuna attività lavorativa in Italia.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.

Il ricorso è stato notificato anche alla Commissione territoriale, rimasta soltanto intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14, nonchè è dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per aver erroneamente il Tribunale, sulla base di una non corretta valutazione sulle condizioni di sicurezza dello Stato d’origine (Gambia), negato il riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), disattendendo, così, le numerose fonti prodotte dal ricorrente e comprovanti le moltissime e gravi criticità del Paese, nonostante l’abbattimento della dittatura con l’allontanamento di J..

1.1. – Il motivo è inammissibile.

Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (che richiede “la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”), incombe sul giudice il dovere di verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal richiedente, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 17075/2018).

Il ricorrente non censura la ratio decidendi del decreto impugnato che muove dall’accertamento di fatto, operato dal Tribunale, basato sulle stesse dichiarazione del richiedente in ordine alla insussistenza, allo stato, di alcun rischio per lui nel caso di rimpatrio e di non voler rientrare in ragione dell’assenza di alcun legame parentale, là dove, inoltre, il ricorrente medesimo assume solo genericamente e con deduzione priva di decisività, in base alle COI indicate in ricorso, l’esistenza di una situazione di instabilità e di violazione dei diritti umani non riconducibile affatto a quella di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” che costituisce il presupposto legale del riconoscimento della protezione sussidiaria invocata.

2. – Con il secondo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver il Tribunale omesso di pronunciarsi sulla domanda di riconoscimento dello status di protezione sussidiaria nell’ipotesi di danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

2.1.- Il motivo è infondato, giacchè il Tribunale non è incorso in alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo esaminato e, quindi, essendosi pronunciato anche sulla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), (“tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine”), escludendone la fondatezza (cfr. p. 4 del decreto e sintesi nel “Ritenuto che”).

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 25, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonchè è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver erroneamente il Tribunale negato il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, mancando di valutare i fatti oggetto della domanda e, in particolare, la mancanza di garanzie giudiziarie e la violazione dei diritti umani perpetrate nel Paese d’origine, nonchè il grado di integrazione del ricorrente e la situazione di vulnerabilità nella quale si verrebbe a trovare bel caso di rimpatrio.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., per aver il Tribunale rigettato la domanda in relazione alla protezione per motivi umanitari nonchè per non aver valutato il principio di non refoulement.

4.1. – Il terzo e il quarto motivo, distintamente rubricati ma argomentati unitariamente, sono inammissibili.

Giova, anzitutto, ribadire l’orientamento consolidato di questa Corte (cui si è attenuto il giudice del merito) per cui il diritto di asilo, al momento della pronuncia della decisione impugnata, era interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituito dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non residuando alcun margine di diretta applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3 (tra le altre, Cass. n. 16362/2016; Cass. n. 10686/2012).

Va, inoltre, rammentato che, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., S.U., 13 novembre 2019, n. 29459).

Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tale principio, là dove ferma l’inattendibilità del racconto reso dal richiedente, ha ritenuto non sussistere alcuna situazione personale di vulnerabilità, non essendo sufficiente a tal proposito il percorso d’integrazione intrapreso dal ricorrente nel nostro Paese.

Del resto, generici sono i principi della cui compromissione si duole il ricorrente (a fronte dell’accertamento sulla inattendibilità del racconto e sulle condizioni di tutela della libertà di religione nel Paese d’origine), come generico risulta il richiamo al principio di non respingimento.

A tal riguardo, l’istituto del divieto di espulsione o di respingimento previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, in cui si declina il più generale principio di non refoulement, resta in ogni caso inserito nel diverso contesto dell’opposizione alla misura espulsiva, che impone al richiedente di prospettare il concreto pericolo di essere sottoposto a persecuzione o a trattamenti inumani e/o degradanti in caso di rimpatrio nel paese di origine; la norma di protezione introduce invero una misura umanitaria a carattere negativo, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale, qualora tale condizione venga positivamente accertata dal giudice (Cass. 17/02/2011 n. 3898; Cass. 08/04/2019 n. 9762). Ciò posto, il ricorrente non provvede neppure a segnalare termini e modi per i quali l’invocato principio di non respingimento troverebbe applicazione in un sistema a tutela tipizzata qual è quello nazionale con cui è chiamato a confrontarsi il giudice del merito nella decisione di accordare, o meno, protezione umanitaria, non invocando neppure della direttiva comunitaria cd. rimpatri alcuna efficacia diretta verticale nei rapporti tra Stati membri e cittadini.

La censura, invero, si sostanzia in una sollecitazione alla Corte di legittimità di rivalutare i presupposti fattuali sottesi alla reclamata protezione umanitaria e ciò a fronte di una motivazione che, in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, ha evidenziato, con valutazioni in fatto, l’assenza di una condizione di soggettiva od oggettiva vulnerabilità del richiedente.

5. – Ne consegue il rigetto del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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