Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11930 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. un., 17/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 17/05/2010), n.11930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente di Sezione –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20108/2003 proposto da:

FALLIMENTO ARTI GRAFICHE DI G. PIZZI E C. S.R.L. ((OMISSIS)), in

persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA POLONIA 7, presso lo studio dell’avvocato PETRUCCI CLAUDIO, che

lo rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PESCHIERA BORROMEO ((OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

DITTRICH VINCENZO, per delega in calce alla copia notificata del

ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 894/2003 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/03/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito l’Avvocato Claudio PETRUCCI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Milano, con sentenza del – 2 ottobre 2000 ammetteva con riserva in via privilegiata il credito di L. 43.873.000 preteso dal comune di Peschiera Borromeo, insinuato tardivamente nel passivo del Fallimento Arti grafiche Pizzi & s.r.l. per l’imposta comunale sugli immobili (ICI) relativa agli anni 1993, 1994 e 1997; ed in via chirografaria quelli per sanzioni ed accessori.

L’impugnazione del Fallimento relativa alla costituzione del privilegio è stata respinta dalla Corte di appello di Milano, con sentenza del 18 marzo 2003, in quanto; a) il richiamo dell’art. 2752 c.c., u.c., alla legge per la finanza locale deve essere inteso come riferibile a tutti i tributi dei comuni e delle province e non solo ai tributi previsti dal R.D. 14 settembre 1931, n. 1175: anche perchè ribadito nella nuova formulazione dell’art. 2752 c.c., disposta dalla L. n. 426 del 1975, art. 3; b) a nulla rilevava l’espresso riconoscimento dello stesso privilegio per altri tributi previsti dal D.Lgs. n. 507 del 1993, come la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritte sulle pubbliche affissioni: in quanto semmai il riconoscimento del privilegio per tali tributi di minore rilevanza contribuiva a rendere evidente l’irrazionalità di un’interpretazione che escludesse dal privilegio la primaria fonte di finanziamento dei comuni; c) conseguentemente anche l’imposta comunale sugli immobili, introdotta dal D.Lgs. n. 504 del 1992, di attuazione della Legge Delega n. 421 del 1992 per il “riordino della finanza degli enti territoriali”, doveva considerarsi assistita dal privilegio mobiliare di cui all’art. 2752 c.c., benchè non espressamente previsto.

Per la cassazione della sentenza il Fallimento ha proposto ricorso per un motivo; cui resiste l’amministrazione comunale con controricorso.

Con ordinanza 26 settembre 2007 n. 19945, la 1^ sez. civile della Corte ha ritenuto la questione di particolare importanza ed ha rimesso la trattazione del ricorso alle Sezioni unite.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il ricorso il Fallimento Arti Grafiche di G. Pizzi e C. s.r.l. deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 14 preleggi, degli artt. 2740, 2745 e 2746 c.c., della L. 29 luglio 1975, n. 426, della L. 23 ottobre 1992, n. 421, D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 4, nonchè vizi di motivazione, censura la decisione impugnata: a) per non aver considerato che già nel sistema originario del codice civile i crediti dei comuni per imposte fondiarie erano esclusi dal privilegio generale sui mobili, riconosciuto dall’art. 2752 c.c., u.c., essendo essi assistiti dal privilegio speciale sugli immobili previsto dall’art. 2773, abrogato poi dalla L. n. 426 del 1975, art. 9, che, modificando l’art. 2780, la L. n. 426 del 1975, art. 14, riconobbe al privilegio per l’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili, previsto dall’art. 2772, così come modificato dall’art. 8, della Legge citata, il medesimo grado spettante in precedenza ai tributi previsti dall’art. 2773; b) che la L. 426 del 1975, art. 3, nel modificare l’art. 2752 c.c., comma 3, aggiunse un esplicito riferimento anche all’imposta comunale sulla pubblicità e al diritto sulle pubbliche affissioni, che non sarebbe stato necessario se il ribadito richiamo alla legge per la finanza locale dovesse essere inteso nel senso ritenuto dai giudici del merito : perciò non consentendo l’interpretazione dell’art. 2752 c.c., u.c., quale norma in bianco, riferibile a tutti i tributi locali, anche se istituiti successivamente; c) che attesa la sua natura patrimoniale e fondiaria, deve escludersi che l’I.C.I. possa essere assistita dal privilegio generale sui mobili, riservato alle imposte personali. Le suesposte censure sono infondate.

Il ricorso pone la questione dell’applicabilità del privilegio generale sui mobili posto dall’art. 2752 c.c., ai crediti per tributi locali che come l’I.C.I., introdotta dal D.Lgs. n. 504 del 1992, non potevano essere previsti dal R.D. n. 1175 del 1931, ritenendosi,allorquando è entrato in vigore il cod.civ. del 1942 che il riferimento generico ai tributi previsti dalla legge per la finanza locale, contenuto sia nell’art. 2752 c.c., che nell’art. 2773 c.c., equivalesse ad un rinvio di natura materiale agli specifici tributi indicati dal R.D. n. 1175, art. 298, che li individuava e li esauriva.

Per tale ragione parte della giurisprudenza di merito e degli studiosi, soprattutto negli anni successivi, hanno prospettato un’interpretazione testuale e storica dell’art. 2752 c.c., muovendo dal suo contenuto originario e rilevando: a) che mentre i crediti dello Stato vennero individuati con riferimento al genere del tributo (tributi diretti o indiretti, fondiari o personali), i crediti dei comuni e delle province lo furono con riferimento specifico al singolo tributo (imposta di consumo, imposta sulle industrie, i commerci, le arti e le professioni e relativa addizionale). Sicchè lo stesso riferimento generico ai tributi previsti dalla legge per la finanza locale, contenuto sia nell’art. 2752 c.c., sia nell’art. 2773 c.c., non poteva che valere ad individuare gli specifici tributi previsti dal R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, ed avere una funzione di delimitazione dell’ambito di applicazione del privilegio; b) altrimenti al richiamo generico ai crediti per i tributi diretti dello Stato il legislatore avrebbe affiancato il richiamo altrettanto generico ai crediti per le imposte, tasse e tributi dei comuni e delle province; e sarebbe stata inutile anche la precisazione, contenuta nella stessa disposizione, che accorda il detto privilegio pure ai crediti previsti “dalle norme relative all’imposta comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle pubbliche affissioni”, ove il riferimento alla legge per la finanza locale avesse dovuto intendersi relativo a qualsiasi legge istitutiva d’imposta, tassa e tributo dei comuni e delle province”; c) che è poi significativo che il successivo D.Lgs. n. 507 del 1992, abbia espressamente riconosciuto il privilegio anche ai crediti per la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani nonchè per la tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, oltre che ai crediti per l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni; mentre il coevo D.Lgs. n. 504 del 1992, non abbia riconosciuto il privilegio per l’imposta comunale sugli immobili.

A questa interpretazione ha di recente aderito Cass. 7309 del 2006, sia pure con riferimento al credito relativo all’imposta comunale per l’esercizio di imprese,arti e professioni (ICIAP) istituita con la legge 144 del 1989, osservando altresì che il regime dei privilegi per il contenuto limitativo che presenta nei confronti del debitore non solo non può essere interpretato, in caso di mancata previsione espressa, in via analogica, ma è di stretta interpretazione e non può essere esteso ad altre imposte se non nelle ipotesi legislativamente previste.

Da qui la conclusione che il riconoscimento del privilegio ex art. 2752 c.c., è alternativamente subordinato all’inclusione del tributo tra quelli previsti dal R.D. n. 1175 del 1931, ovvero ad un’espressa disposizione di legge, di esso istitutiva.

3. Sennonchè tale sistema ha subito profonde modificazioni per effetto della L. n. 426 del 1975, con la quale si è proceduto al riordino dei privilegi relativi ai crediti tributar, al fine di assicurarne la conformità emergente dalla riforma tributaria del 1972: nell’ambito della quale furono abolite le sovrimposte comunali e provinciali fondiarie e gli altri tributi locali aventi riferimento a beni immobili, nonchè la maggior parte dei tributi previsti dal R.D. n. 1175. Ed è stato in particolare modificato (art. 3) l’art. 2752 c.c., con riguardo ai crediti per tributi dello Stato, mentre l’ultimo comma ha mantenuto il richiamo ai tributi “previsti dalla legge per la finanza locale”, estendendo il privilegio sui mobili ai crediti per imposta comunale sulla pubblicità e per diritti sulle pubbliche affissioni.

Per cui, già dopo la riforma del 1972, le Sezioni Unite con la sentenza 19 gennaio 1974 n. 159, pur con riferimento al contributo dovuto al comune per acqua potabile e senza affrontare ex professo la questione condivisero l’affermazione della Corte di appello, che detto contributo si inquadrava tra quelli dovuti ai comuni e dichiararono che anch’esso doveva considerarsi assistito dal privilegio generale sui mobili ai sensi dell’art. 2752 c.c., comma 3.

La tesi della natura formale del rinvio dell’espressione tributi “previsti dalla legge per la finanza locale”, a tutti i tributi locali, anche se istituiti successivamente si è sviluppata dopo la L. n. 425 del 1976, ed è divenuta prevalente in seguito al D.Lgs. n. 504 del 1992, istitutivo dell’ICI: essa si fonda soprattutto sulla ricostruzione sistematica della disciplina dei tributi locali e sulla sua evoluzione storica; muove dalla constatazione che ormai non è più a parlarsi del testo unico del 1931 integralmente sostituito dalla nuova disciplina,, cui deve ora essere riferito il rinvio contenuto nell’art. 2752 c.c.; e risponde principalmente ad un tentativo di razionalizzazione, inteso soprattutto a evitare che il principale tributo locale, che è proprio l’I.C.I., rimanga sprovvisto della garanzia di un privilegio riconosciuto a molti altri tributi minori.

4. Le Sezioni Unite ritengono di dover recepire quest’ultimo orientamento.

E’ certamente plausibile ritenere che il legislatore del 1942 con l’istituzione del privilegio mobiliare di cui all’art. 2752 c.c., u.c., intendesse riferirsi proprio al R.D. n. 1175 del 1931, costituente all’epoca il testo normativo che rappresentava una legislazione organica in materia di tributi locali; e che l’espressione “legge per la finanza locale” in luogo del richiamo diretto al R.D. del 1931 fosse necessitata dal fatto che all’epoca della promulgazione del codice civile alcuni dei tributi in esso indicati avevano già cessato di far parte di detta legge ed erano stati trasferiti nella legge comunale e provinciale app. con R.D. n. 383 del 1934.

Ma proprio questa circostanza dimostra che la norma fin dal suo testo iniziale fu strutturata in modo da non rivolgersi ad una legge specifica istitutiva della singola imposta – tanto meno coincidente con il solo T.U. del 1931 – ma intese rinviare all’atto astrattamente generatore dell’imposizione nella sua lata eccezione onde consentire,come puntualmente rilevato dalla sentenza impugnata, l’aggregazione successiva di norme ulteriori in ragione della materia considerata:quali appunto (all’epoca della promulgazione del codice) quelle del T.U. del 1934 dettate in tema di finanza locale (e secondo alcune decisioni quelle del R.D. n. 1775 del 1933; nonchè del R.D.L. n. 338 del 1939): anche perchè la disposizione in esame specificava altresì quali tributi restavano esclusi, individuandoli nei “tributi indicati dagli artt. 2771 e 2773 c.c.”, che beneficiavano di specifici privilegi immobiliari.

Questa finalità trova conferma nella Relazione del Guardasigilli al Re nella quale non solo non vi è alcun cenno al R.D. n. 1175, ma si legge che l’estensione ai tributi degli enti locali del privilegio generale previsto per i tributi diretti dello Stato è stata determinata dall’esigenza di “porre in armonia il sistema del codice con la legge della finanza locale”: perciò attribuendosi già allora al rinvio carattere formale, onde armonizzare la disciplina delle cause di prelazione con quella della finanza locale, senza escludere nell’ambito applicativo del privilegio quei tributi che fossero stati trasferiti in altre disposizioni di legge o fossero stati istituiti da leggi successive al T.U. del 1931.

La riferibilità del privilegio a tutti i tributi locali, indipendentemente dalla loro inclusione o riconducibilità al R.D. suddetto non è più revocabile in dubbio per effetto della L. n. 426 del 1975, posto che già in epoca ad essa anteriore i tributi previsti dal T.U. erano stati quasi tutti soppressi; e che malgrado la legge suddetta avesse abolito numerosi privilegi, fra cui quelli immobiliari degli enti locali di cui ai menzionati artt. 2771 e 2773 c.c., l’art. 3, ha espressamente mantenuto nel testo dell’art. 2752 c.c., comma 4, l’espressione “tributi…previsti dalla legge sulla finanza locale” dopo le riforme del tempo letteralmente riferibile all’intera legislazione in materia di tributi locali.

Ed anzi, essendo venuto meno qualsiasi collegamento anche sotteso con il T.U. del 1931 ovvero con le leggi successive,ma già esistenti alla data di entrata in vigore del codice civile, non vi è più spazio per ritenere che il legislatore in mancanza di precisazioni al riguardo abbia inteso riferirsi alle sole norme allora vigenti; e l’insistenza su una tecnica di produzione normativa che consiste nel dare rilevanza alla fonte delle norme richiamate, non consente – se non incorrendo in una “interpretatio abrogans” del comma 4, che la L. del 1975 dichiarava,invece, di voler mantenere in vigore – di introdurre detto limite, ma conferisce valore alle disposizioni che essa è in grado di produrre di volta in volta: e quindi induce a comprendere nell’ambito di operatività del privilegio tutte le modifiche che queste sono destinate a subire nel corso del tempo. In conformità del resto alla sua finalità, costantemente indicata da dottrina e giurisprudenza, nell’assicurare effettivamente agli enti locali la provvista dei mezzi economici necessari per l’adempimento dei loro compiti istituzionali, e perciò ravvisabile indifferentemente sia in riferimento ai crediti per tributi previsti dal T.U. del 1931, sia in riferimento a quelli per tributi istituiti da leggi successive (Cass. 5297/2009): in relazione ai quali anzi ha assunto un rilievo ancor più pregnante per l’intervenuta soppressione della maggior parte dei primi e per la posizione marginale assunta da quelli sopravvissuti nell’ambito della finanza locale. A meno di non attribuire alla L. n. 426, una serie di incomprensibili irrazionalità, quale quella di aver ritenuto che l’intera “legge sulla finanza locale” si dovesse ridurre alle imposte sui cani, di cura e di soggiorno, nonchè alla TOSAP ed alla TARSU, che erano all’epoca le sole sopravvissute al sistema originario; ovvero di avere per un verso annunciato con espressione enfatica e ridondante il mantenimento del privilegio,per poi svuotarlo totalmente di contenuto rendendolo applicabile alle entrate suddette, per di più soltanto fino alla loro vigenza (le prime tre imposte sono state abolite in epoca successiva,mentre le altre sono state modificate e sostituite dal D.Lgs. n. 507 del 1993).

5. Se dunque l’art. 2752 c.c., u.c., contiene in sè tutti gli elementi necessari per la sua applicazione anche ai mutamenti successivamente intervenuti nell’intera disciplina dei tributi locali, e quindi anche a quelli di nuova istituzione,non è possibile escludervi l’ICI perchè introdotta dal D.Lgs. n. 504 del 1992, e quindi non compresa tra i tributi contemplati dal R.D. n. 1175 del 1931: anche perchè già il titolo della legge avverte che trattasi di un’imposta rientrante nel programma di riordino “della finanza degli enti territoriali”. E la fonte di quest’ultima è costituita dalla delega accordata al Governo dalla L. n. 421 del 1992, art. 4, volta alla “razionalizzazione e revisione delle discipline in materia di…finanza territoriale”. Mentre la sua ampiezza e conseguente rilevanza sono rese evidenti dallo stesso presupposto impositivo costituito dal possesso di fabbricati,aree fabbricabili e terreni agricoli a qualsiasi uso destinati e comunque ubicati, che non trova riscontro in nessun altro tributo locale; per cui la quasi totalità delle decisioni di merito che non ha condiviso la lettura restrittiva della norma codicistica, ha sottolineato le conseguenze paradossali cui condurrebbe l’inapplicabilità della prelazione ai crediti per l’ICI, lasciando priva della relativa garanzia un’entrata che rappresenta la principale fonte di finanziamento per i Comuni; e mantenendola invece per altre imposte i cui proventi spiegano un’incidenza del tutto marginale sulle entrate degli enti locali.

D’altra parte, nessun fondamento giuridico può ravvisarsi nell’assunto per cui il riconoscimento della prelazione resta subordinato alla possibilità di individuare nella legge istitutiva del tributo una norma espressa che attribuisca al relativo credito (anche indirettamente mediante rinvio) natura privilegiata; e che tale situazione ricorre significativamente nella nuova disciplina della TOSAP e della TARSU, per le quali il D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 51 e 52, richiamano l’art. 2752 c.c., (il primo) o il R.D. n. 1175, art. 298, (il secondo). In quanto nessuna norma impone la necessità di un richiamo di tal genere nelle varie disposizioni finanziarie, nè riserva maggiore se non esclusiva efficacia a queste ultime rispetto alle norme del codice civile che, come l’art. 2952 c.c., contengono in sè tutti gli elementi indispensabili per la loro applicazione a categorie di rapporti giuridici astrattamente definiti e considerati come meritevoli di tutela giuridica. Ed anzi qualificati studiosi hanno osservato al riguardo che alle norme del codice civile deve riconoscersi una posizione di preminenza nel sistema delle fonti del diritto, ovvero, indipendentemente dall’efficacia formale della fonte da cui promanano, un’autorevolezza ed una dignità diverse rispetto a norme contenute in testi specifici destinati a regolare singole materie: anche per la loro funzione di precetti aventi portata generale,volti ad adeguarsi alle diverse situazioni storico – giuridiche con le quali un corpus normativo organico e creato per durare nel tempo è per sua natura destinato a confrontarsi. Salva restando la facoltà del legislatore di richiamare per le ragioni più diverse,nell’una o nell’altra legge finanziaria locale l’applicabilità del privilegio mobiliare:come ha fatto il menzionato D.Lgs. n. 507 del 1993, ed ancor prima la L. n. 426 del 1975, art. 3, in relazione all’imposta comunale sulla pubblicità ed ai diritti sulle pubbliche affissioni.

6. Le considerazioni svolte consentono di superare la questione dell’ammissibilità della applicazione analogica della causa di prelazione indicata dall’art. 2752 c.c., sistematicamente invocata in nome del suo asserito carattere eccezionale per propugnarne una lettura restrittiva: che alcune decisioni di questa Corte hanno affermato (Cass. 7494/1990; 4373/1989), mentre altre escluso (Cass. 7309/2006; 17396/2005). Le Sezioni Unite ritengono, infatti, sufficiente al riguardo ricordare e ribadire la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale,secondo la quale: a) a fronte di una norma attributiva di un privilegio non è consentito utilizzare lo strumento ermeneutico per introdurre, sia pur in considerazione del rilievo costituzionale di un determinato credito, una causa di prelazione ulteriore, che implicherebbe la configurazione di un autonomo modulo normativo che codifichi la tipologia del nuovo privilegio ed il suo inserimento nel sistema di quelli preesistenti : e quindi una scelta economico – politica riservata alla discrezionalità del legislatore; b) per converso è ammissibile l’utilizzabilita di detto strumento non solo nei limiti consentiti dalla massima espansione della portata semantica dell’espressione legislativa, ma anche quando l’estensione della norma a un caso non compreso nella lettera legislativa sia giustificata da un giudizio di meritevolezza del medesimo trattamento, fondato sulla ratio legis indipendentemente dalla somiglianzà al caso previsto; c) il confine fra le due fattispecie è costituito dalla “causa” del credito che, ai sensi dell’art. 2745 c.c., rappresenta la ragione giustificatrice della creazione di qualsiasì privilegio,perciò valendo a determinarne l’ambito oggettivo e soggettivo; e che viene così ad assumere l’ulteriore ruolo di limite alla portata espansiva delle relative disposizioni.

Si deve aggiungere che costituiscono sicuramente ius singulare le norme settoriali istitutive di singoli privilegi, con tutte le conseguenze interpretative connesse; laddove le cause di prelazione previste dal codice civile – ed ancor prima da quello del 1865 – come ben evidenzia l’art. 2741 c.c., nel definirle “legittime”, ed hanno rilevato qualificati studiosi e più decisioni di questa Corte (Cass. 17396/2005; 8743/1992; 7684/1994; 2271/1991; 2163/1991), rispondono ad un criterio di equità discendente dallo stesso art. 3 Cost.. Il quale esclude che costituiscano un’eccezione sfavorevolmente restrittiva rispetto al principio generale della par condicio creditorum, essendo voluto dal legislatore quale rimedio di giustizia alternativa, distributiva e commutativa, per esigenze di parità sostanziale (e non solo formale dei cittadini) dinanzi alla legge; nonchè per svolgere una funzione riequilibratrice a tutela di interessi costituzionalmente rilevanti. Per cui, dovendosi comunque fare riferimento per ricostruire il significato del rinvio alla “legge per la finanza locale” contenuto nell’art. 2752 c.c., alla sua causa giustificatrice di cui si è detto avanti (4),non può non riconoscersi che la stessa è da sola bastevole ad accomunare indifferentemente sia ì crediti per tributi previsti dal R.D. del 1931, nonchè dal T.U. del 1934, sia quelli istituiti da leggi successive come il D.Lgs. n. 504 del 1992, sull’ICI senza necessità di ricorrere ad interpretazioni o procedimenti analogici.

La sentenza impugnata che si è attenuta a questi principi va conclusivamente confermata; e va enunciato il seguente principio di diritto: “Le norme del cod. civ. che stabiliscono i privilegi in favore di determinati crediti possono essere oggetto di interpretazione estensiva, la quale costituisce il risultato di un’operazione logica diretta ad individuare il reale significato e la portata effettiva della norma, che permette di determinare il suo esatto ambito di operatività, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla sua formulazione testuale; e di identificare l’effettivo valore semantico della disposizione, tenendo conto dell’intenzione del legislatore, e soprattutto dalla “causa” del credito che, ai sensi dell’art. 2745 c.c., rappresenta la ragione giustificatrice di qualsiasi privilegio. Con la conseguenza che il privilegio generale sui mobili istituito dall’art. 2752 c.c., sui crediti per le imposte, tasse e tributi dei comuni previsti dalla legge per la finanza locale,deve essere riconosciuto anche per i crediti dei comuni relativi all’imposta comunale sugli immobili (ICI) introdotta dal D.Lgs. n. 504 del 1992, pur se successiva e quindi non compresa tra i tributi contemplati dal R.D. n. 1175 del 1931″.

In ordine alle spese del giudizio la novità delle questioni trattate in sede di legittimità induce il Collegio a dichiararle interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

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