Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1193 del 18/01/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 1193 Anno 2018
Presidente: DIDONE ANTONIO
Relatore: CENICCOLA ALDO

sul ricorso n. 2872\2012 proposto da
STATTI DI CUDDIA DELLE CHIUSE Tommaso (CF STTTMS32TO2L750G),
rapp.to e difeso per procura a margine del ricorso dall’avv. Francesco
Torre, presso il quale elettivamente domicilia in Roma, alla Piazza di S.
Andrea della Valle n. 6
– ricorrente contro
FALLIMENTO MILAN MALL N. 1 s.p.a. (CF 0127690159), in persona del
curatore e successivamente, a seguito dell’intervenuta chiusura del
fallimento, MILAN MALL n. 1 s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t.,
rapp.to e difeso per procura in calce alla comparsa di conferma della
costituzione dall’avv. Francesco Iandolo e dall’avv. Paola Emilia Mora,
elettivamente domiciliati in Roma alla v. Giovanni Battista Tiepolo n. 21
presso lo studio dell’avv. Luigi Piccarozzi
– controricorrente –

a

Data pubblicazione: 18/01/2018

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 3288/10 depositata
il 6 dicembre 2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
15 settembre 2017 dal relatore dr. Aldo Ceniccola.

con sentenza n. 3288 del 2010 la Corte di Appello di Milano, respingendo
l’appello principale proposto da Staiti di Cuddia delle Chiuse Tommaso ed
accogliendo l’appello incidentale proposto dal Fallimento Milan Mall n. 1
s.p.a., condannava l’appellante principale al pagamento, a titolo di
occupazione senza titolo dell’unità abitativa individuata in motivazione,
della somma di C 130.556,27 oltre interessi legali dal 18.10.1995 fino al
saldo;
osservava la Corte, per quanto ancora di interesse, che già il Tribunale
aveva rilevato come con sentenza della stessa Corte di Appello, poi
confermata dalla Corte di legittimità, era stata accertata la simulazione
dei contratti di compravendita relativi agli immobili in questione, restituiti
al fallimento titolare, dunque, del diritto di proprietà come accertato da
una sentenza passata in giudicato. D’altronde dalla stessa relazione
notarile ipotecaria aggiornata, versata agli atti del processo, emergeva la
conformità dei pubblici registri immobiliari a quell’esito giudiziale, con ciò
confermandosi la piena ed esclusiva proprietà di cui godeva il fallimento
Milan Mall 1 s.p.a. sull’intero fabbricato;
osservava inoltre che l’immobile effettivamente occupato dall’appellante
principale era contrassegnato con il subalterno n. 21, essendo quello
contrassegnato con il n. 19 detenuto invece dalla moglie separata
dell’appellante, correggendo in tal senso la sentenza resa nel giudizio di
primo grado (che invece aveva indicato quale immobile occupato dallo
Staiti quello contrassegnato con il n. 19);

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Rilevato che:

dopo avere quindi rideterminato (in aumento rispetto a quanto ritenuto
dal tribunale) l’indennità di occupazione, perveniva dunque alla pronuncia
di condanna per l’importo sopra precisato;
avverso tale sentenza Staiti di Cuddia delle Chiuse Tommaso propone
ricorso per cassazione affidato a tre motivi; la curatela resiste mediante
controricorso. Con comparsa del 16.7.2012 la Milan Mali n. 1 s.p.a.,

curatela fallimentare.

Considerato che:
riguardo alla procedibilità del ricorso, originariamente proposto dalla
curatela fallimentare e poi proseguito dalla società fallita ritornata ‘in
bonis’, va rilevato come l’art. 120, comma 2, legge fall. precluda la
prosecuzione solo delle azioni esperite dal curatore per l’esercizio di diritti
derivanti dal fallimento, ossia dirette a far valere crediti ed altri diritti
esercitabili solo dal curatore in quanto presuppongono la pendenza del
fallimento (cfr. Cass. n. 9386 del 2011 e 17709 del 2014 in tema di
revocatoria fallimentare); contrariamente nel caso in esame viene in
rilievo un’azione per un’occupazione ‘sine titulo’ di un immobile
appartenente alla società fallita e che dunque non mira a beneficiare
esclusivamente i creditori concorsuali costituiti in massa;
con il primo motivo il ricorrente lamenta la contraddittoria ed insufficiente
motivazione su un fatto controverso e decisivo, avendo la Corte
territoriale trascurato un fatto notorio e cioè che un terzo (il Rapisarda,
legale rap.te della fallita) aveva continuato a gestire in piena autonomia
l’immobile in oggetto ed avendone piena disponibilità aveva concluso un
accordo per la locazione dell’unità immobiliare in questione;
il motivo è infondato venendo in rilievo aspetti già ampiamente e
condivisibilmente affrontati dalla Corte territoriale sia in ordine alla
questione della proprietà del cespite (incontrovertibilmente accertata
sulla scorta di una sentenza passata in giudicato e sulla base delle

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ritornata ‘in bonis’, recepiva e confermava tutte le difese già svolte dalla

risultanze di una relazione notarile), sia in merito all’irrilevanza
dell’affidamento riposto dal ricorrente sulla legittimazione del Rapisarda;
con il secondo motivo deduce la contraddittoria o insufficiente
motivazione su un fatto controverso e decisivo, avendo la Corte errato
nell’individuare l’immobile oggetto dell’occupazione e pertanto
condannato il ricorrente al pagamento di una somma non corrispondente

il motivo è inammissibile in quanto non censura in modo chiaro ed
inequivoco il fulcro del ragionamento del tribunale che, dopo aver
esattamente individuato il subalterno identificativo dell’immobile e la
concreta estensione dell’unità abitativa occupata dal ricorrente, ha poi
fatto riferimento, nella quantificazione della somma dovuta a titolo
risarcitorio, alla valutazione operata dal c.t.u., incensurabile in questa
sede;
con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione
di legge e l’erronea motivazione esposta dalla Corte circa la risarcibilità
del danno, avendo il giudice del merito sovvertito l’onere probatorio ed
accolto la domanda risarcitoria senza che il fallimento avesse mai
provveduto a dimostrare di aver subito una concreta lesione al proprio
patrimonio;
il motivo è infondato;
secondo quanto condivisibilmente statuito da Cass. n. 16670 del 2016,
infatti, “nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito
dal proprietario è “in re ipsa”, discendendo dalla perdita della disponibilità
del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di
conseguire l’utilità da esso ricavabile, sicchè costituisce una presunzione
“iuris tantum” e la liquidazione può essere operata dal giudice sulla base
di presunzioni semplici, con riferimento al cd. danno figurativo, quale il
valore locativo del bene usurpato”;
si impone pertanto il rigetto del ricorso; le spese della presente fase
vengono poste a carico del ricorrente in ragione del criterio della
soccombenza.

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alla giusta indennità di occupazione;

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e pone le spese del giudizio di legittimità a carico
del ricorrente, liquidandole in C 5.200, di cui C 200 per esborsi, oltre
accessori come per legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 settembre 2017.

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