Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11929 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 19/06/2020), n.11929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27936/2019 proposto da:

A.S.A., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato Giovanna Frizzi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE VERONA;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRENTO, depositata il 14/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/02/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato a quattro motivi, A.S.A., cittadino della (OMISSIS), ha impugnato il decreto del Tribunale di Trento, reso pubblico in data 14 agosto 2019, che ne rigettava l’opposizione proposta avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale, a sua volta, respingeva l’istanza dell’odierno ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento, in via gradata, della protezione sussidiaria, nonchè di quella umanitaria.

A fondamento dell’istanza il richiedente deduceva di essere stato costretto ad abbandonare il Paese d’origine per il timore di subire maltrattamenti e di essere ucciso dalla matrigna, di religione musulmana, in quanto figlio di madre cristiana.

2. – Il Tribunale di Trento, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: 1) non poteva trovare accoglimento la domanda di protezione sussidiaria in difetto di allegazioni di fatto sussumibili nelle ipotesi di danno grave previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 (avendo il richiedente dedotto, ai fini del “riconoscimento della protezione sussidiaria”, di non poter tornare nel proprio Paese perchè “non garantisce il rispetto dei diritti umani fondamentali e l’esercizio della libertà religiosa”); 2) non era credibile il narrato del richiedente, anche in ragione delle contraddizioni tra le dichiarazioni rese dapprima dinanzi alla Commissione e poi dinanzi ad esso giudice in relazione: a) alla composizione del nucleo familiare; b) alla dinamica dell’incidente che lo vedeva accoltellato dalla matrigna, ora per motivi religiosi, ora senza alcun motivo; c) alla denuncia alle autorità di polizia della matrigna, ritenendo prima di non averla denunciata per carenza di denaro, poi che era stata arrestata e quindi rilasciata previo pagamento di una cauzione; 3) non poteva riconoscersi la protezione umanitaria in quanto, data la non credibilità del richiedente, non assumeva rilievo il mero inserimento sociale-lavorativo, non sussistendo alcuna situazione specifica di vulnerabilità in caso di rimpatrio, non avendo, del resto, dedotto di essere stato mai personalmente e direttamente interessato da violazione di diritti umani fondamentali e della libertà religiosa.

3. L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione;

Il ricorso è stato notificato anche alla Commissione territoriale di Verona, rimasta soltanto intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., laddove, il Tribunale di Trento ha omesso di decidere in relazione alla domanda di riconoscimento dello status di protezione sussidiaria prevista del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14, nonchè prospettato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver erroneamente il Tribunale rigettato la domanda diretta al riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in forza di un’errata valutazione sulle condizioni di sicurezza del Paese d’origine, così come dimostrato dalle fonti prodotte in giudizio.

2.1. – I primi due motivi sono inammissibili, in quanto non attingono l’effettiva ratio decidendi del decreto impugnato.

Difatti, il Tribunale, lungi dall’incorrere in un’omessa pronuncia, ha rigettato la domanda di protezione internazionale sulla base della mancanza nel ricorso, depositato il 18.10.2018, di allegazioni di fatti sussumibili in una delle ipotesi di danno grave previste del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Il ricorrente non censura affatto l’assenza di allegazione dei fatti, siccome ritenuta dal giudice del merito, mancando, peraltro, di indicare dove e in quali termini le allegazioni stesse fossero state dedotte.

Inoltre, là dove in ricorso genericamente si evidenziano, ai fini del riconoscimento della protezione di cui del citato art. 14, lett. c), le fonti che qualificherebbero la Liberia come “uno Stato (non) sicuro in quanto subisce ancora i postumi di una disastrosa guerra civile” e in “situazione di violazione dei diritti umani e di molti diritti costituzionalmente riconosciuti in Italia”, non pone in risalto alcuna allegazione circa il presupposto di legge riguardante “la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale”.

Del resto, è principio enunciato da questa Corte che, in tema di protezione internazionale, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda. Ne consegue che in relazione alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve essere allegata quantomeno l’esistenza di un conflitto armato o di violenza indiscriminata così come descritti dalla norma (Cass. n. 3016/2019).

3. – Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 25, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonchè è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver errato il Tribunale nel rigettare il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, mancando di valutare i fatti oggetto della domanda, quali l’assenza di garanzie giudiziarie e le violazioni dei diritti umani perpetrate nel Paese d’origine, nonchè l’elevato grado di integrazione del richiedente e lo stato di vulnerabilità in cui lo stesso si troverebbe nell’ipotesi di rimpatrio.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, per aver erroneamente il Tribunale, per un verso, rigettato la domanda di rilascio di permesso per motivi umanitari seppur presentata con motivazione generica e non individualizzata, per altro verso, omesso di valutare il principio di non refoulement.

4.1. – Il terzo e il quarto motivo, distintamente rubricati ma argomentati unitariamente, sono inammissibili.

Giova, anzitutto, ribadire l’orientamento consolidato di questa Corte (cui si è attenuto il giudice del merito) per cui il diritto di asilo, al momento della pronuncia della decisione impugnata, era interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituito dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non residuando alcun margine di diretta applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3 (tra le altre, Cass. n. 16362/2016; Cass. n. 10686/2012).

Va, inoltre, rammentato che, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., S.U., 13 novembre 2019, n. 29459). Con la precisazione che, una volta esclusa la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento degli altri due tipi di protezione internazionale, il richiedente per ottenere la concessione di quella umanitaria, deve dedurre fatti ulteriori e diversi rispetto a quelli posti a fondamento delle domande non accolte; non potendo del resto tale forma di protezione essere riconosciuta ipso facto al rigetto delle altre due (tra le altre, Cass. n. 13088/2019).

Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principii, giacchè, accertata l’inattendibilità del racconto reso dal richiedente, ha ritenuto non sussistere alcuna situazione personale di vulnerabilità, non essendo sufficiente a tal fine il percorso d’integrazione da esso intrapreso nel nostro Paese, non avendo lo stesso A. mai dedotto di essere stato personalmente e direttamente interessato da violazioni dei diritti umani fondamentali e di libertà religiosa nel Paese d’origine.

Del resto, a fronte dell’accertamento di fatto operato dal Tribunale, i principi della cui compromissione si duole il ricorrente sono richiamati in modo generico, come generico risulta il richiamo al principio di non respingimento.

La censura, invero, si sostanzia in una sollecitazione alla Corte di legittimità di rivalutare i presupposti fattuali sottesi alla reclamata protezione umanitaria e ciò a fronte di una motivazione che, in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, ha evidenziato, con valutazioni in fatto, l’assenza di una condizione di soggettiva e oggettiva vulnerabilità del richiedente.

5. – Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva delle parti intimate.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, non dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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