Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11928 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 19/06/2020), n.11928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27706/2019 proposto da:

G.T., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato Andrea Maestri;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

19/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/02/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato a due motivi, G.T., cittadino (OMISSIS), ha impugnato il decreto del Tribunale di Bologna, reso pubblico in data 19 agosto 2019, che ne rigettava l’opposizione proposta avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale, a sua volta, ne aveva respinto la domanda volta ad ottenere il riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria, nonchè della protezione umanitaria.

A sostegno dell’istanza il richiedente deduceva di essere stato costretto a lasciare il suo Paese poichè ricercato dalle forze della polizia a seguito di una rapina a (OMISSIS), alla quale prese parte, nonchè per essere rimasto privo di qualsiasi legame e supporto familiare nel proprio Paese d’origine.

2. – Il Tribunale di Bologna, per quanto in questa sede ancora rileva, riteneva che: 1) il narrato del richiedente la protezione era inattendibile per via dell’inverosimiglianza ed incoerenza delle dichiarazioni dal medesimo rese, sia in relazione alla rapina a cui avrebbe preso parto nel suo Paese d’origine (Nigeria, Edo State), sia all’assenza di familiari in Nigeria, nonchè al vissuto in Libia; 2) erano insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria emergendo, dalle COI più autorevoli ed aggiornate, un livello di violenza indiscriminata molto bassa nell’Edo State e non sussistendo ulteriori e credibili fattori personali di rischio in capo al richiedente; 3) non poteva riconoscersi il diritto ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari in quanto: a) era inattendibile il racconto reso dal richiedente; b) non sussistevano situazioni di instabilità politica-sociale che lo esponesse a situazioni di pericolo per l’incolumità personale, essendo emigrato piuttosto per ragioni economiche; c) era assente il rischio di lesione di altri diritti umani fondamentali; d) era assente un attuale e persistente vulnerabilità soggettiva in relazione al vissuto in Libia.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 9, per aver erroneamente il Tribunale di Bologna eluso il proprio obbligo di cooperazione istruttoria basandosi, esclusivamente, sul giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale.

1.1.- Il motivo è infondato.

In linea più generale, giova rammentare che il dovere di cooperazione istruttoria, attenuante del principio dispositivo, e che consiste nel dovere (e non facoltà) del giudice di attivarsi per acquisire “informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove, occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” (D.Lgs. n. 25 del 2008 cit., art. 8, comma 3), non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile. In difetti di tale attendibilità, non sorge quel dovere, poichè l’una è condizione dell’altro (Cass., n. 3340/2019; Cass., n. 16925/2018).

Nella specie, non soltanto il giudice di merito ha ritenuto, con apprezzamento di fatto ad esso riservato, che la narrazione della storia del richiedente non era attendibile (non eludendo quindi il dovere-potere di cooperazione istruttoria ufficiosa), ma ha, invero, accertato la situazione reale del paese di provenienza tramite il ricorso alle COI più autorevoli e aggiornate (su cui il ricorrente non muove censura alcuna).

2. – Con il secondo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, per aver il Tribunale rigettato la domanda relativa alla protezione umanitaria quale automatica conseguenza del rigetto delle due protezioni maggioritarie, non svolgendo alcuna indagine circa le condizioni poste a sostegno del titolo, nè considerando il grado di integrazione raggiunto, dal richiedente, in Italia.

2.1.- Il motivo è manifestamente infondato.

Contrariamente da quanto esposto il ricorrente, il giudice di merito non ha effettuato alcun automatismo nel rigettare la domanda di protezione umanitaria, ma ha ritenuto non sussistere i presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in forze delle ragioni sintetizzate nel “Rilevato che” (punto 3), su cui il ricorrente non muove censure specifiche e pertinenti.

3. – Ne consegue il rigetto del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, non dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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