Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11925 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 19/06/2020), n.11925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27604/2019 proposto da:

K.I., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Americo

Capponi, 16, presso lo studio dell’avvocato Staccioli Carlo, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

16/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/02/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato a quattro motivi, K.I., cittadino della (OMISSIS), ha impugnato il decreto del Tribunale di Brescia, reso pubblico in data 16 agosto 2019, che ne rigettava l’opposizione proposta avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale, a sua volta, respingeva l’istanza dell’odierno ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria, nonchè di quella umanitaria.

A sostegno dell’istanza il richiedente deduceva di essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per il timore di essere sottoposto ai maltrattamenti ed alle minacce di morte da parte della matrigna a causa di questioni legate all’eredità del padre.

2. – Il Tribunale di Brescia, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: 1) non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, nè, in caso di rimpatrio, sussistevano motivi di persecuzione o di un grave danno idoneo a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), risultando, anzitutto, inattendibile il narrato reso dal richiedente (poco credibile era la circostanza secondo cui la matrigna, alla quale erano stato già intestati beni, potesse aver ucciso il marito – circostanza presunta e non dimostrata dal alcun elemento o indagine o procedimento penale a carico di essa – e riversato le proprie minacce, generiche e vaghe, sul K., quando, invece, sarebbe risultato più facile uccidere anche lui; inoltre, contraddittorio risultava il racconto circa la maturità e autonomia economica raggiunta dallo stesso per contrastare o comunque rendersi indipendente dalla donna); 2) le fonti di informazioni consultate non evidenziano nella Costa d’Avorio (Paese di provenienza del richiedente) una situazione di conflitto armato generatore di violenza indiscriminata tale da integrare una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona in relazione a tutti i soggetti ivi abitanti, nè tali problematiche sono state mai riferite dal richiedente; 3) non sussistevano particolari condizioni di vulnerabilità idonee a configurare il riconoscimento della protezione umanitaria in quanto: a) sotto il profilo soggettivo, a fronte dell’inattendibilità del richiedente, non rilevava il solo elemento di inserimento sociale, godendo il K. di buona salute, di capacità lavorativa e avendo ancora parenti in (OMISSIS), al contrario dell’Italia; b) sotto il profilo oggettivo, pur sussistendo nel Paese d’origine significative criticità in riferimento alla tutela dei diritti fondamentali della persona, le stesse non erano tali da giustificare la protezione.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con il primo mezzo è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7,8 e 11, per aver erroneamente il Tribunale di Brescia negato il riconoscimento dello status di rifugiato, escludendo, apoditticamente, che le ipotesi di atti persecutori provenienti da soggetti privati siano estranei all’abito di applicazione della normativa.

1.1.- Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi posta a fondamento del mancato riconoscimento dello status di rifugiato.

Invero, il Tribunale ha negato il riconoscimento della protezione invocata non in ragione dell’estraneità alla protezione degli atti persecutori provenienti dai soggetti privati (che ha invece considerato esaminabili al predetto fine), ma perchè, oltre al fatto che le circostanze addotte dal richiedente (timore dei maltrattamenti e minacce di morte provenienti dalla matrigna per la sua condizione di erede privilegiato) non integravano i presupposti per l’ottenimento dello status di rifugiato, il narrato era da ritenersi inattendibile in quanto incongruo e non plausibile.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, laddove il giudice di merito ha ritenuto inattendibile e non plausibile il narrato del richiedente, pur se rispettoso dei parametri previsti dalla normativa che si assume essere violata;

2.1.- Il motivo è inammissibile.

La valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di criteri generali di ordine presuntivo idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese. (Cass. n. 20580/2019). Sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. n. 21142/2019). Una volta che tale controllo sia stato effettuato e gli esiti siano di inattendibilità, siffatto giudizio costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti del vizio di cui all’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 27503/2018; Cass. n. 3340/2019).

Il giudice di merito si è ispirato a detti criteri, giungendo al motivato convincimento di inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente (cfr. sintesi nel “Ritenuto che”), là dove quest’ultimo, con il ricorso, veicola solo critiche generiche e non concludenti, senza neppure dedurre il vizio di cui all’anzidetta norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

3. – Con il terzo mezzo è prospettata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) ed h), art. 8 e art. 14, lett. a) e b) e art. 3, comma 5, per aver il giudice di merito, sulla base di un erroneo utilizzo dei propri poteri istruttori ufficiosi, negato la sussistenza dei presupposti per la configurabilità della protezione sussidiaria.

3.1.- Il motivo è inammissibile, anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui il giudice, facendo mal governo del potere istruttorio officioso, ha negato la sussistenza di un indice di rischiosità tale da giustificare l’adozione della protezione sussidiaria.

Sebbene nella formulazione del motivo si faccia riferimento alle sole ipotesi di danno grave di cui alle lett. a) e b), la censura sembra riferirsi anche al pregiudizio di cui alla lett. c).

Ciò posto, occorre ribadire che è orientamento costante di questa Corte quello per cui, a fronte dell’accertata inattendibilità del richiedente, nell’ipotesi di danno gravo di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b), non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925/2018; Cass. n. 33858/2019). Pertanto, in alcuna violazione è incorso il giudice.

Quanto, poi, alla censura riferita al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale non è incorso in alcuna violazione del c.d. dovere di cooperazione istruttoria, giacchè, prendendo in esame informazioni aggiornate sulla situazione esistente in Costa d’Avorio, paese di provenienza del migrante, ha escluso la sussistenza di una situazione rilevante ai fini del riconoscimento della protezione invocata.

La critica si rileva perciò inammissibile giacchè, lungi dal denunciare un error in iudicando, investe l’apprezzamento di fatto del giudice di merito in ordine alle COI (peraltro, con doglianza generica, senza indicare fonti di informazioni alternative e successive dimostranti la non attualità di quelli fondanti la decisione), ad esso soltanto riservato e insindacabile in sede di legittimità (Cass., n. 32064/2018), se non nei limiti del vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non denunciato.

4. – Con il quarto mezzo è prospettata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per aver il Tribunale, sulla base di un’errata valutazione delle situazioni di vulnerabilità, negato la protezione umanitaria, quando invece tale protezione può essere riconosciuta anche nell’ipotesi in cui vi sia un pericolo per l’incolumità personale derivante da questioni private.

4.1.- Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi del decreto impugnato.

Il Tribunale, infatti, non ha affatto escluso la protezione umanitaria in forza della non sussistenza di situazioni di vulnerabilità derivanti da violenza privata, ma ne ha ritenuto – con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità – l’insussistenza sulla base dei fattori soggettivi ed oggettivi indicati in motivazione (e sintetizzati nel “Rilevato che”, che precede).

5. – Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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