Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11920 del 10/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 10/06/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 10/06/2016), n.11920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6729-2014 proposto da:

ICE – ISTITUTO NAZIONALE PER IL COMMERCIO ESTERO, (C.F.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso

la quale domicilia ope legis in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

C.G.; MONTE DEI PASCHI DI SIENA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5195 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, emessa il

17/04/2013, depositata il 03/10/2013;

udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica udienza del dì

11/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito, per l’Avvocatura Generale dello Stato, l’Avvocato ANTONIO

GRUMETTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per la cessazione della materia del

contendere.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – L’ICE – Istituto Nazionale per il Commercio Estero ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 5195 del 3.10.13, con cui la corte di appello di Roma ha rigettato il suo gravame avverso la sentenza del tribunale di Roma di accoglimento dell’opposizione proposta da C.G. avverso la cartella di pagamento relativa al credito di esso odierno ricorrente, derivante da condanna del debitore da parte della Corte dei conti –

indicata come “sentenza n. 399/02/A del 13.11.02” – e per l’importo infine determinato in Euro 25.409,19. L’intimato non svolge attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. – Pare superflua l’analitica disamina dei motivi, coi quali il ricorrente si duole:

– di “violazione e/o falsa interpretazione di norme di diritto in relazione all’art. 116 c.p.c. e art. 118 att. c.p.c.” e di “erronea motivazione”, sostanzialmente lamentando l’inammissibilità della domanda, siccome riservata alla giurisdizione della Corte dei conti;

– di “violazione e/o falsa interpretazione di norme di diritto in relazione all’art. 116 c.p.c. e art. 118 att. c.p.c.”, di “insufficiente motivazione” e di “illogicità manifesta”: lamentando l’adesione alle conclusioni del c.t.u. nonostante le critiche ad essa rivolte ed adducendo l’impossibilità del verificarsi delle condizioni per le riduzioni proporzionali della condanna stabilite nel titolo esecutivo;

– di “violazione e/o falsa interpretazione di norme di diritto in relazione all’art. 116 c.p.c. e art. 118 att. c.p.c.”, di “insufficiente motivazione”, di “illogicità manifesta” e di “erronea valutazione delle prove”: riproducendo in parte le argomentazioni del c.t.u. e le contestazioni sul punto mosse.

3. – Infatti, in via dirimente si osserva che l’opposizione alla cartella di pagamento è stata definita dal tribunale di Roma in primo grado con sentenza depositata il 3.7.07 (v. pag. 2 della sentenza gravata, a dispetto di quanto dichiarato in ricorso a pag.

5): ed allora tale sentenza, in quanto resa nell’intervallo tra il 1.3.06 ed il 4.7.09, non era suscettibile di appello, ma – in forza del disposto dell’ultimo periodo dell’art. 616 c.p.c., nel testo introdotto dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14, senza alcuna disciplina transitoria – esclusivamente di ricorso per cassazione (neppure rilevando l’intervenuta abrogazione della citata disposizione, applicabile solo dal 4.7.09, come da giurisprudenza costante; tra le tante: Cass. 12 maggio 2011, n. 10451; Cass., ord. 30 aprile 2011, n. 9591; Cass., ord. 17 agosto 2011, n. 17325; Cass. 7 novembre 2013, n. 25056; Cass., ord. 11 dicembre 2014, n. 26095;

Cass. 20 maggio 2015, n. 10248; Cass., ord. 2 luglio 2015, n. 13624;

Cass. 31 agosto 2015, n. 17314).

4. – Nè a diversa conclusione si potrebbe giungere ove la sentenza di primo grado avesse deciso un’opposizione agli atti esecutivi, visto che allora, per notissima nozione, l’appello sarebbe risultato comunque inammissibile.

5. – Ed in entrambi i casi la Corte di cassazione deve rilevare di ufficio una causa di inammissibilità dell’appello, che il giudice del merito non abbia provveduto a riscontrare (tra le molte, v.:

Cass. 21 novembre 2001, n. 14725; Cass. 13 novembre 2009, n. 24047;

Cass. 28 giugno 2010, n. 15405; Cass. 28 giugno 2012, n. 10876):

infatti, non si può riconoscere, all’appello inammissibilmente spiegato (con relativo passaggio in giudicato della sentenza di primo grado), alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione (tra le altre, v. Cass. 2 febbraio 2010, n. 2361; Cass., ord. 17 giugno 2014, n. 13758; Cass., ord. 16 marzo 2016, n. 5268).

6. – E’ necessario allora, pronunciando sul ricorso, cassare senza rinvio la sentenza di secondo grado, ai sensi dell’ultima parte del capoverso dell’art. 382 c.p.c., ravvisandosi giusti motivi di compensazione delle spese del grado di appello nel carattere ufficioso del rilievo che lo definisce in questa sede, ma senza bisogno di provvedere su quelle del presente giudizio di legittimità per non avervi svolto attività difensiva l’intimato.

7. – Non può applicarsi invece del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: sia perchè il contributo è stato prenotato a debito e sia perchè tale norma, di stretta interpretazione per la sua natura lato sensu sanzionatoria, non può trovare applicazione fuori dei casi di rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione.

PQM

La Corte:

– pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la gravata sentenza e compensa tra le parti le spese del grado di appello;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 1902, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-

bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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