Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11911 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/05/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 06/05/2021), n.11911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27586-2018 proposto da:

L.T., T.M., M.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ROMITO RODOLFO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE VENETO,

UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE ROVIGO, in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 879/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Presidente Relatore Dott. DORONZO

ADRIANA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza pubblicata in data 22/3/2018, la Corte d’appello di Venezia ha accolto l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca contro la sentenza del Tribunale di Rovigo, e, per l’effetto, ha rigettato le domande proposte dagli appellati, M.M., L.T. e T.M., collaboratori scolastici alle dipendenze del MIUR, aventi ad oggetto il risarcimento del danno conseguente all’illegittimità del termine apposto ai vari contratti di lavoro intercorsi tra le parti.

2. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha ritenuto che indipendentemente dalla individuazione dei singoli periodi in cui le parti appellate avevano svolto supplenze su posti vacanti in organico di diritto e/o di fatto – era assorbente il rilievo che le stesse erano state stabilizzate (nel 2011 e nel 2012); che, in forza dei principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 27563/2016 (punti da 118 a 125), l’intervenuta stabilizzazione era idonea a sanzionare debitamente l’abuso e a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione, e, quindi, a riparare tutti i danni riferibili all’illegittima reiterazione dei contratti a tempo determinato in difetto di specifiche allegazioni, diverse dal mero dato della lunga durata dei rapporti a termine, circa l’esistenza di danni ulteriori, diversi da quelli risarciti dall’immissione in ruolo. Quanto alla domanda di riconoscimento dell’anzianità maturata anche in considerazione dei rapporti a termine e delle differenze stipendiali formulata dagli appellati, la Corte territoriale l’ha ritenuta inammissibile sul presupposto che le parti non avevano proposto appello incidentale (o meglio, non avevano notificato l’appello incidentale) contro la sentenza del tribunale che tale domanda aveva rigettato. Ha infine compensato le spese del giudizio.

3. Contro la sentenza il M., il L. e il T. hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi; ha resistito il Ministero con controricorso.

4. La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata. In prossimità della adunanza, i ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.- Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, parte ricorrente deduce “nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 305 c.p.c. e ss., del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, commi 1-bis e 9-ter”: ritiene che l’atto depositato dal Ministero per riassumere il giudizio a seguito della sua sospensione disposta dalla Corte territoriale in attesa della decisione della Corte costituzionale fosse affetto da nullità, perchè depositato in modalità cartacea e non invece telematica come previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, e che, quindi, l’inidoneità dell’atto ad una valida riassunzione del processo aveva determinato la sua estinzione.

2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente deduce “violazione e-o falsa applicazione del considerando n. 16, dell’art. 2 della direttiva 1999/70/CE, nonchè del preambolo, della clausola 5, punto 1, lettera B, dell’Accordo quadro CESUNICE CEEP sul lavoro a tempo determinato della 18/3/1999, recepito e allegato alla direttiva comunitaria citata; violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 4, art. 5 (commi 4 e 4-bis), e artt. 10 e 11, anche in combinato disposto con la L. 4/6/1999,n. 124, art. 4: in sintesi, si contesta l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui le stabilizzazioni intervenute, a prescindere dalle modalità con le quali le parti avevano avuto accesso al contratto a tempo indeterminato (automaticamente o a seguito di procedura concorsuale, come nella specie dei ricorrenti), costituiscono misura adeguata a sanzionare l’abusivo ricorso a una successione di contratti a termine del personale impiegato a vario titolo nella scuola.

3.- Il terzo motivo, subordinato al mancato accoglimento del secondo, è incentrato sulla questione pregiudiziale Europea circa la conformità alla Direttiva Europea 1999/70/CE dell’esclusione della misura risarcitoria/indennitaria per sanzionare l’abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato – per un periodo superiore ai trentasei mesi – in presenza dell’immissione in ruolo “a seguito di concorso per titoli (e scorrimento della graduatoria) anteriore all’entrata in vigore della L. n. 107 del 2015”; si chiede a questa Corte, nel caso di conferma delle statuizioni impugnate, la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte di giustizia Europea perchè si pronunci sulla questione indicata in epigrafe, e in particolare sulla violazione della clausola 5, punto 1.

4. – Con il quarto motivo, parte ricorrente deduce la nullità della sentenza o del procedimento, in relazione agli artt. 112,437 e 100 c.p.c.: assume infatti che la sentenza è stata resa in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, dal momento che il giudice dell’appello aveva ritenuto sussistente un risarcimento del danno in forma specifica a seguito dell’avvenuta stabilizzazione senza che fosse mai stata proposta una domanda o un’eccezione (in senso proprio) in tal senso; sussisteva inoltre la violazione dell’art. 100 c.p.c. per aver la corte territoriale omesso di dichiarare cessata la materia del contendere, con la condanna del soccombente virtuale, ossia il MIUR, al pagamento delle spese processuali, pur avendo ritenuto conseguito da parte degli originari ricorrenti il bene della vita richiesto.

5. Con il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, parte ricorrente denuncia la violazione della clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato; del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 6 e 10; di norme del c.c.n.l. comparto scuola; del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 526; del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 9, comma 18, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106; dalla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4; del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36; denuncia altresì, ai sensi del n. 4 dell’art. 360 il vizio di nullità della sentenza, per violazione degli artt. 112,434 e 346 c.p.c. per non aver il giudice d’appello pronunciato sulla domanda avente ad oggetto il pagamento delle differenze retributive maturate in conseguenza del dell’intera anzianità pregressa, in essa considerando anche i rapporti di lavoro a tempo determinato; la domanda era stata ritualmente formulata sia nel ricorso di primo grado sia nella memoria di costituzione in appello (punto 2 della memoria di costituzione in appello, pagina 34 del ricorso per cassazione); l’appello incidentale non era necessario, non avendo il giudice di primo grado emesso alcuna pronuncia sulla domanda in esame, in quanto ri t. assorbita nell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno.

6. – Il primo motivo è inammissibile.

La difformità dal modello legale dell’atto in riassunzione compiuto dal Ministero si risolve in una mera irregolarità che non comporta nullità in mancanza di espressa comminatoria ex art. 156 c.p.c., comma 1. Al riguardo si richiamano i principi già espressi da questa Corte nelle numerose ordinanze in cui è stato prospettato lo stesso motivo di estinzione (per tutte, Cass. 11/2/2021, n. 3417). Non induce un diverso convincimento il precedente richiamato dai ricorrenti nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., alla luce del principio di carattere generale sancito da Cass. Sez. U, 18 aprile 2016, n. 7665, secondo cui, in un caso di irritualità della notificazione di un atto (per via telematica, ma con un’estensione diversa), la nullità non può essere pronunciata nel caso in cui la notificazione abbia comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale. Il principio posto a suo fondamento rimane quello per il quale la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l’interesse all’astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (Cass. n. 26831 del 2014). Ne consegue che è inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte.

7. Il secondo e terzo motivo di ricorso appaiono inammissibili ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, avendo la Corte territoriale deciso la questione in diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi, anche come illustrati nella memoria, non induce ad un suo mutamento, nè ad una nuova rimessione delle questioni alla Corte costituzionale ovvero alla Corte di giustizia. Al riguardo si richiamano i principi già espressi da questa Corte (da ultimo, n. 3417/2021) ai quali si intende dare continuità ed alle cui motivazione si rinvia, anche ai sensi dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp.att. c.p.c..

7.1. Nel caso in esame, è pacifico che i ricorrenti, assunti in virtù di ripetute assunzioni a termine, sono stati immessi nei ruoli del MIUR nelle date su indicate. Essi, pertanto, hanno per tal via ottenuto il bene della vita per il quale hanno agito in giudizio, senza che rilevi, per quanto innanzi osservato, la circostanza che la stabilizzazione sia avvenuta per mezzo di interventi diversi da quelli previsti nella L. n. 107 del 2015.

7.2. La corte territoriale ha escluso – senza che tale affermazione sia stata adeguatamente censurata – che la parte ricorrente abbia, nell’originaria domanda, allegato l’esistenza di danni ulteriori e diversi rispetto a quelli “risarciti” dalla immissione in ruolo, la cui prova grava sul lavoratore e che comunque non potrebbero identificarsi con quelli “da mancata conversione e quindi da perdita del posto di lavoro”, secondo quanto affermato nella predetta decisione delle SS.UU. n. 5072 del 2016.

8. Il quarto motivo è infondato.

Non sussiste la denunciata violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. La stabilizzazione è stata dedotta, come innanzi evidenziato, dalla stessa parte ricorrente per fondarvi la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, sicchè essa non può ritenersi estranea al giudizio di legittimità in quanto intimamente correlata alla questione di diritto della risarcibilità del danno nelle ipotesi di intervenuta stabilizzazione ed allo “ius superveniens” costituito dalla più volte richiamata sentenza della CGUE Rossato, che ha efficacia immediata nell’ordinamento nazionale, oltrechè dalla L. n. 107 del 2015.

8.1. Il giudizio in esame ha ad oggetto la domanda dei dipendenti volta ad ottenere il risarcimento del danno per l’illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato. La Corte ha escluso la sussistenza di un danno per effetto della stabilizzazione quale elemento che ha cancellato in radice l’illecito. La stabili7zazione, quale fatto estintivo, non può essere considerata come un’eccezione in senso proprio, in difetto di un’espressa disposizione normativa in tal senso ovvero della riconducibilità della sua deduzione all’esercizio di un diritto potestativo. Si è invece in presenza di un’eccezione in senso lato che può essere allegata dalla parte o rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, purchè essa emerga dagli atti di causa.

8.2. Peraltro, parte ricorrente, pur lamentando la tardività della eccezione o del rilievo, neppure specifica quando, come e in che termini il fatto della “stabilizzazione” sarebbe entrato del giudizio e, soprattutto, non lamenta alcuna violazione del diritto di difesa, sicchè correttamente il giudice del merito ne ha tenuto conto quale fatto estintivo del diritto preteso.

8.3. Nè è corretta l’ulteriore deduzione della difesa dei ricorrenti secondo cui il giudice non avrebbe dovuto accogliere l’appello del MIUR, ma limitarsi a dichiarare cessata la materia del contendere per avere i ricorrenti ottenuto il bene della vita agognato: è evidente sia dalla lettura della sentenza impugnata che dallo stesso tenore del ricorso per cassazione che non è affatto venuto meno l’interesse della parte ad una pronuncia sul merito, insistendo ancora parte ricorrente per l’ulteriore risarcimento del danno nonostante l’intervenuta stabili7zazione. Altrettanto correttamente il giudice ha regolato le spese compensandole, in ragione della parziale soccombenza della parte appellante.

9. Il quinto motivo è inammissibile.

La parte ricorrente non censura adeguatamente la ratio decidendi della Corte veneziana, la quale, sul presupposto che la domanda avente ad oggetto il riconoscimento dell’anzianità maturata anche per effetto dei rapporti di lavoro a tempo determinato e delle conseguenti differenze retributive fosse stata rigettata dal tribunale (punto 2 della sentenza, pagina 3), ha ritenuto necessaria la proposizione di un’autonoma impugnazione, sia pure nella forma incidentale, non essendo sufficiente la mera riproposizione della questione in appello.

Questa Corte (Cass. 27/12/2019, n. 34546, richiamando Cass. 18/11/2016, n. 23535) ha già avuto modo di chiarire i confini tra la domanda di ricostruzione della carriera, quale effetto riflesso della domanda di conversione dei contratti a termine in rapporto a tempo indeterminato, che resta assorbita evidentemente nel rigetto di tale domanda, e la diversa pretesa avente ad oggetto la ricostruzione di carriera spettante al dipendente reiteratamente assunto a tempo determinato che invochi a proprio fondamento la violazione del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’Accordo quadro. Ne consegue che una domanda incentrata sull’abuso nell’utilizzo dei contratti a termine non include la domanda relativa alla violazione del principio di non discriminazione, fondata su una diversa e autonoma causa petendi. E’ stato infatti precisato: “La pretesa di considerare i contratti a termine in connessione tra loro e di sommare l’anzianità così maturata nei contratti precedenti, per ottenere, in quelli successivi, il riconoscimento di aumenti retributivi collegati all’anzianità, da un lato non postula l’impugnativa dell’illegittimità dei contratti a termine stipulati, ma dall’altro non può neppure ritenersi in questa ricompresa implicitamente”.

Nel caso di specie, la corte territoriale ha implicitamente ma chiaramente ritenuto che la domanda avente ad oggetto il riconoscimento dell’anzianità pregressa fosse stata posta in modo autonomo rispetto alla domanda di conversione nonchè a quella di risarcimento del danno da abusiva reiterazione.

A fronte di tale affermazione era onere di parte ricorrente dimostrarne l’erroneità e, in primo luogo, dimostrare quale fosse la specifica causa petendi posta a sostegno della domanda di pagamento delle differenze retributive, e se essa fosse autonoma o piuttosto collegata alla domanda di risarcimento del danno da illegittimo ricorso al contratto a tempo determinato. A tal fine appare del tutto inadeguata la sintesi delle conclusioni rassegnate nel ricorso di primo grado (riportate a pagina 6 e 7 del ricorso per cassazione) in mancanza di elementi da cui desumere la causa petendi delle “provvidenze stipendiali” richieste.

Il deficit di autosufficienza di questo motivo di ricorso si riscontra altresì nella mancata trascrizione della memoria di costituzione del giudizio di appello, sicchè non si apprezza se, ed in che termini, la domanda sarebbe stata riproposta. Deve aggiungersi che la parte non trascrive la sentenza del tribunale, sia pur limitatamente alla parte in cui avrebbe ritenuto assorbita la domanda in esame, non la deposita in questa sede nè, infine, deposita la memoria difensiva in appello di cui peraltro non offre elementi per una sua facile localizzazione nei fascicoli di parte o d’ufficio delle precedenti fasi del giudizio.

12. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

In ragione delle peculiarità delle questioni prospettate, solo di recente composte dall’intervento di questa Corte, si ritiene di compensare le spese del presente giudizio. I ricorrenti vanno comunque condannati al versamento dell’ulteriore importo pari al contributo unificato versato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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