Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1191 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PUTATURO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 04799/2014 R.G. proposte da:

Rende One s.r.l., (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.

Giuseppe Falcone, elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’avv. Antonio Iorio, in Roma corso Vittorio Emanuele II 287.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, (C.F. (OMISSIS)), in persona del direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 143/03/2013 della Commissione Tributaria

Regionale della Calabria, depositata il giorno 20 giugno 2013.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 14

ottobre 2020 dal Consigliere Giuseppe Fichera.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Rende One s.r.l. impugnò l’avviso di accertamento spiccato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRES, IRAP e IVA, per l’anno d’imposta 2006.

L’impugnazione venne accolta in primo grado, per inesistenza della notifica dell’atto impugnato; proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale della Calabria, con sentenza depositata il giorno 20 giugno 2013, lo accolse, respingendo per l’effetto tutte le doglianze della contribuente.

Avverso la detta sentenza, Rende One s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo mezzo deduce la Rende One s.r.l. violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 22 e 53, poichè l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate non è stato dichiarato inammissibile, nonostante l’omesso deposito della ricevuta di spedizione a mezzo posta del detto gravarne.

1.1. Il motivo non è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che nel processo tributario non costituisce motivo d’inammissibilità dell’appello – che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale -, il fatto che l’appellante, al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purchè nell’avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale; solo in tal caso, infatti, l’avviso di ricevimento è idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione.

Invece, in mancanza di detta asseverazione nell’avviso di ricevimento, ai fini della prova della tempestività della notifica dell’appello, è necessario che la ricezione del plico sia certificata dall’agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione della sentenza (Cass. S.U. 29/05/2017, n. 13452).

1.2. Orbene, nella vicenda che ci occupa l’appello venne notificato all’odierna ricorrente a mezzo del servizio postale con consegna del plico in data 11 luglio 2011, id est entro il termine di sessanta giorni – tenendo conto che il 9 luglio 2011 era p.1 di sabato – dalla notifica della sentenza di primo grado, avvenuta per come è incontroverso il 10 maggio 2011; dunque, pure a prescindere dall’omesso deposito in sede di appello della ricevuta di spedizione, deve ritenersi provata attraverso l’indicazione dell’avvenuta ricezione del plico contenuta nella copia in atti – la tempestività del detto gravame.

2. Con il secondo mezzo lamenta la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, avendo il giudice d’appello erroneamente ritenuto valida la notifica dell’avviso di accertamento, nonostante la sua inesistenza.

2.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Secondo l’orientamento costante di questa Corte, in caso di notificazione a mezzo posta dell’atto impositivo eseguita direttamente dall’Ufficio finanziario, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 14, si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, e non quelle di cui alla suddetta legge concernenti esclusivamente la notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 149 c.p.c., sicchè non va redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, senza necessità dell’invio della raccomandata al destinatario (Cass. 14/11/2019, n. 29642; Cass. 04/07/2014, n. 15315).

Dunque, deve ritenersi che l’avviso di accertamento per cui è giudizio, sia stato esattamente notificato alla contribuente dall’amministrazione finanziaria ricorrendo al mezzo postale, senza che possa discorrersi di nullità o addirittura di inesistenza della relativa notifica.

3. Con il terzo mezzo eccepisce la violazione degli artt. 2727, 2729, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), nonchè del D.P.R. 21 ottobre 1972, n. 633, art. 54, poichè il giudice di merito ha ritenuto la legittimità dell’accertamento impugnato, ancorchè lo stesso non fosse fondato su alcuna presunzione semplice.

4. Con il quarto mezzo denuncia ancora la violazione degli artt. 2727, 2729, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 23-bis, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), nonchè del D.P.R. 21 ottobre 1972, n. 633, art. 54, considerato che la commissione tributaria regionale ha ritenuto di riconoscere valenza presuntiva alla sola stima operata dai periti di un istituto di credito, in sede di concessione di un mutuo teso a consentire la realizzazione di taluni immobili dalla contribuente, successivamente trasferiti a terzi.

5. Con ii quinto mezzo deduce la violazione degli artt. 115,116 c.p.c., degli artt. 2727, 2729, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. 21 ottobre 1972, n. 633, art. 54, nonchè degli artt. 24 e 101 Cost., e dell’art. 6CEDU, poichè il giudice di merito ha ritenuto legittima la ripresa a tassazione oggetto della causa, ancorchè non vi fossero prove di sorta – non potendosi considerare tale la stima peritale effettuata da un terzo -, circa i maggiori redditi conseguiti dalla contribuente.

6. Con il sesto mezzo afferma la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), considerato che il giudice d’appello ha omesso di esaminare il fatto storico, decisivo per il giudizio, concernente la non idoneità della stima peritale redatta dai consulenti di un istituto di credito, a fondare la ripresa a tassazione per cui è lite.

6.1. Tutti i descritti motivi, connessi per il comune oggetto e quindi meritevoli di trattazione congiunta, sono parimenti inammissibili, per le ragioni di cui si dirà.

Lamentando plurime violazioni di legge in realtà la ricorrente intende sottoporre al Giudice di legittimità, in maniera inammissibile, una nuova rivalutazione degli elementi indiziari utilizzati per addivenire alla rideterminazione dei redditi per cui è giudizio.

E’ noto, del resto, che in tema di ricorso per cassazione, la censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 17/01/2019, n. 1229; Cass. 27/12/2016, n. 27000).

6.2. Nè può dirsi che la commissione tributaria regionale non abbia esaminato la questione concernente la negata valenza indiziaria della stima peritale sugli immobili compravenduti proveniente da un istituto di credito, avendo al contrario espressamente osservato, da un lato, che la valutazione sul patrimonio della contribuente operata dalla banca, sulla scorta della quale è stato presuntivamente rideterminato il reddito tratto dalla medesima a seguito della sua alienazione, doveva dirsi – necessariamente, vista la fonte della perizia – ispirata a criteri di sicura prudenza e, dall’altro, che almeno uno degli opifici realizzati dalla contribuente, era stato trasferito nei corso dell’esercizio sociale ad un prezzo addirittura superiore a quello indicato nella ridetta valutazione di provenienza bancaria.

7. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti della ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 10.000,00, oltre alle spese prenotate a debito e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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