Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11909 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 19/06/2020), n.11909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23405/2017 proposto da:

M.E., P.B., D.A.L., C.A.,

MA.MA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 11,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO DE FRANCISCIS, rappresentati

e difesi dall’avvocato LUIGI APICELLA;

– ricorrenti –

contro

LA PIRAMIDE SRL UNIPERSONALE, in persona del legale rappresentante

m.s., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

CLAUDIO D’AMATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1551/2017 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata

il 28/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/02/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CLAUDIO D’AMATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- D.A.L., P.B., M.E., C.A. e Ma.Ma. proposero opposizione avverso taluni atti di precetto, non meglio precisati, intimati da La Piramide s.r.l. società unipersonale e fondati su alcune “ordinanze di condanna alle spese” emesse nei loro confronti.

2. – L’opposizione venne rigettata dal Giudice di pace di Salerno con sentenza confermata dal Tribunale di Salerno in funzione di giudice di appello.

3. – Il tribunale in particolare rilevava che il titolo esecutivo posto in esecuzione nei confronti degli odierni ricorrenti era di formazione giudiziale, e precisamente trattavasi delle ordinanze emesse a chiusura della fase sommaria di una opposizione all’esecuzione, nell’ambito delle quale il giudice, dopo aver dichiarato la propria incompetenza per valore e rimesso la causa al giudice competente, aveva provveduto anche a liquidare le spese della fase sommaria. Osservava il tribunale che il vizio di quel titolo esecutivo avrebbe potuto essere fatto valere con il gravame avverso quel titolo di formazione giudiziale, e non con l’opposizione a precetto fondato su quel titolo. Rilevava poi che il provvedimento era stato in effetti impugnato, ma con il reclamo cautelare previsto dall’art. 669 terdecies c.p.c. e che lo stesso era stato dichiarato inammissibile, senza modificare il provvedimento impugnato e quindi senza in alcun modo incidere sulla condanna alle spese posta in esecuzione e opposta.

4. – Avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 1551 del 2017, pubblicata il 28.3.2017, gli opponenti hanno proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.

La Piramide s.r.l. ha resistito con controricorso.

La causa, dapprima rimessa alla trattazione in adunanza camerale non partecipata dinanzi alla sezione di cui all’art. 380 bis c.p.c., è stata poi rimessa alla discussione in udienza pubblica.

C’è memoria di parte controricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano genericamente violazione e falsa applicazione di norme, non meglio precisate, relative al processo esecutivo. Contestano singole affermazioni contenute nella sentenza ed affermano che l’ordinanza messa in esecuzione non fosse provvisoriamente esecutiva, quanto alle spese.

I precetti (di numero indeterminato) opposti conterrebbero l’intimazione di pagamento delle spese giudiziali liquidate dal tribunale che riteneva la propria incompetenza in ordine a talune (altrettanto non specificatamente indicate) opposizioni proposte dagli odierni ricorrenti. Dunque, il titolo esecutivo su cui si fondano i precetti opposti è costituito da altrettante ordinanze di incompetenza per valore adottate a chiusura della fase sommaria.

Sostengono i ricorrenti che tali ordinanze non avrebbero potuto contenere una valida condanna alle spese processuali e che, pertanto, sarebbe fondata l’opposizione dagli stessi proposta avverso tali atti di precetto ai sensi dell’art. 615 c.p.c..

Il motivo è in primo luogo inammissibile per carenza del requisito richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il ricorso, infatti, non contiene l’indicazione delle norme di diritto su cui si fonda e, in particolare, di quelle che si assumono violate (nè consente di evincerlo dalla piana lettura del motivo, senza dover compiere uno sforzo creativo che si sostituisca all’onere di denunciare con chiarezza la violazione di legge che si imputa al provvedimento impugnato).

Inoltre, l’esposizione in fatto è assolutamente confusa, al punto tale da configurare un’ulteriore causa di inammissibilità del ricorso, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, per la radicale inestricabilità del fatto, la confusione tra cause che determina e la mancanza di dati che consentano la identificazione delle parti e delle causae petendi di ognuna.

In ogni caso, la censura formulata dai ricorrenti non è pertinente, perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e non si pone in contrapposizione dialettica con essa.

Il Tribunale, in funzione di giudice d’appello, ha rilevato che il titolo posto in esecuzione era di formazione giudiziale e lo stesso, pertanto, avrebbe potuto essere rimosso soltanto esperendo il corretto strumento di impugnazione, mentre gli odierni ricorrenti, invece, impugnarono quelle ordinanze con uno strumento indicato come del tutto inappropriato dal tribunale, il reclamo cautelare previsto dall’art. 669 terdecies c.p.c.. Dichiarata, ovviamente, l’inammissibilità del reclamo, le ordinanze contenenti la condanna al pagamento delle spese processuali divennero irrevocabili, con la conseguente inammissibilità di ogni ulteriore doglianza proposta in sede esecutiva.

Questo ragionamento, esposto nella sentenza impugnata, non viene minimamente scalfito dal ricorso, che si limita a ribadire che le ordinanze che pronunciano sull’incompetenza non possono contenere una condanna alle spese processuali.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano omesso esame ed omessa rappresentazione di un fatto decisivo rappresentato, assumendo che il tribunale avrebbe revocato il decreto ingiuntivo munito di provvisoria esecuzione che ha costituito il titolo sulla base del quale sono stati notificati i vari precetti. Tale circostanza, sostengono i ricorrenti, avrebbe determinato la caducazione degli effetti dei provvedimenti posti a fondamento dei precetti opposti, in quanto adottati nel corso della causa di opposizione a decreto ingiuntivo.

Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non essendo stata fornita alcuna evidenza nè dell’avvenuta revoca del decreto ingiuntivo e, tantomeno, della data in cui sarebbe intervenuta: i ricorrenti non forniscono neppure il numero della sentenza che questo decreto avrebbe revocato, non la producono, non indicano quando sia stata in precedenza prodotta e quale collocazione abbia nei fascicoli di merito.

In ogni caso, ciò non sarebbe neppure determinante se la statuizione sulle spese nei loro confronti, per il disordine con il quale è stata condotta la vicenda processuale da parte degli attuali ricorrenti, fosse nelle more divenuta definitiva, oppure se non si fosse impugnata la successiva liquidazione all’esito della fase di merito.

Con il terzo motivo contestano la condanna alle spese perchè la complessità delle questioni avrebbe legittimato quanto meno una compensazione.

Il motivo è del tutto inammissibile, innanzitutto perchè non contiene neppure una censura in diritto, espone semplicemente le ragioni di opportunità che a loro avviso avrebbero dovuto indurre a privilegiare una compensazione delle spese di lite.

In generale, è inammissibile la censura che lamenti la mancata compensazione delle spese dei gradi di merito, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., dal momento che, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. n. 14989/05 e numerose altre). Trattasi di principio applicabile anche dopo le modifiche dell’art. 92 c.p.c., comma 2, perchè l’obbligo di motivazione imposto da questa norma riguarda l’ipotesi in cui la compensazione sia disposta, ma non anche l’ipotesi in cui si segua il principio della soccombenza (che l’art. 91 c.p.c., pone come regola in tema di riparto delle spese di lite, essendo la compensazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, prevista come eccezione). Poichè nella specie il giudice ha osservato l’art. 91 c.p.c., è inammissibile la censura che si basa su norma non applicata, e soltanto discrezionalmente applicabile.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 e la parte ricorrente risulta soccombente; pertanto, è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200,00 per compensi, oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dall’estensore anche nella qualità di consigliere anziano del collegio in luogo del presidente, per impedimento di questi, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a), (Decreto Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione del 18-19/03/2020, n. 40).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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