Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11906 del 10/06/2016

Cassazione civile sez. III, 10/06/2016, (ud. 15/02/2016, dep. 10/06/2016), n.11906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. TANTAGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1152/2014 proposto da:

G.E., (OMISSIS), domiciliato ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato MAURIZIO BONAFACCIA giusta procura speciale

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.V., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

VANIA SABETTA difensore di sè medesimo;

– controricorrente –

e contro

UNIPOL ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5670/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/11/2012, R.G.N. 4948/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato MAURIZIO BONAFACCIA;

udito l’Avvocato ALESSANDRO RUSSO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Gi.El. conveniva in giudizio l’avvocato S. V., deducendone l’inadempimento al mandato che le aveva conferito per difenderlo nella controversia insorta tra lo stesso attore e tale R.D., in ordine alla compravendita di una roulotte Roller, della quale il Gi. non aveva ricevuto la consegna pur avendone pagato per intero il prezzo. L’attore esponeva che, avendo l’avv. S. introdotto il giudizio dinanzi al Tribunale di Rieti per la condanna del R. all’adempimento dell’obbligazione di consegna ovvero per la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo, all’ultima udienza l’avvocato aveva modificato le conclusioni originarie, chiedendo tra l’altro in via gradata la condanna del R. al pagamento in favore dell’attore della somma di Lire 17.400.000 o di altra ritenuta di giustizia per l’omessa custodia e la mancata restituzione del bene. Deduceva che, a causa dell’introduzione di questa nuova domanda e della mancata proposizione di appello incidentale per l’accoglimento dell’originaria domanda di risoluzione del contratto e restituzione del prezzo, la domanda, accolta in primo grado con sentenza del Tribunale di Rieti n. 221/96, era stata invece ritenuta nuova in grado di appello. Perciò, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1329/00, accogliendo il gravame del R., aveva rigettato le domande proposte dal Gi. con la citazione originaria, compensando tra le parti le spese del doppio grado. Ritenendo la responsabilità professionale del proprio difensore, avv. S. V., l’attore ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno subito corrispondente al prezzo pagato per la roulotte mai consegnata, pari ad Euro 8.986,13, ovvero alla maggiore o minore somma risultante in corso di causa, oltre interessi dalla data dell’esborso (20 ottobre 1990) o da altra data ritenuta di giustizia, fino al soddisfo.

1.1.- Si costituiva in giudizio l’avv. S.V., contestando la domanda, e chiedendo ed ottenendo di chiamare in causa la propria compagnia di assicurazione per la responsabilità professionale.

Si costituiva anche quest’ultima, Unipol S.p.A., chiedendo che fosse dichiarata inesistente o prescritta la garanzia assicurativa;

nel merito, che fosse respinta la domanda risarcitoria.

1.2.- Il Tribunale di Rieti, ritenendo dirimente la circostanza che la sentenza della Corte d’Appello n. 1329/00 non era stata impugnata in cassazione, rigettava la domanda risarcitoria, compensando tra le parti le spese di lite.

2.- Avverso la sentenza proponeva appello Gi.El.. Gli appellati avv. S. ed Unipol S.p.A. si costituivano, contestando il gravame.

Con la decisione qui impugnata, pubblicata il 13 novembre 2012, la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello, compensando tra le parti le spese del grado.

3.- Gi.El. propone ricorso affidato a sette motivi.

L’avv. S.V. resiste con controricorso.

L’altra intimata non si difende.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il sesto motivo di ricorso pone la questione centrale, alla quale risultano collegati, per le ragioni di cui appresso, i primi tre ed il quinto motivo.

Col sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2230 e 2236 c.c., per errata valutazione della gestione della lite da parte dell’avv. S.. Secondo il ricorrente, avrebbe errato la Corte d’Appello ad escludere la colpa professionale, senza considerare che la controversia tra Gi. e R. era di semplice soluzione; che la proposizione irrituale di domanda nuova costituirebbe “errore grave derivante da colpa gravissima”; che la mancata proposizione di appello incidentale rivelerebbe “una condotta colposa giuridicamente rilevante e sanzionabile con responsabilità professionale”.

1.1.- Col primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 163, in relazione all’art. 164 c.p.c., perchè la sentenza impugnata non ha affermato la responsabilità professionale dell’avv. S. che sarebbe consistita nell’avere confezionato, nel primo grado del giudizio per la restituzione della roulotte, un atto di citazione nullo, in quanto mancante della domanda di restituzione fondata sulla violazione dell’obbligo di custodia.

1.2.- Col secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., e degli artt. 99, 101 e 183 c.p.c., perchè la sentenza impugnata non ha rilevato che la domanda di condanna per omessa custodia avanzata dall’avv. S. soltanto in sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di cui sopra, sarebbe stata una domanda nuova, sicuramente “tardiva e vietata nel procedimento civile”.

1.3.- Col terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., perchè il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto del divieto di proporre domande nuove e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai quali l’avv. S. non si sarebbe attenuta nel giudizio dinanzi al Tribunale di Rieti concluso con la sentenza poi riformata, ai danni del Gi., dalla Corte d’Appello di Roma.

1.4.- Col quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. e segg., perchè il giudice d’appello avrebbe considerato “inutile” la proposizione dell’appello incidentale nella causa inerente la compravendita della roulotte, mentre lo strumento processuale sarebbe stato necessario per “mantenere in vita e far esaminare” dal giudice di secondo grado le domande non accolte dal primo giudice e perciò avrebbe offerto al Gi. l’unica possibilità che la Corte d’Appello accogliesse le domanda originarie. La responsabilità professionale dell’avv. S. sarebbe consistita appunto, tra l’altro, nel non aver proposto il gravame incidentale.

1.5.- In sostanza, con questi ultimi quattro motivi si ribadiscono i quattro addebiti mossi al legale incaricato della difesa nel giudizio instaurato dal Gi. contro il R. – 1) non aver inserito nell’atto di citazione anche la domanda di condanna del R. per omessa custodia della roulotte acquistata dal Gi.; 2) aver proposto tardivamente la detta domanda di condanna del R. per omessa custodia, soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado; 3) aver chiesto in sede di gravame soltanto la conferma della sentenza di primo grado, malgrado con questa fosse stata accolta una domanda, da reputarsi nuova, sulla quale la difesa del R. aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio; 4) aver omesso l’appello incidentale con la riproposizione di tutte le domande contenute nell’atto di citazione in primo grado – e si attribuiscono alla Corte d’Appello i corrispondenti asseriti errori di diritto che l’avrebbero condotta all’errore di ritenere insussistente l’elemento soggettivo della colpa, denunciato col sesto motivo.

2.- Il sesto motivo è infondato; gli altri sono inammissibili.

Questa Corte, con giurisprudenza ormai consolidata, ha affermato che la responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, da commisurare alla natura dell’attività esercitata, non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente (cfr. Cass. n. 5928/02, n. 6967/06, e, da ultimo, Cass. n. 10289/15) ed inoltre che l’avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 c.c., in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, compromette il buon esito del giudizio, mentre nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave. Pertanto, l’inadempimento del suddetto professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata, ragion per cui l’affermazione della sua responsabilità implica l’indagine – positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l’onere di fornire –

circa il sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo (così Cass. n. 16846/05).

2.1.- I principi di diritto che governano la fattispecie sono stati correttamente applicati dal giudice di merito quando ha valutato il profilo soggettivo della responsabilità del professionista adottando come parametro di riferimento la diligenza media richiesta ad un avvocato civilista in una situazione sostanziale e processuale quale quella oggetto di controversia.

La Corte ha esaminato, alla stregua di tale criterio di giudizio (espresso nell’affermazione per cui “per valutarsi la diligenza del professionista nell’impostazione della linea difensiva debba effettuarsi una valutazione ex ante delle scelte difensive e non limitarsi a constatarne l’esito sfavorevole”), i quattro addebiti mossi dal Gi. all’avv. S. (come sopra riportati), reputando quanto segue:

– l’impostazione difensiva in primo grado “era sostanzialmente corretta”, in quanto era stato dedotto l’inadempimento del R. all’obbligo di consegna della roulotte e così il legale aveva “pienamente assolto l’onere di allegazione”;

– “è opinabile che la precisazione compiuta dalla parte potesse costituire domanda nuova”; e ciò anche in considerazione del fatto che, una volta allegato l’inadempimento dell’obbligo di consegna, non era “indispensabile” dedurre anche l’inadempimento di un obbligo (accessorio) di custodia;

– non censurabile la mancata proposizione dell’appello incidentale per due ordini di ragioni:

– l’appello principale “non appariva fondato” (vale a dire, prima facie fondato) essendo “fortemente opinabile” l’esistenza di una mutatio libelli;

– la giurisprudenza era all’epoca (ed è ad oggi) tutt’altro che univoca circa la necessità che la parte vittoriosa in primo grado debba proporre appello incidentale.

La motivazione è atta a supportare il giudizio di mancanza sia di negligenza (peraltro nemmeno puntualmente configurata dal ricorrente) sia di imperizia (sotto tutti e quattro i profili sostenuti con l’appello, e poi col ricorso).

Invero, può darsi imperizia tale da dare luogo a responsabilità per colpa, soltanto quando il legale mostri di non conoscere o violi precise norme di legge ovvero sbagli nel risolvere questioni giuridiche la cui soluzione non presenti alcun margine di opinabilità. Quanto alla scelta della strategia processuale, la sua adeguatezza o meno a raggiungere il risultato perseguito dal cliente non può essere certo valutata ex post, a seconda dell’esito del giudizio; piuttosto, trattasi di valutazione ex ante, rimessa al giudice di merito. L’esclusione dell’imperizia professionale è corretta ogniqualvolta il giudice riscontri (e motivi in merito al)la ricorrenza di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità, in astratto ovvero in riferimento alla situazione concreta, tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive del patrocinatore in giudizio anche se questo si conclude con la soccombenza del cliente.

Di questa opinabilità, nel caso di specie, ha dato atto la Corte d’Appello.

La sua decisione si sottrae pertanto alla censura di violazione di legge, specificamente degli artt. 1176 e 2236 c.c., lamentata col sesto motivo, che va perciò rigettato.

3.- Gli altri motivi ripropongono, in sede di legittimità, questioni di diritto agitate nel processo civile nel quale si è svolta l’attività professionale del legale resistente.

Tuttavia, il giudizio su tali questioni è riservato – come detto –

al giudice di merito. Nel procedervi, quest’ultimo, pur muovendosi su un piano necessariamente tecnico – giuridico, e non di accertamento di fatti storici, non è però chiamato a risolvere ex novo le stesse questioni agitate nel giudizio nel quale l’avvocato ha svolto l’attività professionale che si assume negligente o imperita, ma soltanto a verificare che la scelta difensiva adottata nel caso di specie avesse tenuto conto delle norme di legge applicabili ed, in caso di opinabilità, fosse comunque plausibile, alla stregua degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali invocati a sostegno.

Il controllo rimesso alla Corte di cassazione su siffatta attività valutativa del giudice del merito non ha ad oggetto la soluzione in termini giuridici delle questioni poste alla sua attenzione (cfr.

Cass. n. 3355/14), ma soltanto la completezza dell’esame (vale a dire il fatto che il giudice si sia occupato di tutti quanti gli addebiti mossi all’avvocato) e la correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito per affermare (od escludere) la difficoltà o la controvertibilità delle questioni e conseguentemente escludere (od affermare) la violazione dell’obbligo di diligenza media.

3.1.- La Corte d’appello ha escluso che nell’atto di citazione presentato dall’avv. S. nell’interesse di Gi.

dovesse essere inserita la domanda di condanna del convenuto per omessa custodia: col primo motivo di ricorso, non si censura la relativa valutazione, come sopra riportata (e positivamente riscontrata anche dal dato processuale, di cui è detto nel controricorso, che soltanto con la comparsa di costituzione in primo grado il convenuto in quel giudizio eccepì che la roulotte era stata rubata, introducendo così un fatto nuovo rispetto al quale soltanto venne meno la possibilità di chiedere l’adempimento dell’obbligo di consegna e si configurò la violazione dell’obbligo di custodia).

La Corte d’appello ha escluso che la domanda di condanna del R. per violazione dell’obbligo di custodia potesse essere considerata, con assoluta certezza, tardiva: col secondo e col terzo motivo non si censura la relativa valutazione circa l’opinabilità ex ante di siffatta novità, ma si insiste nel motivo d’appello già rigettato. Il ricorrente non tiene conto di quanto affermato dal giudice d’appello circa la portata dell’originaria domanda (essere l’allegazione di omessa consegna potenzialmente comprensiva dell’allegazione di omessa custodia), nè considera le norme processuali applicabili (che, contrariamente a quanto si assume nel ricorso ed in linea con quanto invece sostenuto nel controricorso, erano quelle precedenti l’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 353 del 1990, in quanto quel giudizio era stato introdotto con citazione dell’8 gennaio 1991).

La Corte d’Appello ha escluso che fosse con certezza proponibile l’appello incidentale: col quinto motivo non si censurano affatto le ragioni che hanno indotto il giudice di merito ad esprimere un siffatto giudizio di opinabilità della questione sotto due distinti profili (uno dei quali, peraltro, fondato su un precedente di questa Corte, assolutamente in termini, quale è Cass. n.14086/10).

Dato quanto sin qui detto, i primi tre motivi ed il quinto motivo di ricorso, poichè mancanti di specificità rispetto alla decisione impugnata, sono inammissibili.

4.- Col quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., perchè la sentenza impugnata sarebbe viziata da contraddizione tra la parte in cui ha accolto il motivo di gravame del Gi. circa la mancanza di decisività dell’omesso ricorso per cassazione avverso la sentenza di rigetto delle sue domande contro il R. – omessa impugnazione, su cui invece il Tribunale aveva fondato il rigetto della domanda per responsabilità professionale dell’avv. S. – e la parte in cui non ne avrebbe tratto la conseguenza di accogliere siffatta domanda.

4.1.- Il motivo non merita di essere accolto.

Non sussiste affatto l’insanabile contrasto logico o giuridico tra distinte affermazioni del giudice che dovrebbero dare luogo addirittura al vizio di mancanza di motivazione (unico configurato dal ricorrente mediante il richiamo dell’art. 132 c.p.c.). Piuttosto, si ha il fisiologico dissenso tra giudice di secondo grado e giudice di primo grado che non necessariamente deve portare, quando sussistente, ad una decisione di merito del primo opposta a quella adottata dal secondo. Essendo demandato al giudice d’appello il nuovo esame del merito della controversia, nei limiti del devoluto, non è viziata la sentenza di secondo grado che giunga alla medesima decisione di merito di quella del primo grado sulla base di diverse ragioni di fatto e/o di diritto.

5.- Col settimo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti “e precisamente l’avvenuta rinuncia a tutte le domande di primo grado con acquiescenza alla sentenza del Tribunale pronunciata tra Gi. e R.”, che sarebbe conseguita alle conclusioni rassegnate in appello dall’avv. S., di sola conferma della sentenza di primo grado.

5.1.- Il motivo pone una questione (che attiene in sostanza al mancato rispetto, nell’atto di appello de quo agitur, dell’art. 346 c.p.c.) che non risulta affrontata nella sentenza impugnata.

Pertanto, il ricorrente avrebbe dovuto dare conto in ricorso se e quando la questione fosse stata posta nei pregressi gradi di giudizio (cfr. Cass. n. 25546/06 ed altre).

In mancanza, il motivo è inammissibile.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida complessivamente nell’importo di Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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