Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11901 del 10/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 10/06/2016, (ud. 09/02/2016, dep. 10/06/2016), n.11901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5027/2013 proposto da:

CIFO SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante sig.

G.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI

PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato DANIELA JOUVENAL, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABIO FLORIO, BRUNO

MICOLANO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G., ASSOCIAZIONE AGRICOLA UVA ITALIA;

– intimati –

avverso la sentenza n 1145/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 12/07/2012, R.G.N. 1948/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato BRUNO MICOLANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2000 C.G. in proprio e nella qualità di legale rappresentante della associazione agricola “Uva Italia” convenne in giudizio la C.I.F.O. s.p.a. al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Espose di essere proprietario di un fondo rustico sito in (OMISSIS) in gran parte impiantato a vigneto per la produzione di uva da tavola, qualità Italia e Red Globe, e che all’inizio del 1996 i tecnici della Cifo lo avevano convinto ad impiegare nelle sue coltivazioni il fitormone “Gibresol” e che sotto la direzione assistenza di tali tecnici una parte della superficie del fondo era stata avviata al trattamento con quel prodotto in applicazione del quale, la Cifo, aveva garantito la produzione di uva di buona pezzatura, dimensione del grappolo e anticipazione della maturazione. Ma, al contrario di quanto promesso dalla Cifo, i risultati erano stati pessimi, le piante a causa dell’impiego del fitormone avevano subito gravi anomalie che si erano sostanziate nella diminuzione della produttività del 60% sia nell’annata agraria 1996 che nell’annata agraria 1997, e che avendo vanamente richiesto il risarcimento dei danni alla Cifo era stato costretto ad effettuare un accertamento tecnico preventivo dei luoghi e delle condizioni delle colture in esito al quale era stato accertato il nesso fra le anomalie riscontrate e l’utilizzo dei fitormoni.

La Cifo si difese contestando la fondatezza in fatto in diritto della domanda in particolare con riferimento alla sussistenza del nesso causale fra l’impiego del prodotto e i pretesi danni derivati alle colture.

Il Tribunale di Ragusa con la sentenza numero 515/2005 accolse la domanda del C. condannò la Cifo al pagamento, titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 78.569 oltre interessi legali dalla data dell’evento lesivo fino al soddisfo.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Catania, con sentenza n. 1145 del 12 luglio 2012.

3. Avverso tale decisione, la Cifo s.p.a. propone ricorso in Cassazione sulla base di 4 motivi, illustrati da memoria.

3.1. Gli intimati non svolgono attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, art. 360 c.p.c., Giuseppe. Gli elementi posti alla base del nesso di causalità”.

Lamenta la società che le affermazioni sulla base delle quali viene giustificata la sussistenza di un nesso causale tra l’utilizzo del Gibresol ed i danni riportati alla coltura dell’attore appaiano in contrasto con i criteri ermeneutici costantemente utilizzati dal diritto vivente. In particolare la decisione impugnata sancisce che l’esclusione di un nesso causale tra l’utilizzo del fitofarmaco ed i danni lamentati dal C. non può essere dedotta da sulla base del fatto che in quell’anno vi sarebbero state abbondanti predpitazioni che hanno colpito il territorio ragusano, in quanto se le piogge fossero state eccessive avrebbero danneggiato dalla produzione e non solo la parte del vigneto trattato con il gibresol, come è invece accaduto ed è rimasto incontestato. La Corte d’Appello ha errato perchè l’incidenza del fattore anomalo rappresentato dalle abbondanti precipitazioni doveva essere valutata tenendo conto delle interazioni a cui può dar vita interagendo con lo specifico prodotto considerato. La motivazione della sentenza ha invece escluso il ricorso della causa anomala.

Il motivo è infondato.

La ricorrente pur denunciando, apparentemente, violazione di legge ed una insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di secondo grado, chiede in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (Cass. n. 21381/2006).

Ma in ogni caso la Corte d’Appello con una motivazione scevra da qualsivoglia vizio logico-giuridico ha con chiarezza rilevato che la prova del nesso causale si fonda su più elementi che vanno: a) dalle dichiarazioni dei testi escussi in primo grado, la cui attendibilità non è mai stata censurata dalla società ricorrente, secondo cui le anomalie riscontrate sul fondo erano per la prima volta comparse proprio in esito al trattamento in questione e che le dosi e i modi d’impiego del prodotto erano state costantemente seguiti dal personale tecnico della Cifo; b) dalla consulenza tecnica d’ufficio nella quale non erano state riscontrate altre cause determinanti le anomalie verificatosi nei fondi in quanto gli stessi erano collocati in posizione favorevole; c) dall’esito della ATP che aveva accertato che le anomalie della crescita delle piante si era verificata solo nelle parti di terreno trattata con il fitormone; d) dal riscontro effettuato dal che nel foglietto illustrativo allegato alle confezioni del fitofarmaco non rientrava la vite tra i tipi di coltivazione per cui si consigliava l’uso di quel prodotto. Ed infine che non era idoneo ad interrompere il nesso causale il rilievo delle precipitazioni che avevano colpito il territorio del ragusano perchè avrebbero dovuto danneggiare tutti terreni e non solo quelli trattate con il Gibresol.

Ebbene tutti questi elementi da soli sono sufficienti a provare il nesso causale e le censure non sono sufficienti a scalfire la struttura della sentenza.

4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “omessa applicazione e violazione del D.P.R. n. 244 del 1988, artt. 1, 5 e 6, oggi rifluiti nel D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, rispettivamente negli artt. 114, 117 e 118 cod. consumo”.

Il ricorrente sostiene che la pronuncia della Corte d’Appello ha sancito la responsabilità del produttore del Gibresol assumendo che sussiste un nesso di causalità tra l’impiego del prodotto e di danni derivati alle colture dell’attore. Ma la condanna al risarcimento dei danni viene motivata richiamando l’art. 2043 c.c., senza fare alcun riferimento esplicito alle norme che governano la responsabilità del produttore, omettendo di motivare adeguatamente circa la sussistenza del carattere difettoso del prodotto e infine non prendendo in esame le norme sulla sicurezza generale dei prodotti.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 13 della direttiva 85/374/CEE; violazione degli artt. 1, 6 e 7 della direttiva 85/374/CEE in combinato disposto con l’art. 4 della diretttiva 92/59/CEE relativa alla sicurezza generale dei prodotti e con la direttiva 91/414/CEE relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari. Rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE”.

Lamenta la società che la Corte d’Appello ha errato perchè ha applicato le norme generali previste agli artt. 2043 c.c. e segg., al posto di quelle previste dal D.P.R. n. 244 del 1988 e conseguentemente ha fatto discendere la responsabilità del produttore a prescindere da un accertamento sulla difettosità del prodotto condotto sulla base del raffronto tra gli standards di sicurezza sanciti dalla disciplina in tema di fitoregolatori e quindi in violazione di quelli che sono i principi europei che sono stati delineati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Innanzitutto occorre precisare che non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ove la parte si limiti a censurare direttamente l’incompatibilità con il diritto dell’Unione delle conseguenze “di fatto” derivanti dall’interpretazione del diritto interno senza sollecitare un’interpretazione generale ed astratta di una normativa interna. Pertanto la prospettata richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia risulta infondata e va rigettata.

Nel merito, il secondo e terzo motivo possono essere esaminati insieme perchè strettamente connessi e sono infondati.

E’ principio di questa Corte che non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito, nè rilevabili di ufficio.

Nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. (Cass. n. 17041/2013;

Cass. n. 19164/2007). Come è appunto avvenuto nel caso di specie.

Infatti a pag. 13 del ricorso la società ricorrente introduce l’elemento nuovo del prodotto certificato.

Ma in ogni caso l’art. 127 del codice del consumo afferma che “Le disposizioni del presente titolo non escludono ne limitano i diritti attribuiti al danneggiato da altre leggi”. In questo modo si è ritenuto che il danneggiato possa scegliere nelle ipotesi regolate dalla disciplina sulla responsabilità da prodotti difettosi si agire in base alla nuova normativa o in virtù di altre disposizioni che dovessero risultare applicabili.

4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la “violazione degli artt. 191 e 192 c.p.c.”.

La Cifo solleva anche questione di costituzionalità dell’art. 61 c.p.c., comma 1, nella parte in cui non prevede che l’incarico di consulente tecnico non possa essere ricoperto da chi è stato già nominato consulente tecnico a norma dell’art. 696 c.p.c., comma 2, nell’ambito dello stesso procedimento per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.. La norma, secondo la ricorrente, contrasta con l’articolo 3 della Costituzione per l’evidente disparità di trattamento del cittadino che è parte di un giudizio in cui la consulenza tecnica viene affidata allo stesso perito che ha già conosciuto i fatti di causa in fase di istruzione preventiva in qualità di ATP, rispetto al cittadino che in giudizio viene sottoposto alla valutazione tecnica di un consulente terzo sino a quel momento estraneo ai fatti di causa. Detta norma contrasta con l’art. 24 Cost., sotto il profilo della carenza di imparzialità di giudizio del consulente che sia già stato impegnato in una precedente ed autonoma fase del processo e che, avendo maturato, in ragione dell’ufficio svolto un’opinione sui fatti di causa inevitabilmente ne viene condizionato, valutando i fatti in maniera analoga. La Corte d’Appello avrebbe quindi errato nel motivare l’esclusione della fondatezza della questione esposta ribadendo che la nullità della nomina del c.t.u. in quanto designato nella stessa persona del consulente tecnico già nominato per l’espletamento dell’ATP avrebbe dovuto essere rilevato unicamente quale causa di ricusazione nel termine di cui al disposto dell’art. 192 c.p.c., comma 2. Aggiunge che nel caso di specie non solo non risulta che sia mai stata dedotta la ricusazione del detto c.t.u. ma peraltro non poteva certo esserlo come invece accaduto nel caso in esame dopo il deposito della relazione ad assolvimento dell’incarico già avvenuto.

Anzitutto manifestamente infondata si rivela la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente in quanto la consulenza tecnica non ha funzione decisoria ma costituisce un mezzo di ausilio per il giudice volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti.

Nè, tantomeno, vi può essere una lesione del diritto di imparzialità perchè possono essere attivati gli strumenti previsti dal codice, quale la ricusazione.

Nel merito il motivo è infondato.

La Corte d’Appello ha infatti applicato i principi già espressi da questa Corte secondo cui la mancanza di imparzialità del consulente tecnico d’ufficio può essere fatta valere esclusivamente mediante lo strumento della ricusazione, nel termine di cui all’art. 192 c.p.c..

La mancata proposizione dell’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio nel termine di cui all’art. 192 cv.p.c., preclude definitivamente la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità, con la conseguenza che la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo, non rilevando che il consulente tecnico d’ufficio non abbia osservato l’eventuale obbligo di astensione (Cass. 12822/2014; Cass. 8406/2014; Cass. 12004/2009).

Nel caso di specie la questione è stata sollevata solo dopo l’assolvimento dell’incarico e al di fuori dei termini previsti per la ricusazione.

5. In considerazione che gli intimati non hanno svolto attività difensiva nulla spese.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e nulla spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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