Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11898 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 18/06/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 18/06/2020), n.11898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17919-2016 proposto da:

IPE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO VENETO 7, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO TARTAGLIA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FEDERICO DALLA VERITA’;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA V.

BRUNACCI 19, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO CASCIO GIOIA,

rappresentato e difeso dagli avvocati ROMANO PILLI, SIMONE

FERRADINI, LANDO FERRADINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 25/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/02/2016 R.G.N. 375/2012.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

che con sentenza n. 25/2016, depositata il 15/2/2016, la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede, ha ritenuto ingiustificato il licenziamento intimato da IPE S.r.l. a P.G. in data 29/9/2010 per mancato superamento del patto di prova, trattandosi di recesso fondato unicamente su di un patto di prova inesistente o invalido, e ha condannato di conseguenza la società al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, dell’indennità supplementare (stante la qualifica dirigenziale con cui il lavoratore era stato assunto) e di altre voci retributive;

– che la Corte ha osservato a sostegno della propria decisione che la lettera del 2/4/2010, contenente il patto, era da intendersi come una semplice manifestazione di intenti o, al più, come la promessa di stipulazione di un futuro contratto e che, avendo l’appellante iniziato a prestare la propria attività il 7 aprile successivo, senza che gli fosse consegnata una formale e completa lettera di assunzione, era da ritenere che il rapporto di lavoro fosse sorto a tempo indeterminato; che non rilevava in senso contrario il fatto che, nel contestare il testo della “lettera di assunzione” pervenutagli il 19/4/2010, poichè recante condizioni difformi rispetto a quelle indicate nel documento in data 2/4/2010, l’appellante avesse parlato di una “precedente lettera di assunzione”, trattandosi, anche in relazione alla condotta tenuta dalle parti, di una qualificazione impropria e non vincolante nella interpretazione e nell’inquadramento giuridico del predetto documento; che la Corte ha poi rilevato, in subordine a tali considerazioni, come il patto di prova, ove pure operativo e vincolante per le parti, fosse comunque invalido perchè carente del requisito essenziale di specificazione delle mansioni oggetto della prova, non essendo stato ritualmente e tempestivamente prodotto in giudizio dalla società il c.c.n.l. per i Dirigenti della Piccola e Media Industria cui, nella lettera del 2/4/2010, era stato fatto rinvio per individuare le mansioni che il ricorrente avrebbe dovuto svolgere e sulle quali si sarebbe misurata la riuscita dell’esperimento;

– che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, affidandosi a quattro motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso, assistito da memoria.

Diritto

RILEVATO IN DIRITTO

che con i primi tre motivi la società censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il rapporto fra le parti si fosse instaurato (a far tempo dal 7/4/2010) come rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza previsione di un periodo di esperimento; al riguardo ha dedotto: 1) con il primo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1326,1362,1363,1366 e 1367 c.c. per avere la Corte di appello ritenuto che la lettera del 2/4/2010 non fosse altro che una mera espressione di intenti, omettendo, tuttavia, di attribuire la necessaria rilevanza sia al fatto che in essa erano stati fissati tutti gli elementi essenziali dell’accordo, sia allo specifico riconoscimento (e cioè che la lettera avesse natura e valore di contratto ex art. 1372 c.c.) contenuto nella dichiarazione in data 23/4/2010, con la quale il lavoratore aveva rilevato e contestato le differenze esistenti tra la nuova bozza di contratto inviatagli il 19/4/2010 e la “precedente lettera di assunzione su carta intestata” che gli era stata trasmessa dal legale rappresentante di IPE S.r.l. “a inizio aprile”, in particolare sottolineando come la Corte avesse trascurato di indagare quale fosse la reale intenzione dei contraenti e di fornire una lettura sistematica e coordinata dei documenti sottoposti al suo esame; 2) con il secondo motivo, la nullità del procedimento ex art. 360, n. 4, per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento agli artt. 2697 e 2735 c.c., per avere la Corte trascurato di valutare una prova legale acquisita al giudizio, prova costituita dalla dichiarazione in data 23/4/2010 avente valenza di confessione stragiudiziale e tale, per l’effetto probatorio suo proprio, di dare piena dimostrazione della natura contrattuale della lettera 2/4/2010; 3) con il terzo (subordinato) motivo, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento alla medesima dichiarazione in data 23/4/2010, avendo la Corte, nell’escluderne il carattere vincolante e il valore confessorio, reso argomentazioni apodittiche e carenti, in contrasto con gli stessi canoni interpretativi utilizzati nella disamina della lettera in data 2/4/2010; – che con il quarto motivo la società ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2096 c.c. e art. 115 c.p.c., comma 2, per avere la Corte erroneamente considerato rilevante la mancata produzione del c.c.n.l. Dirigenti Piccola e Media Industria, richiamato nella lettera 2/4/2010, facendo discendere da tale mancata produzione la nullità del patto di prova per carenza del requisito della specificazione delle mansioni, senza considerare che, proprio in quanto la lettera rimandava ad un contratto collettivo, le mansioni erano per ciò solo certamente determinabili;

osservato:

che il primo motivo non può trovare accoglimento;

– che, infatti, è stato più volte affermato che “ai fini della configurabilità di un vincolo contrattuale definitivo, è necessario che l’accordo delle parti si formi su tutti gli elementi di cui all’art. 1325 c.c., non potendosene ravvisare la sussistenza ove i contraenti abbiano raggiunto un’intesa soltanto sugli elementi essenziali, rinviando ad un momento successivo la determinazione di quelli accessori. Ciò non di meno, in base al generale principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., un contratto con gli effetti di cui all’art. 1372 c.c., può considerarsi perfezionato ove, alla stregua della comune intenzione delle parti, possa ritenersi che le stesse abbiano inteso come vincolante un determinato assetto, anche se per taluni aspetti siano necessarie ulteriori specificazioni, il cui contenuto sia, però, da configurare come mera esecuzione del contratto già concluso”

– (Cass. n. 30851/2018; conforme n. 2720/2009); ed inoltre precisato che “costituisce accertamento riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, valutare se l’intesa raggiunta dai contraenti abbia ad oggetto un regolamento definitivo del rapporto ovvero un documento con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio, e, nel compiere tale verifica, il giudice può fare ricorso ai criteri dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c., per ricostruire la volontà delle parti, tenendo conto sia del loro comune comportamento, anche successivo, sia della disciplina complessiva dalle stesse dettata” (Cass. n. 14006/2017);

– che a tali principi di diritto risulta essersi esattamente conformata la Corte di appello, la quale: (a) ha valutato il significato proprio e la portata del termine “intenzione”, presente nel testo della lettera in data 2/4/2010, anche alla stregua del complessivo contenuto del documento e della convergenza con l’oggetto dichiarato dello stesso (e cioè quello di una “lettera di impegno di assunzione a tempo determinato”, inidoneo a indicare una vera e propria proposta contrattuale: cfr. sentenza impugnata, pp. 5-6); (b) ha compiutamente e analiticamente ricostruito il comportamento delle parti anche nel tempo successivo alla comunicazione della lettera, sottolineando come da tale condotta dovesse trarsi conferma della interpretazione letterale del documento e, sotto tale profilo, ponendo in particolare evidenza che: – il dirigente aveva iniziato a lavorare per la IPE S.r.l. a far tempo dal 7/4/2010, senza che – diversamente da quanto espressamente previsto nel documento gli venisse consegnata la lettera di assunzione completa e la documentazione necessaria alla instaurazione del rapporto di lavoro; – in data 19/4/2010 gli era stato presentato il testo della “lettera di assunzione” (con effetto e decorrenza dal 20/4/2010), con la specificazione che il rapporto sarebbe stato regolato da un contratto collettivo differente da quello richiamato nella lettera del 2/4/2010; – il Pastorino era stato retribuito, per il lavoro prestato nel periodo dal 7 al 19/4/2010, a titolo di un non meglio specificato “premio di ingresso” (cfr. ancora sentenza impugnata, pp. 7-8); precisando inoltre che la comune e reale intenzione delle parti, quale risultante dalle espressioni adoperate nel testo della lettera e dal loro comportamento successivo, non poteva, per la coerenza e univocità degli elementi acquisiti in esito al processo interpretativo, trovare significativa smentita nella circostanza che il P., nel rispondere, contestandola, alla “lettera di assunzione” trasmessagli il 19/4/2010, si fosse riferito ad una precedente lettera di assunzione, dovendosi assegnare a tali parole null’altro rilievo se non quello di una qualificazione impropria e non vincolante;

– che il secondo e il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono parimenti infondati;

– che invero la sentenza impugnata, anche per la parte investita con i motivi in esame, si è attenuta alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale ha più volte affermato – che “La confessione stragiudiziale fatta ad un terzo”, tale essendo il consulente del lavoro della società, che la Corte ha accertato essere il destinatario della comunicazione in data 23/4/2010, “non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio” (Cass. 29316/2008; conforme, fra altre: Cass. 25468/2010): motivazione che, per quanto già osservato in relazione al primo motivo, il giudice di merito ha reso in maniera chiara ed esauriente, procedendo a valutare la lettera del 23/4/2010 e, con essa, la supposta confessione stragiudiziale in rapporto tanto alle evidenze documentali come al comportamento tenuto dalle parti nella complessiva vicenda negoziale;

– che il quarto motivo resta assorbito, non risultando adeguatamente censurata, per le considerazioni che precedono, la sentenza di appello, là dove la Corte ha concluso nel senso dell’avvenuta instaurazione fra le parti, a decorrere dal 7/4/2010, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e senza la sottoscrizione di un valido patto di prova di durata semestrale, in quanto previsto in un documento (la più volte richiamata lettera del 2/4/2010) non avente valore di contratto definitivo.

Ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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