Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11896 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/05/2017, (ud. 10/01/2017, dep.12/05/2017),  n. 11896

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20727-2014 proposto da:

R.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ITALO CARLO FALBO 22, presso lo studio dell’avvocato ANGELO COLUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO DE GIORGIO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

METRONOTTE CITTA’ DI MARTINA FRANCA S.A.S. (già S.r.l.) P.I.

(OMISSIS) DI RO.GI. C.F. (OMISSIS), in proprio e in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA APPIANO N. 8 presso lo studio dell’Avvocato

ORAZIO CASTELLANA, rappresentata e difesa dall’Avvocato TOMMASO

SAVITO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 221/2014 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZ.

DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 03/07/2014 R.G.N. 514/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato ANGELO COLUCCI per delega Avvocato MARIO DE GIORGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava la sentenza del giudice di prima istanza con cui era stata respinta la domanda proposta da R.M. nei confronti della s.a.s. La Metronotte Città di Martina Franca di Ro.Gi., già s.r.l., intesa a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimato in data 22/5/2010 e la reintegra nel posto di lavoro ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 oltre al risarcimento del danno, anche di natura morale e biologica.

A fondamento del decisum la Corte distrettuale osservava, per quanto qui rileva, che il licenziamento sarebbe stato intimato nel rispetto della procedura di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 in quanto sorretto da specificità e chiarezza degli addebiti.

L’atto di incolpazione consisteva nell’accusa di falso formulata dal lavoratore nei confronti del legale rappresentante della società Giovanni Romanelli, per aver formato una scrittura privata con la quale si era convenuta la trasformazione del contratto a tempo pieno in corso fra le parti, in contratto a tempo parziale, e per avervi apposto la firma falsa del dipendente.

L’autografia delle sottoscrizioni poste in calce ai documenti oggetto del procedimento di verificazione, era stata del resto acclarata all’esito di consulenza grafologica disposta ex officio, che non si riteneva potesse essere inficiata da una relazione peritale di parte tardivamente prodotta dal R. in primo grado, nè da quella ulteriormente prodotta in grado di appello; onde il provvedimento espulsivo doveva ritenersi ritualmente intimato e sorretto da giusta causa.

La cassazione di tale decisione è domandata dal R. sulla base di cinque motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resistono con controricorso la società intimata nonchè Ro.Gi..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè omessa, o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ci si duole che la Corte distrettuale, nel confermare la pronuncia del giudice di prima istanza con motivazione solo apparente, non abbia specificamente argomentato sugli specifici rilievi mossi con l’atto di gravame. Si deduce pertanto che la motivazione che sorregge il decisum è del tutto insufficiente e si pone in violazione dei dettami di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 per essere la contestazione degli addebiti priva dei requisiti di chiarezza e specificità.

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2 come novellato dalla L. n. 108 del 1990, art. 2, comma 2, della L. n. 300 del 1970, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Viene rimarcato che il difetto di specificità che connotava la lettera di contestazione, si riverberava anche sull’atto di recesso e che su tale ragione di illegittimità la Corte di merito aveva ancora una volta omesso di articolare puntuale motivazione.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 121, 196, 197, 420, 421, 424 e 437 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè omessa, o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si critica la sentenza impugnata per aver denegato riconoscimento agli elaborati peritali di parte affidati a due diversi studi grafologici, in cui erano trasfuse le serrate argomentazioni critiche avverso la consulenza d’ufficio, formulate anche nell’atto di appello, onde conseguire un rinnovo degli accertamenti peritali in ordine alla autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce al contratto di cui si controverte.

4. Con il quarto motivo è dedotta violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 5 della L. n. 300 del 1970, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè omessa, o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si lamenta che la Corte sia pervenuta all’accertamento della sussistenza della giusta causa sottesa al licenziamento, ritenendo rilevanti a tal fine anche i comportamenti assunti dal lavoratore, successivamente alla risoluzione del rapporto (iniziativa assunta dal R. attraverso la proposizione di querela nei confronti del Romanelli per i reati di falsità in scrittura privata, truffa e violenza privata).

5. I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono inammissibili.

Essi, oltre a denunciare promiscuamente violazioni di legge unitamente a vizi di motivazione, senza specificare nel corpo dei motivi quale doglianza sia riferibile all’una piuttosto che all’altra critica vincolata, per di più con lacune in punto di autosufficienza non riportando i contenuti dei documenti sui quali le censure sono articolate (vedi in particolare il terzo motivo quanto alle critiche attinenti alla mancata ammissione delle relazioni grafologiche di parte), nella sostanza contestano l’accertamento in fatto operato dai giudici del merito.

Orbene la ricostruzione dei fatti e la loro valutazione, per le sentenze pubblicate – come nella specie – dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 de1111.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, è censurabile in sede di legittimità solo nella ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.

Ma detto vizio non può essere denunciato per i giudizi di appello instaurati successivamente alla data sopra indicata ai sensi del richiamato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, (cfr. Cass. Cass. 18/12/2014 n. 26860) – come nel caso di specie – con ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c.).

Ossia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme (vedi Cass. 11/10/2014 n.26097, che ha altresì escluso dubbi di incostituzionalità della norma e, più di recente, in motivazione, Cass. 16/11/2016 n. 23358, Cass. 18/8/2016 11,171669).

Pertanto la decisione della Corte territoriale, che ha fatto proprie le argomentazioni espresse dal primo giudice della sentenza de qua,ritenute condivisibili, non può essere oggetto del sindacato di questa Corte a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6. Come già fatto cenno nello storico di lite, la Corte nel proprio iter motivazionale, ha infatti argomentato in ordine alla sufficiente specificità degli addebiti contenuti nella lettera di incolpazione; all’accertamento, con elevato grado di probabilità, della genuinità delle firme apposte in calce al contratto inter partes alla stregua dell’elaborato peritale stilato dal consulente tecnico d’ufficio; alla inammissibilità delle ulteriori osservazioni fondate su consulenze di parte tardivamente prodotte sia in primo che in secondo grado, le quali “non possono essere prese in considerazione per le ragioni già indicate nella sentenza appellata, che valgono ancor più nella fase di impugnazione”, facendo proprie le argomentazioni assunte a fondamento della pronuncia di primo grado, e così resistendo alle censure all’esame.

7. Con il quinto motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè omessa, o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si censura la sentenza impugnata per non avere in alcun modo motivato in ordine ai capitoli 7 ed 8 della domanda attorea attinente all’illegittimo mutamento del contratto vigente fra le parti da tempo pieno a tempo parziale.

8. Detta censura, connotata, peraltro, da evidente difetto di specificità, non recando la riproduzione del tenore del ricorso di primo grado in relazione al quale si lamenta l’omessa motivazione, resta logicamente assorbita dalla autenticità della firma apposta in calce al contratto part-time, accertata nel corso del giudizio di merito.

In definitiva, alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso non merita accoglimento.

Il governo delle spese inerenti al presente giudizio segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Infine si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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