Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1189 del 18/01/2018


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Cassazione civile, sez. I, 18/01/2018, (ud. 13/09/2017, dep.18/01/2018),  n. 1189

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

il tribunale di Roma riduceva da Euro 15.000,00 a Euro 1.000,00 la penale che l’Inpdap aveva applicato alla Romeo Gestioni s.p.a. ai sensi dell’art. 30 del contratto di appalto di servizi stipulato il 31-12002, per la gestione integrata di una gran parte del patrimonio immobiliare;

la decisione veniva confermata dalla corte d’appello di Roma con sentenza in data 24-10-2011;

la corte territoriale rigettava, innanzi tutto, l’appello principale della società, osservando che la misura della penale non poteva ritenersi indeterminata, poichè la stessa era stata convenuta nel massimo di lire 100.000.000 salva possibilità di riduzione; che in particolare la misura della sanzione non era stata rimessa al preteso totale arbitrio dell’Inpdap, in quanto la facoltà comminatoria nel quantum, contrattualmente prevista e accettata, era pur sempre rapportabile a criteri oggettivi, quali la gravità dell’inadempimento e l’interesse del creditore da esso pregiudicato, ferma rimanendo la possibilità del debitore di agire giudizialmente a salvaguardia del pericolo di abusi; che gli inadempimenti sanzionati dalla clausola dovevano dirsi a loro volta determinabili, essendo stati individuati con legittimo rinvio a tutti i singoli obblighi di servizio e di gestione desumibili dal contratto;

che l’eccezione di nullità della clausola per illiceità della causa, per la prima volta formulata nella comparsa conclusionale dinanzi al tribunale, era stata giustamente ritenuta tardiva e, in ogni caso, era anche infondata nel merito, visto che il contenuto della clausola era comunque conforme alla sua funzione, e non poteva ritenersi illecito un meccanismo riduttivo rimettente alla parte interessata il “limitato potere di graduare – in diminuzione (..) – la penale, in astratto prevista dal contratto, in relazione alla gravità dell’inadempimento ed all’interesse del creditore da esso pregiudicato”;

la corte territoriale rigettava inoltre l’appello incidentale dell’Indap a riguardo della riduzione della penale operata dal tribunale, evidenziando che in effetti la prestazione inadempiuta dalla Romeo Gestioni s.p.a., implicante un omesso pagamento di quote consortili per importo di Euro 2.652,00 (poi oggetto di ingiunzione), era stata di modestissima rilevanza in relazione al complesso e variegato numero di obblighi connessi al complesso rapporto contrattuale de quo;

avverso la sentenza, la Romeo Gestioni ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi;

si è costituito con controricorso l’Inps, quale successore ex lege dell’Inpdap, proponendo ricorso incidentale parimenti articolato in due motivi e poi illustrato anche da memoria.

Considerato che:

col primo motivo del ricorso principale, la società denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1346,1349,1382 e 1384 cod. civ. e il vizio di motivazione della sentenza, in quanto, per potersi ritenere determinata, la penale avrebbe dovuto essere indicata nel contratto in cifra unica, e non anche in una forbice, peraltro così divaricata (da 1 a 100 milioni di lire) tra un minimo e un massimo; in tal senso la determinazione era stata illegittimamente rimessa alla parte contraente in favore della quale la penale era stata istituita, cosa che l’ordinamento comunque non consente a prescindere dal rinvenimento di criteri oggettivi, essendo possibile la determinazione della prestazione contrattuale non stabilita nell’accordo solo se essa determinazione sia deferita, ex art. 1346 c.c., a un terzo; in ogni caso, non facendo l’art. 30, n. 1, del contratto alcun cenno ai criteri di cui all’art. 1384 c.c., la clausola aveva rimesso all’Inpdap la facoltà di quantificare la penale in modo assolutamente arbitrario, anche considerando che i criteri di cui al citato art. 1384 non sono oggettivi, tanto da risultare attinenti sempre a un “equo apprezzamento”, per modo da non poter rappresentare un limite all’arbitrio del creditore;

col secondo motivo del ricorso principale, la società denunzia la violazione e falsa applicazione dei principi di diritto in tema di domanda nuova, nonchè degli artt. 1421 e 1343 c.c., imputando alla corte d’appello di avere errato nel ritenere non esaminabile l’ulteriore profilo di nullità della clausola sollevato in relazione alla sua causa, stante il recente ampliamento del potere di rilevazione delle nullità anche d’ufficio; e dall’altro di avere, con la sua motivazione in punto di riconoscimento del relativo potere in capo all’ente beneficiario, alterato la causa giuridica della penale, trasformandola in clausola con funzione sanzionatoria;

a sua volta l’Inps, coi due motivi del ricorso incidentale, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. e il vizio di insufficiente motivazione della sentenza, non avendo la corte d’appello adeguato la decisione al criterio dell’interesse che il creditore aveva all’adempimento al momento della stipula del contratto; difatti, già la sentenza di primo grado aveva chiarito che l’inadempimento della società agli obblighi gestori in tema di rapporti consortili non era stato limitato al profilo del mancato pagamento delle somme portate dal decreto ingiuntivo, ma era stato pressochè integrale avendo riguardato, come del resto riconosciuto dalla corte d’appello, anche la mancata partecipazione alle assemblee consortili; e la corte d’appello, nel ridurre la penale mercè le scarne considerazioni ivi esposte, aveva mancato di considerare l’effettività degli interessi sottesi alla stipulazione;

il ricorso principale, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione, è in parte inammissibile e in parte infondato, mentre è fondato il ricorso incidentale dell’Inps;

giova premettere che la sentenza contiene il puntuale riferimento alla clausola di cui si discute, espressa dalla previsione che “l’applicazione di tale penale riguarda l’inadempimento di tutti gli obblighi previsti nel presente contratto, ad esclusione degli obblighi sanzionati dalle penali di seguito descritte. Per ogni singolo inadempimento, anche semplice ritardo, l’Inpdap, esaminate le controdeduzioni dell’affidataria, può applicare una penale di importo massimo di lire 100.000.000”;

la corte d’appello, valutando il contenuto complessivo del contratto al quale la penale accedeva, contratto col quale l’Inpdap aveva affidato alla società i servizi (id est, tutti i servizi) di gestione integrata del proprio patrimonio immobiliare per Campania, Toscana e Roma nord, ha attribuito alla clausola una “natura residuale” rispetto a tutti gli inadempimenti diversi da quelli considerati nei successivi numeri dello stesso art. 30; inadempimenti diversi, appunto, ma pur sempre inerenti a ciascun servizio della gestione appaltata;

ancora la corte d’appello ha evidenziato – e in proposito non v’è censura – che nella specie l’inadempimento era stato determinato dal “totale disinteresse nella gestione dei rapporti condominiali e consortili con il consorzio La Valletta”;

poichè l’inadempimento era consistito nella “mancata partecipazione di Romeo Gestioni alle assemblee consortili, con conseguente omesso pagamento (..) delle quote consortili dell’anno 2002”, la corte ha ritenuto giustificata la comminatoria della penale, sebbene confermandone la riduzione operata dal tribunale (da Euro 15.000,00 a Euro 1.000,00) in considerazione della “modestissima rilevanza della prestazione inadempiuta (..) in relazione al complesso e variegato numero di obblighi connessi al complesso rapporto contrattuale de quo”;

l’assunto della ricorrente principale, secondo cui (primo motivo) la penale era affetta da indeterminatezza perchè indicata solo nel massimo, ed era altresì illegittima perchè rimessa alla determinazione unilaterale e arbitraria della parte nel cui interesse essa era stata predisposta, al punto (secondo motivo) da stravolgerne la funzione tipicamente risarcitoria, è inammissibile perchè non tiene conto dell’esegesi fornita dal giudice del merito a proposito della consistenza della penale stessa, ed è altresì infondato in consecuzione con tale esegesi;

il punto qualificante dell’accertamento di fatto operato a tal riguardo dalla corte territoriale è nell’affermazione che la penale suddetta conteneva “un meccanismo sanzionatorio riduttivo”, col quale si rimetteva “ad una delle parti un limitato potere di graduare – in diminuzione, si badi bene – la penale, in astratto prevista nel contratto, in relazione alla gravità dell’inadempimento ed all’interesse del creditore da esso pregiudicato”;

rispetto a codesta non implausibile ricostruzione, non giova perpetuare l’asserto che la penale fosse indeterminata siccome stabilita in una forbice tra 1 e 100 (così il primo motivo di ricorso); non giova perchè la corte d’appello ha accertato, con apprezzamento non sindacabile in quanto attinente all’interpretazione del contratto (nè del resto censurato in relazione all’esatta osservanza dei canoni interpretativi), che la penale era stata determinata in somma specifica (Lire 100.000.000), salva la previsione di una facoltà di riduzione in capo al creditore;

ora non può sostenersi che la previsione di una simile facoltà comporti l’assoggettamento del debitore all’autorità privata del creditore, poichè la possibilità di rideterminare in diminuzione l’ammontare contrattualmente stabilito non esula dalla funzione risarcitoria; in tal senso deve semplicemente correggersi la motivazione dell’impugnata sentenza nella parte in cui ha indugiato su una inesistente qualificazione “sanzionatoria” del meccanismo indicato;

questa Corte ha da tempo chiarito, in sintonia con la tradizione, che la clausola penale non ha natura e finalità sanzionatoria o punitiva, ma assolve alla funzione di rafforzare il vincolo contrattuale e di liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria (v. ex aliis Cass. n. 1183-07; Cass. n. 11204-98); ciò è tanto vero che, se l’ammontare fissato nella clausola penale venga a configurare, secondo l’apprezzamento discrezionale del giudice, un abuso o uno sconfinamento dell’autonomia privata oltre determinati limiti di equilibrio contrattuale, la penale può essere equamente ridotta;

il carattere forfetario della liquidazione nulla toglie al fatto che lo stesso creditore possa richiedere il pagamento della penale in misura ridotta rispetto a quella fissata nel contratto, perchè ciò serve semplicemente ad adeguare la prestazione a equità a prescindere dalla mediazione giudiziale, in rapporto all’interesse all’adempimento della specifica obbligazione di cui si tratta;

l’errore della ricorrente principale è nell’inferenza – ben vero ingiustificata – per cui la concreta determinazione della penale in diminuzione rispetto alla misura massima prevista nel contratto equivarrebbe alla sostanziale attribuzione a una delle parti “di un potere unilaterale punitivo meramente discrezionale (..) in contrasto con l’indefettibile principio di parità tra privati contraenti”;

così non è, in quanto la penale determinata in somma massima è specifica, equivalendo alla determinazione del massimo ottenibile in base al titolo risarcitorio forfetario (art. 1382 c.c.); e a fronte di una penale determinata in somma specifica è sempre possibile per l’avente diritto richiedere al medesimo titolo una somma minore;

simile minor pretesa semplicemente dimostra, infatti, che la penale convenuta era eccessiva rispetto al danno prevedibile, al punto da indurre lo stesso creditore a contenerla;

il ricorso principale è dunque da rigettare;

invece è fondato il ricorso incidentale;

in caso di riduzione giudiziale della penale convenzionalmente stabilita dalle parti, il giudice deve esplicitare le ragioni che lo hanno indotto a ritenerne eccessivo l’importo come originariamente determinato, soprattutto con riferimento alla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento alla data di stipulazione del contratto, tenendo conto dell’effettiva incidenza dell’adempimento sullo squilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, a prescindere da una rigida ed esclusiva correlazione con l’effettiva entità del danno subito (v. per tutte Cass. n. 1773115);

la motivazione spesa in proposito dalla corte d’appello è manifestamente inadeguata e si risolve in una falsa applicazione dell’art. 1384 c.c., essendo stato dalla corte medesima accertato che l’inadempimento della società era consistito nel “totale disinteresse nella gestione dei rapporti condominiali e consortili con il consorzio La Valletta”;

codesto “totale disinteresse”, manifestato nella egualmente accertata “mancata partecipazione di Romeo Gestioni alle assemblee consortili” e nel “conseguente omesso pagamento (..) delle quote dell’anno 2002”, non giustifica l’assunto di “modestissima rilevanza della prestazione inadempiuta” ancorata al mero fatto della tenuità dell’addebito di pagamento (Euro 2.652,00) sofferto dall’Inpdap;

infatti la penale può essere ridotta in considerazione dell’interesse del creditore all’adempimento al momento della stipula, non rilevando l’entità del danno effettivo cagionato, giacchè la funzione della clausola penale è nella liquidazione preventiva e forfetaria di quel danno in associazione con un giudizio di prevedibilità in rapporto all’interesse del creditore a quel momento: al momento – cioè – della stipulazione;

come in altre occasioni questa Corte ha puntualizzato, l’apprezzamento sulla eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, nonchè l’apprezzamento circa la misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito; ma il relativo esercizio resta incensurabile solo se correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 c.c., sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito (v. Cass. n. 6380-01; Cass. n. 7528-02; Cass. n. 6158-07; Cass. n. 2231-12);

da questo punto di vista quindi l’impugnata sentenza va cassata e la causa rinviata alla medesima corte d’appello di Roma, diversa sezione, la quale rinnoverà l’esame, nel profilo che rileva, attenendosi al principio di diritto esposto;

la corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa l’impugnata sentenza in relazione al profilo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 13 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2018

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