Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11888 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. I, 18/06/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 18/06/2020), n.11888

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAZZICONE Loredana – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19735-2017 r.g. proposto da:

(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, (cod. fisc. P. Iva (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore il liquidatore

R.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in

calce al ricorso, dall’Avvocato Marta de Manincor, con cui

elettivamente domicilia in Roma, Via Barnaba Tortolini n. 30, presso

lo studio del Dott. Alfredo Placidi.

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.n.c., (cod. fisc. P. Iva (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore

D.P.F., rappresentata e difesa, giusta procura speciale

apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Quirino Agostini,

con il quale elettivamente domicilia in Roma, alla Via Matteo

Boiardo n. 17, presso lo studio dell’Avvocato Ernesto Mancini;

– controricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore il curatore fallimentare Dott.

Re.Pa.:

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, depositata in

data 21.7.2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

5/3/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia ha rigettato il reclamo proposto, ai sensi dell’art. 18 L. Fall., da (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione nei confronti di (OMISSIS) s.n.c. (creditore istante) e Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza emessa in data 10.4.2017 dal Tribunale di Venezia, con la quale era stata dichiarato il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione.

La corte del merito ha ritenuto che: a) fosse dimostrata la legittimazione del creditore istante a presentare domanda di fallimento, in quanto la (OMISSIS) s.n.c. era munita di titolo esecutivo, costituito dalla sentenza del Tribunale di Venezia, la cui efficacia esecutiva era stata sospesa solo per l’importo superiore ad Euro 196.850,00, b) nessuna domanda riconvenzionale di declaratoria di nullità del brevetto oggetto di contestazione tra le parti era stata avanzata da (OMISSIS) s.r.l. nel corso del giudizio, in seguito al quale era stato accertato il predetto credito; c) correttamente erano stati considerati gli esercizi 2013, 2014 e 2015 per la valutazione della sussistenza dei requisiti dimensionali di fallibilità e che, nell’esercizio 2013, erano state superate le soglie normativamente fissate in relazione all’attivo patrimoniale (nel quale – a differenza di quanto opinato dal reclamante – dovevano essere compresi anche in crediti da incassare, per un importo complessivo di Euro 577.823) ed i ricavi lordi (pari ad Euro 1.258.614); d) sussisteva lo stato di insolvenza, in quanto non vi era attivo patrimoniale da liquidare per soddisfare l’ingente debitoria, aumentata peraltro nell’esercizio 2016.

2. La sentenza, pubblicata il 21.7.2017, è stata impugnata da (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui (OMISSIS) s.n.c. ha resistito con controricorso.

La curatela fallimentare intimata non ha svolto difese.

In data 7 febbraio 2020 la controricorrente ha rinunciato al controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1 L. Fall. e art. 2435 c.c.. Si evidenzia che, ai fini dello scrutinio della sussistenza dei requisiti dimensionali di fallibilità, occorre che sia rappresentata la situazione attuale e veritiera della società, tenuto conto dell’andamento recente della stessa e che erroneamente la corte territoriale aveva tenuto in considerazione anche il bilancio del 2013 (ove aveva registrato il superamento delle soglie di fallibilità), anzichè il triennio 2014, 2015 e 2016 (ove al contrario non si registrava il superamento delle predette soglie).

2. Il secondo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Si evidenzia che, in merito alla questione della contraffazione del brevetto, la Corte non si era ancora pronunciata e che l’accertamento della nullità del brevetto ha efficacia erga omnes, e dunque anche in favore della ricorrente, con il conseguente annullamento del credito posto dalla (OMISSIS) s.n.c. alla base dell’istanza di fallimento, non rilevando, a tal fine, che (OMISSIS) non avesse svolto domanda riconvenzionale nel giudizio promosso da (OMISSIS) s.n.c. per l’accertamento della contraffazione brevettuale.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Già il primo motivo non merita positivo apprezzamento.

3.1.1 Sul punto, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10952 del 27/05/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 501 del 14/01/2016), in tema di requisiti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore commerciale, ai fini del computo del triennio cui fa riferimento l’art. 1, comma 2, lett. a), L. Fall. (nel testo modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169) occorre fare riferimento agli ultimi tre esercizi antecedenti alla data del deposito dell’unica (ovvero della prima) istanza di fallimento (cfr. anche: Cass. civ., sez. I, 14-06-2019, n. 16117; Cass. civ., sez. I, 24-05-2018, n. 12963).

In realtà, a tale conclusione conduce proprio la portata letterale della norma, alla stregua delle modifiche introdotte alla legge fallimentare dal D.Lgs. n. 169 del 2007, a seguito delle quali si è definitivamente chiarito che sia l’attivo patrimoniale, sia i ricavi debbano computarsi in base agli ultimi tre esercizi anteriori al deposito della istanza di fallimento. In verità, la conclusione era stata raggiunta anche con riguardo al precedente testo di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006 (Cass. 3 dicembre 2010, n. 24630, che appunto precisava doversi considerare, quale triennio, gli ultimi tre esercizi, in cui la gestione economica è scadenzata, e non gli anni solari).

Il principio è stato ora espressamente affermato da questa Corte (cfr. Cass. 27 maggio 2015, n. 10952, cit. supra e confermato dalla giurisprudenza successiva), facendo perno sulla interpretazione della norma in tema di requisiti dimensionali per l’esonero dalla fallibilità dell’imprenditore commerciale, per la quale occorre considerare la determinazione dell’attivo patrimoniale con riferimento agli ultimi tre esercizi antecedenti alla data del deposito dell’istanza di fallimento. A tale interpretazione si perviene in ragione del dato letterale della norma, chiaro ed inequivoco, che ne permette la ricostruzione del significato e la connessa portata precettiva.

Ne deriva che correttamente il triennio esaminato, a fronte dell’istanza di fallimento presentata il 29.12.2016, è stato quello degli esercizi 2013, 2014 e 2015, ove nel 2013 si registrava il superamento delle soglie per i ricavi lordi e per l’attivo patrimoniale. Triennio che, peraltro, nel caso di specie coincideva con quello degli ultimi tre bilanci depositati.

Ne consegue il rigetto della prima doglianza.

3.2 Il secondo mezzo è invece inammissibile.

3.2.1 Va in primo luogo osservato come la parte ricorrente abbia dedotto un vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione non più declinabile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così rendendo, già sotto questo primo peculiare profilo di formulazione, la doglianza non ricevibile in questo giudizio di legittimità.

3.2.2 Sul punto, non è inutile ricordare che – secondo la giurisprudenza (anche di vertice) espressa da questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Sez. 6, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018) – l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dalla D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Detto altrimenti, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, risultando denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

3.2.4 Ciò posto, risulta evidente l’inammissibilità della censura così prospettata sia perchè avanzata come un vizio argomentativo non più deducibile sia perchè neanche spiega come la questione del contenzioso avanzato peraltro da terzi nei confronti del creditore istante possa concretamente incidere sulle valutazioni attinenti lo stato di insolvenza della società fallita, profilo quest’ultimo in relazione al quale si registra una motivazione adeguata e scevra da criticità argomentative.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese in favore della società controricorrente, stante la espressa rinuncia di quest’ultima alle spese del giudizio di legittimità contenuta nell’atto depositato in data 7 febbraio 2018.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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