Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11888 del 12/05/2017
Cassazione civile, sez. lav., 12/05/2017, (ud. 07/12/2016, dep.12/05/2017), n. 11888
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 30351-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
D.D.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 683/2009 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,
depositata il 21/12/2009 r.g.n. 292/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
07/12/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;
udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega verbale Avvocato PESSI
ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CERONI Fancesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 683/2009, depositata il 21 dicembre 2009, la Corte di appello di Campobasso rigettava, nella contumacia dell’appellata, il gravame di Poste Italiane S.p.A. e confermava la sentenza del Tribunale di Campobasso che, in accoglimento dei ricorso di D.D.L., aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto dalla stessa stipulato, per il periodo dall’1/12 al 31/12/2001, con la predetta società per difetto di prova e genericità della causale relativa a esigenze di carattere straordinario connesse alla ristrutturazione e innovazione tecnologica della datrice di lavoro e al riposizionamento delle risorse sul territorio.
La Corte, premesso che la prova della specificazione per iscritto delle ragioni poste a giustificazione dell’assunzione a termine grava sul datore di lavoro, rilevava come nella specie fosse assente la documentazione di tali ragioni, con conseguente impossibilità di effettuare la valutazione, sollecitata dall’appellante, di legittimità della causale.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società Poste Italiane con tre motivi, chiedendo, inoltre per il caso di rigetto, applicarsi lo ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32; la lavoratrice è rimasta intimata.
La società ha depositato memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.
Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 nonchè vizio di motivazione, la ricorrente censura la sentenza di appello per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato detta norma, in particolare non tenendo conto del fatto che il concetto di specificità deve essere collegato a situazioni non più standardizzate ma obiettive, riferite a specifiche e concrete realtà aziendali.
Il motivo è inammissibile, svolgendo considerazioni (sulla diversità e novità della disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 368 del 2001 rispetto a quella previgente) che risultano non pertinenti alla ragione decisoria, sulla quale si fonda la decisione impugnata e che è da individuarsi nella ritenuta impossibilità di effettuare la valutazione di legittimità della causale, pur sollecitata dalla società impugnante Poste Italiane S.p.A., in assenza, nella sede del giudizio di secondo grado, di documentazione delle ragioni poste dalla datrice di lavoro a base del contratto.
Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione DEL D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e dell’art. 115 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, la ricorrente censura la sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto che l’assenza di documentazione delle ragioni poste per iscritto dalla datrice di lavoro a base del contratto rendeva impossibile effettuare la valutazione, sollecitata da Poste Italiane, di legittimità della causale.
Il motivo, pur investendo la ratio decidendi, è inammissibile.
Si deve, infatti, rilevare che esso non presenta, per ciò che attiene al profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 la specifica indicazione delle affermazioni in diritto, rinvenibili nella sentenza oggetto di impugnazione, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione di tali norme fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla dottrina prevalente, che è la condizione essenziale e necessaria perchè la Corte di legittimità sia posta in condizione di verificare il fondamento della violazione denunciata (cfr. ex multis Cass. n. 14832/2007).
D’altra parte, e per ciò che attiene al concorrente profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 la denunciata contraddittorietà della motivazione (cfr. ricorso: pp. 13-14) non inerisce all’area propria di un giudizio di fatto, ma si pone quale sviluppo argomentativo, e/o conseguenza logica, della ipotizzata (e, come innanzi precisato, non chiarita) violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
Nè il motivo in esame riesce a sottrarsi a un’insuperabile aporia, ove, facendo emergere taluni aspetti di contenuto, peraltro totalmente disallineati rispetto alla rubrica, lo si intenda come volto alla censura di un (ingiustificatamente) omesso esercizio, da parte del giudice di appello, dei propri poteri istruttori d’ufficio, ex art. 437 c.p.c., attesa la contestuale e contraddittoria presenza di una critica di mancata ammissione di mezzi di prova testimoniale che sarebbero stati dedotti dalla società in assolvimento dell’onere di provare la natura del rapporto (cfr. ricorso: pp. 15-16).
Con il terzo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione di norme di diritto e vizio di motivazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello confermato la decisione di primo grado nella parte in cui il Tribunale aveva condannato la società a corrispondere alla lavoratrice le retribuzioni maturate dalla data del tentativo di conciliazione, oltre rivalutazione monetaria e interessi sino alla ripresa dell’attività lavorativa, nonostante che la ricorrente non avesse fornito alcun elemento probatorio a sostegno delle proprie domande di natura economica e che il diritto al risarcimento del danno, corrispondente in linea generale alle retribuzioni maturate, potesse riconoscersi solo a decorrere dalla formale offerta della prestazione lavorativa, quale atto idoneo a costituire in mora il datore di lavoro, tale qualità peraltro non essendo rinvenibile nella richiesta di tentativo di conciliazione.
Il motivo in esame risulta peraltro assorbito da quello relativo agli effetti della disciplina sopravvenuta di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 4 in tema di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore in conseguenza della nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato.
Al riguardo si richiama la recente sentenza delle Sezioni Unite 27 ottobre 2016 n. 21691, la quale ha precisato che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”.
La sentenza n. 683/2009 della Corte di appello di Campobasso deve, pertanto, essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa Corte in diversa composizione, che provvederà a determinare l’indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, secondo i criteri indicati dalla norma, accertando l’esistenza di eventuali contratti o accordi collettivi ai sensi del comma 6 e facendo applicazione, ove necessario, delle disposizioni di natura processuale fissate nel comma 7 medesima legge.
PQM
La Corte dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo di ricorso; accoglie l’ultimo motivo nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Campobasso in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nelle Camere di consiglio, il 6 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017