Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11886 del 09/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 09/06/2016, (ud. 09/05/2016, dep. 09/06/2016), n.11886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9800-2015 proposto da:

IL RESTAURO DI P.F. & C. SAS,in persona del legale

rappresentante pro-tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEL QUIRINALE 26, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ROSSI, che

la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO SEM SOCIETA’ EDILIZIA MODERNA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 576/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 09/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..:

“Con sentenza in data 9 ottobre 2014, la Corte d’Appello di Perugia, ha respinto l’impugnazione proposta da Il Restauro di P. F. & C sas contro la sentenza del Tribunale di quella stessa città, con la quale era stato dichiarato inefficace, ai sensi della L. Fall., art. 67, il pagamento di alcune somme, quale compenso di un subappalto, da parte della società SEM SpA, poi fallita, alla SaS con la conseguente condanna di quest’ultimo al pagamento della somma oltre accessori e spese processuali.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso Il Restauro di P.F. & C. sas, con atto notificato l’8 aprile 2015, sulla base di due motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 11, e vizi motivazionali.

Il Fallimento non ha svolto difese.

Il ricorso appare manifestamente infondato, giacchè:

a) Con riguardo alla violazione della legge fallimentare, ed in particolare con riferimento alla scientia decoctionis dell’aaipiens, deve darsi continuità al principio di diritto già espresso da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 25284 del 2013, in base al quale “In tema di azione revocatoria fallimentare, la cessione del credito (nella specie, per rimborso IVA) in funzione solutoria, quando non sia prevista al momento del sorgere dell’obbligazione, ovvero non sia attuata nell’ambito della disciplina della cessione dei crediti di impresa, di cui alla L. 21 febbraio 1991, n. 52, integra sempre gli estremi di un mezzo anormale di pagamento, indipendentemente dalla certezza di esazione del credito ceduto; ne consegue la presunzione della conoscenza dello stato di insolvenza in capo al cessionario, il quale può vincerla non con una prova diretta dell’insussistenza di tale stato (che solo da un punto di vista logico rappresenta un presupposto dell’azione), ma con la dimostrazione di circostanze idonee a fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell’impresa..”), considerato che la Corte territoriale ha desunto la consapevolezza dello stato di decozione della società fallita sia dalla cessione – mezzo anomalo di pagamento, sia da altri elementi (particolarmente non dalla sola sussistenza di protesti (rilevabili dai bollettini), ma anche dalle espressioni utilizzate dal difensore della creditrice in sede giudiziale, per il recupero delle proprie spettanze);

b) Non è scrutinabile in questa sede l’affermazione circa il contenuto della cessione, che si assume avvenuta “pro solvendo”, in quanto – non risultando esaminata nella sentenza e non essendo stata allegata in maniera autosufficiente dal ricorrente (“se, come, quando e dove” sia stata posta)- deve dirsi nuova;

c) Per il resto, l’apprezzamento degli elementi indiziari raccolti e valutati dal giudice e di quelli che si assumono pretermessi (senza peraltro, in relazione agli stessi, indicare il “se, come, quando e dove” essi siano stati posti, soprattutto con il secondo mezzo di cassazione e anche con il primo, al di là delle formulazioni recate dal ricorso) ove sostanzialmente invocata (ossia, l’art. 360 c.p.c., n. 5), si infrange sull’ interpretazione chiarita dalle SU civili nella Sentenza n. 8053 del 2014 la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultante processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5″.

Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non risultano essere state mosse osservazioni critiche;

che, perciò, il ricorso, manifestamente infondato, deve essere respinto, in applicazione dei richiamati ed enunciati principi di diritto; che, alla reiezione del ricorso, consegue il solo raddoppio del contributo unificato, non dovendosi provvedere sulle spese per la mancata attività difensiva da parte della intimata Curatela.

P.Q.M.

La Corte, respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile – 1 della Corte di cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 9 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2016

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