Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11885 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 12/05/2017, (ud. 12/04/2017, dep.12/05/2017),  n. 11885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28247-2013 proposto da:

HERA SPA, in persona del Direttore Centrale e legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CASSIODORO 1/A,

presso lo studio dell’avvocato MARCO ANNECCHINO, che io rappresenta

e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI LONGIANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIALE TIZIANO 110, presso lo studio

dell’avvocato SIMONE TABLO’, rappresentato e difeso dall’avvocato

ALESSANDRO CARDOSI giusta delega a margine;

ICA IMPOSTE COMUNALI AFFINI SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE TIZIANO 110,

presso lo studio dell’avvocato SIMONE TABLO’, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRO CARDOSI giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 24/2013 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA,

depositata il 18/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato ANNECCHINO che si riporta agli

atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato CARDOSI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 24/2013, depositata il 18/4/2013, la Commissione Tributaria Regionale della Emilia Romagna rigettava l’appello proposto da HERA s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, sfavorevole alla contribuente, confermando l’avviso di accertamento, per l’anno 2004, relativo a TOSAP, sanzioni ed interessi, per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche mediante l’utilizzo di condutture.

Rilevava al riguardo il Giudice di appello che la società era soggetto obbligato al pagamento della tassa in quanto utilizzatrice delle occupazioni effettuate con cavi, impianti e condutture quale azienda fornitrice di un servizio del servizio idrico gestito in esclusiva in forza di concessione dell’ente locale, non assumendo rilievo l’utilizzo di beni appartenenti a SEABO s.p.a. ed a UNICA RETI s.p.a., non essendo applicabile l’esenzione d’imposta di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, comma 1, lett. e), stante la mancata previsione, all’atto della concessione o successivamente, della devoluzione gratuita all’ente pubblico degli impianti, e neppure quella di cui alla lett. a) della medesima disposizione, trattandosi di società lucrativa, e non di ente pubblico, la quale non agisce per conto di alcuno degli enti di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, comma 1, lett. a), in qualità di appaltatore di opere pubbliche.

La società ricorre per la cassazione della sentenza deducendo tre motivi illustrati con memoria.

Resiste con controricorso il Comune di Longiano, mentre la I.C.A. – Imposte Comunali Affini s.r.l. deposita memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 38, 39 e 46, giacchè la CTR non ha considerato che la società non è titolare delle condutture della rete idrica mediante le quali si è realizzata la occupazione del suolo pubblico, nè tantomeno del provvedimento concessorio all’uopo rilasciato, in quanto utilizza beni, reti, impianti e dotazioni appartenenti ad UNICA RETI s.p.a., dei quali ha ottenuto la disponibilità mediante apposito contratto di affitto di ramo d’azienda stipulato con quest’ultima società. Evidenzia altresì che la soggettività passiva della obbligazione tributaria non si trasferisce per effetto della stipula di un contratto ad effetti meramente obbligatori quale è appunto il predetto contratto di affitto di ramo d’azienda.

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, giacchè la CTR non ha considerato che l’individuazione del soggetto passivo dell’imposta in chi occupa materialmente, e cioè di fatto, il suolo pubblico costituisce un’ipotesi residuale che ricorre solo nel caso in cui manchi un provvedimento concessorio o autorizzatorio.

Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio giacchè la affermazione della CTR circa l’obbligo in capo alla società di pagamento dell’imposta evasa avrebbe richiesto l’accertamento, in concreto mancato, non solo dell’esistenza di una occupazione di fatto delle aree comunali, ma anche dell’inesistenza di qualsivoglia autorizzazione o concessione di suolo pubblico, nonchè, ove ritenuto applicabile il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè l’obbligo di pagamento del tributo avrebbe richiesto l’accertamento dell’inesistenza di provvedimenti comunali di autorizzazione o concessione di suolo pubblico.

I suesposti motivi di doglianza, che possono essere scrutinati congiuntamente essendo strettamente connessi, sono infondati e non meritano accoglimento.

La società HERA deduce, con il primo motivo di ricorso, la mancanza della soggettività passiva individuata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, perchè questa spetta al titolare della concessione o dell’autorizzazione o, in mancanza, all’occupante di fatto, anche abusivo, mentre l’utilizzazione di beni, reti, impianti e dotazioni appartenenti ad UNICA RETI s.p.a., in forza di apposito contratto di affitto di ramo d’azienda, non incide sul rapporto tributario concernente l’occupazione di suolo pubblico, atteso che ove pure vi fossero state specifiche pattuizioni tra le parti, il principio di indisponibilità dell’imposta avrebbe in ogni caso comportato che la pretesa impositiva del Comune di Longiano dovesse essere avanzata dall’ente locale solo nei confronti del soggetto al quale la legge riferisce il presupposto applicativo della tassazione.

La doglianza non coglie nel segno.

Questa Corte ha più volte avuto modo di affermare che “Il presupposto impositivo della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) è costituito, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 38 e 39, dalle occupazioni, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti e sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province, mentre sono irrilevanti gli atti di concessione o di autorizzazione relativi all’occupazione, atteso che la tassa colpisce anche le occupazioni senza titolo” (Cass. n. 2555/2002, n. 4820/2002).

Infatti, in forza del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 38, commi 1 e 2, sono soggette alla tassa “le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province” (comma 1); “Sono parimenti soggette alla tassa… le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa” (comma 2).

La norma non fa alcun riferimento agli atti di concessione che, evidentemente, per il legislatore fiscale sono irrilevanti, visto che l’imposizione colpisce anche le occupazioni senza titolo, ed il riferimento al regime di concessione dei servizi pubblici (contenuto nel comma 2), non ha nulla a che vedere con la concessione per l’occupazione del suolo.

Ne discende che anche nelle occupazioni poste in essere con condutture e impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa, il presupposto normativo della tassa è costituito dal fatto materiale dell’occupazione del suolo, soprassuolo o sottosuolo pubblici e non dall’atto di concessione amministrativa in forza del quale l’occupazione stessa è stata compiuta (Cass. n. 25479/2008; n. 1974/2005). Ulteriori argomenti a sostegno della conclusione appena esposta si traggono anche dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 39, secondo cui “La tassa è dovuta al comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio”, considerato che, in ultima analisi, la disposizione individua nella persona dell’occupante di fatto il soggetto passivo d’imposta, in mancanza di atti di concessione o autorizzazione.

Dal combinato dettato degli artt. 38 e 39 citati si ricava poi che la TOSAP è dovuta anche quando l’occupazione sia divenuta abusiva a seguito della revoca della eventuale concessione, ed anche se per il successivo art. 41 “La revoca di concessioni o autorizzazioni concernenti l’utilizzazione del suolo pubblico dà diritto alla restituzione della tassa pagata in anticipo, senza interessi”, tale ultima disposizione, inserita nel contesto delle altre norme, va interpretata nel senso che la tassa deve essere restituita e, dunque, non è dovuta, soltanto se, di fatto, non ci sia stata occupazione (in tal senso, Cass. n. 2555/2002 citata).

Ed allora, appare coerente con la lettura giurisprudenziale della normativa sopra ricordata l’affermazione della CTR secondo cui “la soggettività passiva dell’imposta è pertanto da imputare esclusivamente ad HERA in quanto utilizzatrice del suolo, attraverso i cavi, gli impianti e le condutture e in quanto azienda fornitrice di un servizio a fini propri, anche se rivolti ad una platea di utenti”.

La titolarità in capo ad altro soggetto delle infrastrutture, infatti, non esclude l’attualità della occupazione, che realizza, sia pure in via mediata, il soggetto il quale utilizza nel proprio esclusivo interesse economico l’area, perseguendo un fine di tipo lucrativo, così sottraendola all’uso pubblico, in forza del contratto di affitto di ramo di azienda con la società UNICA RETI, e dunque nell’ambito dell’esercizio della medesima attività di impresa (gestione del servizio idrico integrato) per cui è stata consentita l’occupazione delle aree, per cui è inconferente il richiamo, contenuto nel secondo motivo di ricorso, alla figura dell’occupante abusivo, ” ipotesi residuale, che ricorre solo nel caso in cui vi sia “mancanza di un provvedimento concessorio o autorizzatorio ” per così dire “a monte” (Cass. n. 4896/2005).

Le argomentazioni innanzi svolte, infatti, portano a ritenere erronea l’affermazione della ricorrente, oggetto del terzo motivo di ricorso, secondo cui, poichè lo strumento per mezzo del quale gli enti territoriali (Comuni e Province) concedono l’utilizzazione del proprio demanio indisponibile è l’autorizzazione e/o la concessione, è sufficiente rifarsi al soggetto titolare di siffatto provvedimento per individuare il soggetto passivo del rapporto tributario, restando irrilevante il diverso soggetto che utilizza in via derivativa l’area pubblica, essendo stato il bene cui inerisce l’occupazione successivamente locato o concesso in godimento a terzi, per cui soltanto l’accertata inesistenza di tal genere di provvedimenti avrebbe consentito, nel caso in esame, di porre il tributo a carico dell’occupante di fatto.

La doglianza è infondata perchè ripropone, sotto il profilo della dedotta carenza di motivazione della sentenza impugnata, la questione della “inesistenza di una qualsivoglia autorizzazione o concessione del suolo pubblico rilasciata dal Comune di Longiano” ed in tal modo finisce per attribuire decisività ad una circostanza di fatto che viceversa non assume rilievo nella fattispecie in esame che trova correttamente la propria ratio decidendi nel “fatto materiale della occupazione del suolo a qualsiasi titolo”, in coerenza con il concetto di occupazione, rilevante ai fini dell’imposta de qua, che “richiama solo il fatto oggettivo della relazione materiale concretamente instaurata con la cosa e prescinde, quindi, dall’esistenza stessa, oltre che dal contenuto, del titolo che eventualmente consentendola, rende legittimo il “godimento” ovvero “l’utilizzo” del bene occupato ” (Cass. n. 238/2004, citata).

E’ appena il caso di evidenziare che, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, la nuova formulazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, vale a dire alle sentenze pubblicate dal giorno 11/9/2012, e la decisione in oggetto è stata pubblicata il 18/4/2013, e che inoltre il motivo di ricorso di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, concerne il vizio della sentenza che riguarda la motivazione “in fatto” e non anche quella “in diritto”, perchè quest’ultima può essere emendata ed integrata dalla Corte, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., ove ritenuta manchevole (Cass. n. 6328/2008; n. 19618/2003).

Conseguentemente, il ricorso deve essere respinto, con la condanna dalla ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, con la precisazione che la società I.C.A. -Imposte Comunali Affini, costituitasi tardivamente, ha partecipato alla udienza di discussione, sanando così, con effetto ex nunc, l’irrituale attività processuale compiuta con il deposito – inammissibile – di una memoria (Cass. n. 12381/2009; n. 6222/2012).

Atteso l’esito del giudizio si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte, respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.600,00 per compensi, a favore del Comune di Longiano, in Euro 240,00 per compensi, a favore della società I.C.A., oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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