Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11884 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. I, 18/06/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 18/06/2020), n.11884

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14202/2016 r.g. proposto da:

A.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Gabriele

Melani, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Flaminia n.

441, presso lo studio dell’Avvocato Maria Sofia Tonolo;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALL. (OMISSIS) SRL, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore il curatore fallimentare Dott.

V.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Nicola Federici,

con il quale elettivamente domicilia in Roma, alla via Avezzana n.

1, presso lo studio dell’Avvocato Ornella Manfredini;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, depositata in

data 11.4.2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/2/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Firenze ha parzialmente riformato la sentenza emessa in data 3 marzo 2014 dal Tribunale di Firenze – sentenza con la quale era stato condannato, tra gli altri, anche l’odierno ricorrente A.M. a titolo di responsabilità, quale sindaco della società fallita, per i danni cagionati ai creditore per atti di mala gestio e di mancato controllo -, riducendo solo il quantum debeatur relativo alla condanna di V.C. nella somma pari ad Euro 2.875.655,59 e confermando, pertanto, nel resto l’impugnata sentenza.

La Curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l. aveva, infatti, promosso innanzi al Tribunale di Firenze, ai sensi della L. Fall., art. 146, azione di responsabilità contro gli amministratori della società fallita, e cioè nei confronti di V.C., C.G., Z.P., S.M., F.V., S.P., F.R. e B.S., nonchè contro i sindaci A.M. e F.G. per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti dalla massa creditoria, quantificati in Euro 4.500.000,00, oltre rivalutazione, interessi e spese. La curatela attrice aveva esposto, a sostegno della domanda, che la società fallita era stata costituita nel 1981 dalla Confcommercio di Firenze (Ascom), quale società di servizi per i propri iscritti, come ulteriore supporto operativo integrante una rete di servizi, cui anche altre società, come la (OMISSIS) s.r.l., la (OMISSIS) s.r.l. ed il Consorzio (OMISSIS) già facevano parte.

La Corte di merito ha, in primo luogo, ritenuto infondata l’eccezione processuale di nullità, per indeterminatezza della domanda, dell’atto di citazione di primo grado, posto che, come correttamente già rilevato dal Tribunale, il libello introduttivo del giudizio presentato dalla curatela fallimentare conteneva sia l’indicazione del ruolo organico svolto nella società fallita da ciascun convenuto, sia la descrizione dei disastrosi risultati gestionali conseguiti che l’attribuzione causale di tali risultati alle condotte inadempienti dei titolari delle cariche amministrative e di controllo della società.

Non fondata – ha, poi, statuito la Corte fiorentina – anche l’eccezione di estinzione del giudizio per tardiva istanza di fissazione dell’udienza nel rito societario, ratione temporis applicabile, in quanto le doglianze, così sollevate sul punto da parte degli appellanti, erano inammissibili in quanto meramente reiterative di rilievi già respinti dal giudice di primo grado con motivazione esauriente. Più in particolare, l’istanza di fissazione dell’udienza proposta dalla curatela risultava tempestiva rispetto all’ultima memoria notificata (e cioè, quella di S.), e questo valeva ad evitare l’estinzione del giudizio, mentre non assumeva rilevanza alcuna che il termine fosse scaduto per gli altri.

La Corte distrettuale ha, inoltre, ritenuto infondato il motivo di gravame relativo all’eccepita non utilizzabilità, ai fini probatori, della relazione del curatore, di quella del revisore dei conti e delle indagini di polizia giudiziaria, posto che qualunque documento prodotto in giudizio è sottoposto, per ciò solo, al contraddittorio delle parti e diventa, dunque, suscettibile di libero apprezzamento del giudice, nel confronto critico con tutti gli elementi istruttori.

Il giudice del gravame, passando, dunque, ad esaminare il merito delle domande, ha evidenziato che il primo profilo di responsabilità era rappresentato dall’evasione di imposte, precisando che il cumulo di sanzioni e interessi, provocato dalla scelta degli amministratori, di destinare le risorse finanziarie della società ad impieghi diversi rispetto a quelli relativi alla soddisfazione di debiti tributari risultava integrare causa e fattore di colpevole lesività degli interessi creditori ed osservando che il danno risarcibile, a tale titolo, doveva essere quello già fissato dal giudice di primo grado, nella somma complessiva di Euro 186.779,78. La corte territoriale ha ritenuto invece che, in ordine ai danni da omessa svalutazione dei crediti, le valutazioni del Tribunale non fossero convincenti, posto che non era stata acquisita prova certa delle lesività patrimoniali effettivamente associabili alle evidenze contabili, che avrebbero potuto anche esprimere un mero fittizio incremento documentale dell’attivo. La corte di merito ha inoltre ritenuto infondati i gravami laddove sostenevano, in relazione ai danni distrattivi, che gli esborsi fossero legittimati da vantaggi compensativi infragruppo, in quanto al presunto vantaggio compensativo – collegato con la messa a disposizione delle altre società del gruppo di beni immobili, beni strumentali ovvero servizi – avrebbe dovuto corrispondere la possibilità di usufruire da parte della società fallita di altrettanti beni o servizi, situazione invece non verificatasi in favore della (OMISSIS). In merito alla responsabilità degli amministratori, la corte territoriale ha evidenziato che i fatti lesivi erano talmente macroscopici e continuativi nel tempo, da non potersi sottrarre alla sfera di conoscenza (e, dunque, di responsabilità) dei membri del consiglio di amministrazione della fallita e che, sul piano del nesso causale, sarebbe stato sufficiente, per ciascun membro del consiglio di amministrazione, denunciare a verbale i fatti illeciti rilevati, per costringere il consiglio di amministrazione a deviare rispetto a tali fatti così accertati. In relazione alla responsabilità dei sindaci, la corte di appello ha evidenziato come, anche in questo caso, sarebbe risultato sufficiente denunciare le predette irregolarità onde impedirne la continuazione. Per converso, la colpevole omissione di vigilanza implicava, a carico dei sindaci, corresponsabilità e obbligo risarcitorio, ai sensi dell’art. 2407 c.c., comma 2. La corte di merito ha, inoltre, evidenziato, per quanto qui ancora di interesse, che la condanna risarcitoria inflitta all’odierno ricorrente A., quale presidente del collegio sindacale, si fondava non solo sulle ragioni generali già espresse per la responsabilità a titolo di omissione di controllo per l’altro sindaco F., ma si caratterizzava per un maggior livello di riprovevolezza, avendo svolto il ruolo di commercialista di fiducia del gruppo ed avendo contribuito, in modo determinante, all’elaborazione della strategia gestionale del gruppo. La corte fiorentina ha, infine, ritenute infondate le doglianze di A. in ordine alla corretta indicazione del quantum risarcitorio, al quale si sarebbe dovuto detrarre la quota dei danni verificatisi nel 2003, sul presupposto che il relativo bilancio sarebbe stato approvato soltanto l’anno seguente, dopo la cessazione della carica del sindaco: i danni in contestazione risalivano, infatti, alle continuative condotte illecite poste in essere da A. anteriormente, quando, cioè, il collegio sindacale presieduto dall’odierno ricorrente era nella pienezza delle sue funzioni e, dunque, avrebbe potuto e dovuto rilevarle e contrastarle.

2. La sentenza, pubblicata l’11.4.2016, è stata impugnata da A.M. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui la CURATELA FALL. (OMISSIS) SRL ha resistito con controricorso.

Il ricorrente B.S. ha invece rinunciato al ricorso e la Corte di Cassazione con provvedimento presidenziale del 23 maggio 2019 ha dichiarato parzialmente estinto il giudizio, con compensazione delle spese del giudizio.

Entrambi le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, con riferimento all’art. 164 c.p.c., e L. Fall., art. 146, ed inversione degli oneri probatori, con conseguente violazione degli artt. 2697,2932 e 2934 c.c.. Si osserva che il giudice di prime cure aveva rigettato l’eccezione di nullità dell’atto introduttivo con motivazione succinta che era stata, poi, fatta propria dalla corte d’appello, senza invece considerare che, per quanto riguarda più specificatamente la posizione dell’odierno ricorrente, la curatela gli aveva imputato una grave responsabilità attiva, senza riferire in quali atti la stessa si sarebbe concretata, nè quali effetti pregiudizievoli avrebbe comportato per la società e per il ceto creditorio.

2. Con il secondo mezzo si articola vizio di violazione e falsa applicazione delle norme di legge, con riferimento agli artt. 2727 e segg., 2730 c.c. e segg., e vizio relativo alla inversione dell’onere probatorio, con conseguente violazione degli artt. 2697,2932 e 2934 c.c., e comunque vizio di erroneità ovvero contraddittorietà della motivazione. Si osserva che la corte territoriale aveva ritenuto che la relazione del curatore fallimentare costituisse elemento probatorio apprezzato dal primo giudice per pervenire ad un giudizio di colpevolezza, così negligendo il principio per cui era la curatela ad essere onerata della prova dei fatti costituivi della dedotta responsabilità degli amministratori e dei sindaci, e non considerando che le deduzioni contenute nella relazione del curatore rivestono natura di prova presuntiva ovvero assimilabile a quella di una consulenza tecnica: così, nel primo caso i giudice del merito avrebbe valorizzato una presunzione come fatto noto dal quale derivarne un’altra presunzione, così incorrendo in quella praesumptio de praesumptio che l’ordinamento invece vieta; nel secondo caso, le deduzioni non avrebbero alcuna valenza probatoria. Si evidenzia ancora come la motivazione impugnata avesse erroneamente attribuito pieno valore confessorio alla mail del sindaco F., non potendo, invece, la stessa rivestire alcun valore confessorio nei confronti di persona diversa dal confidente.

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge, con riferimento agli artt. 2407, 2478 bis, anche in combinato con l’art. 2429 c.c. e segg.; art. 2424 bis c.c., e comunque vizio di erroneità e contraddittorietà della motivazione. Si evidenzia che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, l’odierno ricorrente nulla avrebbe potuto fare in termini di controllo, rispetto ai fatti accaduti durante l’esercizio 2003. Anzi, sarebbe stato omesso da parte della corte territoriale l’esame della documentazione prodotta, da cui emergeva un’assidua attenzione del collegio sindacale alla questione del mancato pagamento dei tributi ed una continua sollecitazione agli amministratori in tal senso, essendo peraltro sfuggita ai giudici del merito la circostanza secondo cui, al momento della redazione del bilancio 2002, era ancora pendente il termine per il condono la cui scelta (in termini di avvalersene o meno) era, comunque, rimessa agli amministratori.

4. Con il quarto mezzo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo e, in subordine, violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in riferimento all’art. 2407 c.c.. Evidenzia il ricorrente che la corte di merito aveva omesso di considerare la specifica censura mossa alla sentenza di primo grado sulla ritenuta sua responsabilità per l’imputazione alla società di spese e pagamenti ad essa non addebitabili, non potendosi invece ritenere, nei suoi poteri, quello di imporre una risoluzione del contratto di locazione stipulato da (OMISSIS) con (OMISSIS) s.p.a.. Si osserva ancora come, in ogni caso, con il gravame l’odierno ricorrente non avesse eccepito l’esistenza di vantaggi compensativi, bensì l’erroneità della sentenza di primo grado che aveva ritenuto l’ A. responsabile per fatti a quest’ultimo estranei.

5. Il ricorso è inammissibile.

6. Già il primo motivo non supera il vaglio di ammissibilità per mancanza di autosufficienza.

6.1 Sul punto, non è inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti (così, Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23834 del 25/09/2019; Sez. L, Sentenza n. 11738 del 08/06/2016; Sez. 5, Sentenza n. 19410 del 3 0/09/2015).

Ebbene, la censura così proposta dalla parte ricorrente si compone di generiche deduzioni in ordine al mancato rilievo della dedotta nullità processuale, senza allegare con precisione i fatti in relazione ai quali la domanda attrice sarebbe incorsa nella dedotta genericità ed indeterminatezza di formulazione (valga in senso contrario la circostanza che l’odierno ricorrente si era, poi, puntualmente difeso nel merito delle contestazioni).

Per il resto la censura si compone di inammissibili richieste di rivalutazione del merito della vicenda fattuale, il cui esame è – come noto – inibito alla corte di legittimità.

6.2 Anche il secondo motivo è inammissibile.

Osserva la Corte che, anche in questo caso, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge (artt. 2727 e 2730 c.c.) ed allegando una presunta violazione delle regole in materia di ripartizione dell’onere della prova, il ricorrente pretende, ora, una rivalutazione delle prove per affermare l’assenza di responsabilità del sindaco nella causazione del danno da mala gestio.

La censura si pone all’evidenza ben oltre il perimetro delimitante la cognizione del giudice di legittimità, e ciò a fortiori se si riflette sul fatto che le doglianze non colgono neanche la ratio decidendi della motivazione impugnata, che si fonda, non solo (e non tanto), sulla violazione degli obblighi di controllo del collegio sindacale sull’attività gestoria degli amministratori, quanto piuttosto sulla partecipazione attiva dell’ A. all’attività di amministratore delle società fallita, come consulente e come commercialista (e ciò peraltro in modo incompatibile con la carica rivestita formalmente di presidente del collegio sindacale).

Non si censura neanche l’altra ratio posta a sostegno dell’accertamento di responsabilità del sindaco, e cioè che le violazioni contestate agli amministratori (e ciò, con particolare riguardo al mancato pagamento dei tributi e l’assunzione di passività altrui, e cioè delle altre società del gruppo) rivestivano una tale evidenza ed eclatanza, che non potevano non essere rilevate dal collegio dei sindaci nel corso degli anni ed in occasione dell’approvazione dei diversi bilanci ove i costi di tali anomalie gestionali erano state puntualmente registrate.

Tanto ciò è vero che l’odierno ricorrente è stato attinto da una severa condanna penale nell’ambito del giudizio diretto ad accertare fatti di bancarotta fraudolenta.

6.3 Ma anche il terzo motivo è inammissibile per le stesse ragioni qui da ultimo evidenziate.

6.3.1 Sul punto, giova ancora una volta ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012.

6.3.2 Ciò detto, non può sfuggire come la richiesta di rivalutazione dell’ambito di responsabilità dell’ A. anche per i fatti del 2003, per come articolata, richieda alla corte di legittimità di rivalutare il compendio probatorio, a fronte, peraltro, di una motivazione che spiega, in termini convincenti e senza aporie logiche, che la responsabilità del presidente del collegio sindacale anche per tale periodo si rintracciava nella circostanza che le condotte di omesso controllo del predetto collegio risalivano a fatti già cristallizzati negli esercizi precedenti ed i cui effetti si ripercuotevano anche nell’esercizio in contestazione (si legga, in tal senso la valutazione relativa all’assunzione gratuita di costi di gestione delle altre società del gruppo).

6.4 D quarto motivo è anch’esso inammissibile.

In primis, va chiarito come non risulti fondata l’eccepita mancata pronuncia da parte della corte di merito sul motivo di gravame sollevato dall’odierno ricorrente in relazione alla “imputazione alla società di spese e pagamenti non addebitabili”, considerato che la corte territoriale si è espressa sul punto, evidenziando che la gravità di tale anomalia gestionale doveva far attivare i poteri di controllo da parte dei sindaci e di denuncia di tali comportamenti illeciti.

Per il resto, la censura si compone di irricevibili richieste di rivisitazione del merito della decisione tramite la lettura diretta degli atti istruttori, attività processuali che, per quanto sopra ampliamente detto, sono inibite a questa Corte.

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della curatela controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 20.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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