Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11878 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. II, 27/05/2011, (ud. 11/03/2011, dep. 27/05/2011), n.11878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.P. e C.G., rappresentati e difesi, in

forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. MARCHESE

Simone, elettivamente domiciliati nello studio dell’Avv. Anna Claudia

Salluzzo in Roma, Via Pippo Tamburri, n. 1/C;

– ricorrenti –

contro

V.C. e C.M.R., rappresentati e difesi,

in forza di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.

CUFFARI Salvatore, elettivamente domiciliati nello studio dell’Avv.

Vincenzo Alberto Pennisi in Roma, Viale Giuseppe Mazzini, n. 142;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catania n.

985 del 31 marzo 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11 marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso: “nulla

osserva”.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, in data 24 dicembre 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: ” V.C. e C.M.R. hanno convenuto in giudizio F.P. e C.G., proprietari di un appartamento limitrofo a quello di loro proprietà, lamentando che i vicini avevano eseguito dei lavori edili abusivi e chiedendone la condanna al risarcimento dei danni e al ripristino dello stato dei luoghi.

Si costituivano i convenuti, resistendo.

Il Tribunale di Catania, con sentenza pubblicata il 30 dicembre 2003, rigettava tutte le domande degli attori, ad eccezione di quella risarcitoria del danno cagionato nel corso dei lavori di posa in opera di una presa di corrente.

Questa pronuncia è stata riformata dalla Corte d’appello di Catania, che, con sentenza n. 423 del 31 marzo 2009, ha condannato il F. e la C. a pagare l’ulteriore somma di Euro 2.392,34 e a ridurre in pristino stato la falda del tetto di copertura sul lato sud, per tutta la parte modificata nella sua pendenza originaria; e ha regolato le spese dell’intero giudizio, ponendo a carico degli appellati la metà delle spese del primo e del secondo grado, con compensazione della restante parte.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il F. e la C. hanno proposto ricorso, sulla base di cinque motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

1. – Il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto provata la sussistenza del nesso di causalità tra evento e danno) si chiude con il quesito “se è legittimo o no, ai sensi degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., derivare la certezza probatoria in ordine ad un fatto ignorato da un fatto a sua volta desunto da un fatto noto, e quindi privo del carattere della certezza e della concretezza”.

Il secondo motivo, sotto la rubrica “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso del giudizio”, fa presente che “nessuna valida motivazione ha fornito la Corte d’appello di Catania nell’escludere la rilevanza della documentazione datata ottobre 1988 e costituita dalla fattura di acquisto della scala a chiocciola n. (OMISSIS) e dalle relative bolle di accompagnamento nn. (OMISSIS)”.

Il terzo motivo (nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ. per avere, la Corte d’appello, statuito su una domanda nuova) formula il quesito “se il mutamento, nell’atto di appello, delle ragioni su cui la domanda è fondata integri una modifica del petitum e/o della causa petendi, inammissibile in secondo grado”.

Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 cod. civ., per avere, il giudice del merito, ritenuto che le opere di modifica della pendenza della falda di copertura sul lato sud, eseguite dal F. e dalla C., integrino un uso illecito della cosa comune; omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, in relazione alla presunta violazione, da parte del F. e della C., dei limiti posti dall’art. 1102 cod. civ.) si conclude con la denuncia secondo cui “nessuna motivazione esente da vizi ha fornito la Corte d’appello di Catania in ordine alla circostanza della (presunta) violazione della disposizione di cui all’art. 1102 cod. civ., decisiva per l’accoglimento della domanda di riduzione in pristino della falda del tetto di copertura sul lato sud”.

Il quinto mezzo censura nullità della sentenza per violazione di norme processuali (artt. 91 e ss. cod. proc. civ.).

2. – Il primo, il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili per inidoneità del quesito.

Questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza non solo di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863).

Per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità.

Nella specie, i quesiti che accompagnano i tre motivi sono assolutamente generici ed aspecifici e come tali inidonei, perchè non sono tali da consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, di un diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di Cassazione sia idonea a determinare una decisione di segno diverso (Cass., Sez. 1^, 22 giugno 2007, n. 14682).

3. – Il quinto motivo è inammissibile per assenza del quesito di diritto.

4. – Il secondo motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha spiegato ampiamente – con logica ed argomentata motivazione, esente da vizi logici e giuridici – perchè non sia stata raggiunta la prova che la collocazione della scala a chiocciola sia avvenuta coevamente alla sua consegna.

Alla detta valutazione i ricorrenti contrappongono la propria, ma della maggiore o minore attendibilità di questa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.

5. – Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”.

Letta, la memoria dei ricorrenti e dei controricorrenti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che le critiche ad essa rivolte con la memoria di parte ricorrente non colgono nel segno;

che – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. Un., 11 gennaio 2011, n. 393) – il quesito di diritto deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare: in conclusione, l’ammissibilità del motivo è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuto ed autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione;

che i quesiti in cui si articola il ricorso principale sono inidonei, perchè sono generici e privi di riferimento alla fattispecie e perchè non lasciano comprendere la regula iuris adottata in concreto nel provvedimento impugnato – che, inoltre, nel quarto motivo, trovano congiunta e contemporanea formulazione censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, è ciò costituisce una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 bis cod. proc. civ., giacchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione (cfr. Cass., Sez. lav., 11 aprile 2008, n. 9470);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara, inammissibile il ricorso e condanna, i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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