Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11877 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 12/05/2017, (ud. 10/03/2017, dep.12/05/2017),  n. 11877

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28854/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C.

PAISIELLO 33, presso lo studio dell’avvocato STEFANO PETRECCA, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSAMARIA NICASTRO;

– controricorrentí –

avverso la sentenza n. 96/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 27/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 96/22/12 depositata in data 27/9/2012 la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello col quale R.S. aveva censurato la sentenza di primo grado, favorevole al contribuente limitatamente alle sanzioni applicate dall’Ufficio, sostenendo la illegittimità della qualificazione, come cessione d’ azienda, dell’operazione posta in essere unitamente agli altri soci della MAXERRE VIAGGI s.r.l., rappresentanti l’intero capitale sociale, R.M. e R.L., con la quale avevano ceduto contestualmente a FINVALV s.r.l., con contratto registrato il (OMISSIS), la totalità delle quote di partecipazione, al loro valore nominale.

I contribuenti, con autonomi ricorsi, avevano impugnato l’avviso di liquidazione con cui erano state determinate dall’Agenzia delle Entrate, in misura proporzionale e non fissa, le imposte di registro, ipotecaria e catastale.

L’appello è stato accolto con la motivazione che, alla luce del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, la operazione posta in essere a favore della società FINVALV, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ufficio, non assume valenza elusiva in quanto l’imposta si registro è una imposta d’atto e, quindi, non v’è spazio per una riqualificazione del negozio che prescinda dall’esigenza di garantire all’imprenditore l’autonomia delle proprie scelte commerciali.

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione con due motivi.

L’intimato contribuente resiste con controricorso e memoria difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, giacchè il Giudice di appello avrebbe dato esclusiva rilevanza agli aspetti formali del negozio, trascurando gli effetti giuridici ed economici effettivamente prodotti, costituendo abuso del diritto qualunque operazione compiuta essenzialmente per conseguire un vantaggio fiscale.

Col secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, giacchè il Giudice di appello, dopo aver escluso che l’Ufficio potesse riqualificare l’atto in conformità alla sostanza economica dell’operazione, ancorchè in contrasto con quanto dichiarato dalle parti nell’atto, avrebbe apoditticamente escluso anche la natura elusiva dell’operazione medesima, essendo il negozio chiaramente finalizzato al trasferimento indiretto dell’azienda, ricomprendente beni immobili, a nulla rilevando che la società FINVALV fosse una holding “con attività esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni” e che avesse inserito in bilancio il valore delle quote in tal modo acquisite.

I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati e meritano accoglimento nei termini di seguito precisati.

La tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria è che, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, i negozi contestualmente posti in essere dai soci della MAXERRE VIAGGI s.r.l. devono essere considerati come espressione di un fenomeno giuridico unitario, tendente ad attuare l’effetto della compravendita del compendio aziendale.

Il Giudice di appello, invece, ha ritenuto priva di logica dimostrazione la definizione dell’operazione, ai fini dell’imposta di registro, come elusiva dell’istituto contrattuale del trasferimento di azienda, essendo garantita dall’ordinamento la libertà delle scelte imprenditoriali, ed in quanto la società FINVAL con “non ha raggirato norme fiscali, tenuto conto che l’intera quota acquistata non è stata più movimentata da parte della società acquirente”, ed ancora che “le quote sono state inserite sic et simpliciter nel bilancio della società”.

In tal modo però il profilo giuridico, rilevante in causa, non è stato affatto colto dal giudicante, giacchè esso non è attinente a una supposta elusione dell’istituto contrattuale che regola la circolazione della proprietà dell’azienda, ma dell’imposta.

La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel senso di escludere che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, sia disposizione predisposta al recupero di imposte “eluse”, perchè l’istituto dell'”abuso del diritto” – ora disciplinato dalla L. L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, disposizione ratione temporis non applicabile alla fattispecie in esame presuppone una mancanza di “causa economica” che non è viceversa prevista per l’applicazione dell’art. 20 citato, disposizione la quale semplicemente impone, ai fini della determinazione dell’imposta di registro, di qualificare l’atto o il collegamento di più atti in ragione del loro intrinseca portata, cioè in ragione degli effetti oggettivamente raggiunti dal negozio o dal collegamento negoziale, come può appunto avvenire con la cessione delle quote della società, atti che se funzionalmente e cronologicamente “collegati” potrebbero essere senz’altro idonei a realizzare “oggettivamente” gli effetti della vendita e cioè il trasferimento di cose dietro corrispettivo del pagamento del prezzo (Cass. n. 3562/2017).

La fattispecie regolata dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nemmeno ha a che fare con l’istituto della simulazione, atteso che la riqualificazione in parola avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel negozio o quel dato collegamento negoziale, e ciò perchè quel che conta sono gli effetti oggettivamente prodottisi (ex multis, Cass. n. 9582/2016; n. 10211/2016; n. 9573/2016; n. 18454/2016; n. 2050/2017).

La Corte ha, inoltre, chiarito che la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma e, quindi, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più atti, con la conseguenza di dover riferire l’imposizione al risultato di un comportamento nella sostanza unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali, atomisticamente considerati (Cass. n. 10216/2016; n. 1955/2015; n. 14150/2013; n. 6835/2013).

A detta interpretazione si è giunti tenendo conto dell’evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal regime della tassa, avente come oggetto l’atto inteso nella sua forma documentale, e come contenuto una determinata quantità di denaro da riscuotere in corrispettivo del servizio di registrazione, a quello dell’imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva correlabile a una ben dimostrata forza economica.

Inserendosi nell’ambito di una simile evoluzione, del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 1 e 20, vanno interpretati nel senso che l’oggetto dell’imposta di registro, per quanto genericamente e formalmente individuata nel riferimento dell’art. 1, agli atti soggetti a registrazione o volontariamente presentati per la registrazione, nella sostanza, è costituito dagli effetti giuridici di tali atti, ma l’imposta si collega all’atto come negozio e non all’atto come documento (Cass. n. 3481/2014).

Nè, in senso contrario, vale il riferimento alla diversità dei criteri interpretativi utilizzabili ai fini tributari, rispetto a quelli civilistici, in quanto va pur sempre attribuita preminenza, in applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, “alla causa reale dell’operazione economica rispetto alle forme negoziali adoperate dalle parti, sicchè, ai fini della individuazione del corretto trattamento fiscale, è possibile valutare, ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2, circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali ” (Cass. n. 6405/2014), di guisa che “gli stessi concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscono a semplici elementi della fattispecie tributaria” (Cass. n. 19752/2013; n. 10660/2003; n. 14900/2001).

Priva di rilievo risulta, allora, la ricerca delle ragioni economiche giustificatrici dell’operazione in quanto, una volta riconosciuto, alla luce dei principi innanzi enunciati, che ci si trova di fronte ad un caso di cessione d’azienda (o di ramo d’azienda), non è richiesta alcuna valutazione circa l’esistenza o meno di valide ragioni economiche atte a giustificare l’operazione medesima, per come strutturata, nè tantomeno incombe sull’Amministrazione finanziaria alcun onere probatorio al riguardo.

L’indirizzo giurisprudenziale – al quale il Collegio intende dare continuità – non appare scalfito dalla recente sentenza n. 2054/2017 della Corte, che individua un limite alla attività riqualificatoria dell’Ufficio nella insuperabilità dello schema negoziale tipico in cui l’atto presentato alla registrazione risulti inquadrabile, di tal che, in mancanza di prova, a carico della Amministrazione finanziaria, del disegno elusivo, ricorrerebbe piuttosto “un’ipotesi di libera scelta di un tipo negoziale invece di un altro”.

Al di là, infatti, delle specifiche caratteristiche del caso concreto e della ritenuta sufficienza della motivazione in punto di prova di un “collegamento negoziale preordinato ad eludere la tassazione dell’imposta di registro” – sul piano processuale, l’accertamento della natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (v. per tutte Cass. n. 11974/2010) – preme qui osservare che l’isolato approdo giurisprudenziale non considera che: è proprio la formulazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, a consentire il superamento dell’individuato limite all’attività di interpretazione dell’atto consentita all’Amministrazione finanziaria; l’intento elusivo non è essenziale ai fini qui esaminati; la proposta lettura della disposizione mal si concilia con il principio costituzionale della capacità contributiva ed ignora la ricordata evoluzione della prestazione patrimoniale tributaria dal regime della tassa a quello dell’ imposta.

Quanto al primo punto, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nel disporre che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”, fissa un chiaro criterio il quale comporta che, nell’imposizione del negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale ad alla effettiva regolamentazione degli interessi realmente perseguita dai contraenti.

Quanto al secondo punto, l’esaminata disposizione non richiede l’intento elusivo, che può esserci ma non deve necessariamente esserci, sicchè il tema d’indagine non consiste nell’accertare cosa la parti hanno scritto, ma cosa le stesse hanno effettivamente realizzato con il regolamento negoziale, e tanto non discende dal contenuto delle peculiari dichiarazioni delle parti medesime.

Quanto al terzo punto, come evidenziato da autorevole dottrina, giova ricordare che il tributo del registro può atteggiarsi come imposta, quando è rapportato, in misura proporzionale, al valore dell’atto registrato (contratto, sentenza, ecc.) a contenuto economico, assunto dal legislatore come indice di capacità contributiva, e come tassa, quando è dovuto in misura fissa, in tal caso trovando come presupposto e giustificazione la prestazione di un servizio, cioè la registrazione (e conservazione) di un atto.

Infine, la ricordata sentenza (n. 2054/2017) non considera la molteplicità delle forme in cui l’autonomia contrattuale prevista dall’art. 1322 c.c., può potenzialmente esprimersi, nè tantomeno dà il giusto spazio, nella individuazione della materia imponibile, alla c.d. “causa concreta” del contratto, ovvero lo scopo pratico del negozio inteso, al di là del modello astratto utilizzato, come funzione individuale della singola e specifica negoziazione, questione che non può essere sbrigativamente superata richiamando la intangibilità dello schema negoziale tipico (v. per tutte, Cass. n. 10490/2006), e neppure al fenomeno del collegamento negoziale, “meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico complesso, che viene realizzato, non attraverso un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, cosicchè le vicende che investono un contratto possono ripercuotersi sull’altro. Ciò che vuoi dire che, pur conservando una loro causa autonoma, i diversi contratti legati dal loro collegamento funzionale sono finalizzati ad un unico regolamento dei reciproci interessi” (Cass. n. 12454/2012).

Quindi, come efficacemente affermato da questa Corte, “l’incorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l’incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell’effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano” (Cass. n. 3562/2017).

E’ stato pure precisato che “il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, attribuisce preminente rilievo all’intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto, rispetto al suo titolo ed alla sua forma apparente, sicchè l’Amministrazione finanziaria può riqualificare come cessione di azienda la cessione totalitaria delle quote di una società, senza essere tenuta a provare l’intento elusivo delle parti, attesa l’identità della funzione economica dei due contratti, consistente nel trasferimento del potere di godimento e disposizione dell’azienda da un gruppo di soggetti ad un altro gruppo o individuo” (Cass. n. 24594/2015).

E poichè il Giudice di appello, sull’erronea premessa di una considerazione esclusivamente atomistica delle cessioni delle quote di partecipazione alla società, ha trascurato l’efficacia interpretativa e probatoria di tutti gli elementi fattuali dedotti dall’Agenzia delle Entrate a fondamento della causa unitaria di cessione aziendale – in tesi – perseguita dai negozi dedotti in giudizio, la sentenza impugnata va cassata e dovendosi procedere al discernimento di una tipica quaestio facti, si impone il rinvio ad altra sezione della medesima CTR, la quale rivaluterà la fattispecie, alla luce dei principi di diritto sopra ricordati, e provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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