Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11876 del 09/06/2016


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Cassazione civile sez. I, 09/06/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 09/06/2016), n.11876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30764-2011 proposto da:

C.N., (C.F. (OMISSIS)), in proprio e nella

qualità di erede di R.E., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso l’avvocato ANGELO COLUCCI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI

FRANCHI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA S.C.R.L.;

– intimata –

Nonchè da:

BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA S.C. (C.F./P.I. 01153230360),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 101, presso l’avvocato STEFANO

PECONI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SIDO

BONFATTI, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1042/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 12/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato ANGELO COLUCCI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, il rigetto dell’incidentale;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

SABRINA DAZZI, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale, l’accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

principale o in subordine per l’accoglimento per quanto di ragione

(del solo quarto motivo), per l’inammissibilità del ricorso

incidentale.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.- Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha confermato la decisione del tribunale con la quale erano state rigettate le domande di nullità, annullamento e risarcitorie proposte da C.N. e R.E. in relazione agli acquisti effettuati da Banca Popolare dell’Emilia Romagna in obbligazioni “Parmalat” (Parmalat Finance Corporation BV (OMISSIS) a tasso fisso 5,125% e scadenza 20.9.2004), rispettivamente il 3.6.2003 con esborso di Euro 95.776,250 e il 12.2.2002 con esborso di euro 70.619,370; obbligazioni che erano state coinvolte nel dicembre 2003 nel default dell’intero “Gruppo Parmalat”.

La corte di merito, in sintesi, accolta la doglianza relativa alla dichiarata nullità della citazione per indeterminatezza e individuato l’oggetto delle domande nei singoli contratti di negoziazione e non nei contratti-quadro, rilevata la mancanza di specificità di gran parte delle censure (nullità per difetto di forma dei contratti-quadro; inadeguatezza degli investimenti e mancata consegna del prospetto informativo), ha disatteso nel resto il gravame. Le negoziazioni non erano avvenute in prossimità del default e, comunque, il rating delle obbligazioni era ancora BBB; la violazione degli obblighi informativi non dava luogo a nullità (SSUU 26724/2007) e, comunque, riferiti alla natura di titoli esteri, era irrilevante, sussistendo la garanzia di Parmalat Finanziaria italiana e in ogni caso il teste escusso (non incapace a testimoniare in quanto dipendente, ritenuto attendibile) aveva riferito di avere informato della natura estera dei titoli. Sulla circostanza le attrici non avevano risposto all’interrogatorio.

Non sussisteva, infine, il dedotto conflitto di interessi perchè il ctu aveva accertato che i titoli erano stati acquistati per far fronte agli ordini di negoziazione e non erano detenuti dalla banca;

erano titoli già in circolazione.

1.1.- Contro la sentenza di appello C.N., in proprio e quale erede di R.E., ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Resiste con controricorso la banca intimata la quale ha proposto, altresì, ricorso incidentale affidato a un solo motivo, relativo alle spese del ctu.

Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato memoria.

2.- Con i motivi di ricorso la ricorrente denuncia:

a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al combinato disposto degli artt. 342 e 346 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3): lamenta che la Corte di merito abbia erroneamente omesso di esaminare la domanda di nullità per difetto di forma ai sensi dell’art. 23 TUF degli atti di acquisto di titoli Parmalat effettuati dalla defunta R.E., pur avendo riconosciuto l’errore del tribunale riguardo alla dichiarazione di parziale nullità dell’atto di citazione. Pertanto, la Corte di appello avrebbe errato nel non riesaminare integralmente la domanda proposta dalla stessa. Secondo la ricorrente “basta dedurre l’invalidità per difetto di forma degli ordini, perchè si debba valutare se è stato redatto per iscritto il contratto generale”.

al) Il motivo è infondato perchè la nullità degli ordini di negoziazione non può riverberarsi sulla validità del contratto-

quadro e, come si desume dalle stesse conclusioni rassegnate in appello e trascritte nella sentenza impugnata (pagg. 2) nonchè, molto più esplicitamente dal primo motivo di appello, le attrici avevano dedotto soltanto la nullità dei “singoli contratti”, lamentando la violazione delle norme di diligenza professionale in relazione all'”acquisto dei titoli Parmalat” (cfr. la domanda principale e quella subordinata).

La questione, peraltro, è stata già decisa da questa Sezione nel senso che in tema di intermediazione finanziaria, ove sia stata dedotta dall’investitore la nullità dei soli ordini di investimento, deve escludersi che il giudice, anche in sede di appello, possa rilevare d’ufficio la nullità del contratto quadro per difetto del requisito della forma scritta. Invero, da un lato, il rilievo officioso della nullità riguarda solo il contratto posto a fondamento della domanda e, quindi, i singoli contratti di investimento, dotati di una propria autonoma individualità rispetto al contratto quadro, sebbene con esso collegati; dall’altro, il principio del rilievo officioso della nullità va coordinato, nel giudizio di gravame, con quello del divieto di domande nuove, cosicchè l’istanza, ivi formulata per la prima volta, di declaratoria della nullità non può essere esaminata, potendo solo convertirsi nella corrispondente eccezione: con la conseguenza che, nella specie, il giudice di appello non può dichiarare d’ufficio la nullità del contratto quadro, traducendosi tale pronuncia nell’inammissibile accoglimento di una domanda nuova. (Sez. 1, Sentenza n. 5249 del 16/03/2016).

Talchè, correttamente la corte di merito ha evidenziato di non poter prendere in esame l’eccezione relativa alla forma del contratto quadro in quanto non oggetto di specifico motivo di appello e prospettata soltanto nella memoria di replica depositata in appello.

b) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 (art. 360 c.p.c., comma 3). Deduce che sin dall’inizio del giudizio le attrici avevano dedotto la nullità del contratto-quadro per difetto di forma, irrilevante essendo la specificazione che mancava la sottoscrizione, nel contratto, del legale rappresentante della banca.

b1) Il motivo è palesemente infondato alla luce del chiarissimo primo motivo di appello con il quale le attrici, nel contestare la ritenuta (dal tribunale) nullità per indeterminatezza della citazione, hanno ribadito a chiare lettere che sin dalla proposizione della domanda esse si erano riferite esclusivamente ai singoli atti di negoziazione.

D’altronde il principio della rilevabilità d’ufficio delle nullità va coordinato con quello di preclusione nelle allegazioni fattuali, posto che la rilevabilità stessa è subordinata alla circostanza che sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 350 del 09/01/2013, la quale, in applicazione di tale principio, ha respinto il corrispondente motivo di impugnazione in considerazione della tardività dell’allegazione, avvenuta solo nella comparsa conclusionale in sede di appello, degli elementi di fatto fondanti la invocata nullità della convenzione di interessi).

c) Violazione e falsa applicazione degli artt. 246 e 231 c.p.c. e art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Deduce che la sentenza impugnata avrebbe errato poichè avrebbe ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sull’istituto di credito non considerando l’incapacità a testimoniare dei dipendenti della banca, come riconosciuto dalla prevalente giurisprudenza in materia e avendo trascurato il principio, affermato da questa Corte, secondo cui “il giudice del merito non sarebbe esonerato dal potere dovere di esaminare l’intrinseca attendibilità di detto testimone” laddove la sua capacità a deporre non possa essere messa in discussione per non essere stata la relativa questione tempestivamente sollevata. Deduce, ancora, che nella sentenza impugnata non sarebbe stata rispettata la norma di cui all’art. 231 c.p.c., essendo stato valutato positivamente l’interrogatorio formale reso da un procuratore speciale anzichè dal legale rappresentante dell’Istituto di credito.

La sentenza sarebbe censurabile per non avere la Corte di merito ritenuto sussistente il nesso causale fra inadempimento e danno.

Deduce che in casi come quello concreto il nesso causale sarebbe in re ipsa.

C1) Il motivo è infondato perchè secondo la giurisprudenza di legittimità ribadita di recente – non importa incapacità a testimoniare (ex art. 246 c.p.c.) per i dipendenti di una banca la circostanza che questa, evocata in giudizio da un cliente, potrebbe convenirli in garanzia nello stesso giudizio per essere responsabili dell’operazione che ha dato origine alla controversia.

Infatti, le due cause, anche se proposte nello stesso giudizio, si fondano su rapporti diversi ed i dipendenti hanno un interesse solo riflesso ad una determinata soluzione della causa principale, che non li legittima a partecipare al giudizio promosso dal cliente, in quanto l’esito di questo, di per sè, non è idoneo ad arrecare ad essi pregiudizio (Sez. 1, Sentenza n. 8462 del 10/04/2014). Quanto alla restante censura, essa è inammissibile là dove si incentra sulla inattendibilità dei testi – doglianza, peraltro, già qualificata come generica nella sentenza impugnata, non specificamente censurata sul punto – ed è infondata nel resto perchè la valutazione sull’attendibilità di un testimone ha ad oggetto il contenuto della dichiarazione resa e non può essere aprioristica e per categorie di soggetti, al fine di escluderne “ex ante” la capacità a testimoniare (Sez. 3, Sentenza n. 19215 del 29/09/2015).

Quanto alla violazione dell’art. 231 c.p.c., la corte di merito ha ritenuto inammissibile la relativa censura perchè non formulata con specifico motivo di appello ma dedotta in sede di memoria di replica e la ricorrente non impugna specificamente questa ratio decidendi, come eccepito dalla resistente (v. controricorso pag. 11).

Anche l’ultima parte del motivo – riferita alla prova del nesso causale – è infondata perchè la corte di merito ha ritenuto provata l’informativa sulla natura dell’emittente in virtù della mancata risposta all’interrogatorio formale deferito alle attrici, non comparse. Statuizione non specificamente impugnata. Sì che è priva di decisività la censura sul nesso causale.

d) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, artt. 26, 28 e 29 Reg. Consob n. 11522/98, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Lamenta la violazione degli obblighi informativi gravanti sugli intermediari finanziari e richiama la giurisprudenza di merito formatasi sul punto.

Deduce che la banca avrebbe dovuto percepire i segnali che nel corso del 2003 erano emersi circa il default del Gruppo Parmalat.

d1) La censura è inammissibile per ciò che attiene ai profili diversi dagli obblighi informativi relativi alla natura estera dell’emittente perchè in relazione ad essi la Corte di appello ha ritenuto privi di specificità i motivi di appello e tale statuizione non è ritualmente impugnata. D’altra parte, la sentenza impugnata contiene ampia e non illogica motivazione in ordine all’adeguatezza dell’operazione, in considerazione del rating e dell’epoca di acquisto, talchè le censure si risolvono in inammissibili richieste di rivalutazione del merito della causa, non consentita in sede di legittimità.

e) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 TUF e art. 27 Reg.

Consob n. 11522/98 o degli artt. 1394 o 1395 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Richiama la giurisprudenza che confermerebbe la censurabilità della condotta della Banca che avrebbe posto in essere delle operazioni in contropartita diretta senza aver “chiesto ed ottenuto il preventivo ed espresso consenso richiesto dall’art. 27”. Deduce la ricorrente che, al fine di escludere la ricorrenza del conflitto di interessi, non avrebbe alcun rilievo la circostanza che i bond fossero stati acquistati dalla banca per rivenderli. La Banca era creditrice di numerose società del gruppo Parmalat. Secondo la ricorrente, “avendo la banca alienato titoli propri”, si sarebbe in presenza di un’ipotesi di contratto con se stesso con la conseguente annullabilità del contratto posto in essere.

E1) A prescindere dalla disamina dell’inammissibilità della censura per l’eccepita novità della questione relativa alla violazione degli artt. 1394 e 1395 c.c., il motivo è infondato.

La negoziazione in contropartita diretta costituisce uno dei servizi di investimento al cui esercizio l’intermediario è autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come si evince dalle definizioni contenute nel D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 1 essendo essa una delle modalità con le quali l’intermediario può dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente. Ne deriva che l’esecuzione dell’ordine in conto proprio non comporta, di per sè sola, l’annullabilità dell’atto ai sensi degli artt. 1394 o 1395 cod. civ. (Sez. 1, Sentenza n. 28432 del 22/12/2011).

Nel resto, la censura va disattesa per avere la corte di merito congruamente motivato l’esclusione di qualsiasi conflitto di interessi anche alla luce dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.

3.- Con l’unico motivo di ricorso incidentale la banca denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. lamentando che la corte di merito non abbia deciso sul proprio appello incidentale relativo alla mancata attribuzione delle spese relative alla consulenza tecnica d’ufficio.

Il motivo – così come correttamente evidenziato dal P.G. nel corso della discussione – è inammissibile per difetto di specificità, posto che manca qualsiasi esplicitazione della censura negli esatti termini formulata in appello e ciò in violazione del principio di autosufficienza.

Il rigetto del ricorso principale e l’inammissibilità di quello incidentale giustificano l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale, compensando le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2016

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