Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11875 del 14/05/2010
Cassazione civile sez. trib., 14/05/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 14/05/2010), n.11875
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Presidente –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 27310/2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope
legis;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO CIANCI SRL;
– intimata –
avverso la sentenza n. 128/2007 della Commissione Tributaria
Regionale di NAPOLI del 23.1.07, depositata il 25/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
17/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI.
E’ presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO
IANNELLI.
Fatto
IN FATTO E IN DIRITTO
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti del fallimento della s.r.l. Cianci (che è rimasto odi accertamento per Irpeg e Ilor (col quale si rettificava il reddito di impresa rideterminandolo col metodo induttivo sulla base dell’aliquota del 6%, dopo che il fallimento non aveva esibito la documentazione contabile richiesta in quanto distruttala un incendio e che, a seguito di intervento della G.d.F. presso altra società, erano risultate effettuate dalla società fallita operazioni senza emissione di fattura), la C.T.R. Campania confermava la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso della Cianci s.r.l.) rilevando: che per determinare l’aliquota applicabile non si poteva fare ricorso alle tabelle ministeriali sulle percentuali di redditività senza spiegarne i motivi, anche in relazione al minimo;
che l’importo risultante evaso era troppo modesto per determinare un incremento del reddito nella misura di cui all’avviso opposto; che il p.v.c. a carico di altra società – del quale non risultava provata l’allegazione all’avviso opposto – non riferiva di altre evasioni nè chiariva il giro d’affari tra le due società; infine che la mancata ricostruzione da parte del fallimento della contabilità distrutta non era dipesa da cattiva volontà.
2. Col primo e col terzo motivo di ricorso, deducendo violazione deL D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, nonchè artt. 2697 e 2727 c.c., la ricorrente afferma che il ricarico del 6% era il minimo previsto dalle tabelle ministeriali per l’attività esercitata dalla contribuente e che il ricorso a tali tabelle era giustificato dall’assenza di scritture contabili, che consentiva di procedere ad accertamento induttivo sulla base di presunzioni di maggiore redditività anche sfornite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e ciò a prescindere da quanto emergente dal p.v.c. redatto a carico di altra società – quindi dalla sua comunicazione alla società fallita e dai dati in esso contenuti.
Le censure sono manifestamente fondate, posto che, ai sensi della lett. c) del comma 2 dell’art. 39 citato, l’Ufficio può avvalersi, per la determinazione del reddito di impresa, anche di presunzioni non dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza quando, come nella specie, le scritture contabili non siano disponibili per causa di forza maggiore, e che può indubbiamente configurarsi come presunzione semplice, sfornita dei requisiti sopra esposti, la percentuale minima di redditività prevista dalle tabelle ministeriali concernenti l’attività esercitata dalla società. Anche il secondo motivo (col quale, deducendo violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 111 Cost., si censura l’affermazione con la quale i giudici d’appello hanno ritenuto non valido il ricorso alle tabelle ministeriali perchè “non vengono dettati i motivi che l’applicazione minima”) risulta manifestamente fondato, sia pure nei termini che seguono.
Esclusa l’inesistenza o apparenza della motivazione (come denunciata nell’epigrafe del motivo), giacchè nella specie una motivazione esiste, è da ritenersi che, nella parte sopra riportata tra virgolette la motivazione e oggetto della presente censura, tale motivazione sia viziata in quanto illogica (come peraltro evidenziato dalla ricorrente nell’esposizione del motivo) posto che, anche volendo ritenere che nella frase “non vengono dettati i motivi che l’applicazione minima” un lapsus calami abbia comportato l’omissione del verbo dopo il “che”, il concetto risulterebbe più comprensibile, ma non più razionale, non essendo necessario spiegare i motivi che giustificano l’applicazione delle tabelle nella misura minima, se questa è l’applicazione più limitata possibile.
Il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Campania.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2010