Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11875 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/05/2021, (ud. 19/03/2021, dep. 06/05/2021), n.11875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15198-2019 proposto da:

V.E., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO DELLA GANCIA

1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ATTIANESE, rappresentato

e difeso dall’avvocato MICHELE MASSIMILIANO CAPASSO;

– ricorrente –

contro

V.L., V.C. e V.M., eredi di

D.L.R. e di V.G., rappresentati e difesi dall’avv.

ROSANNA PAPA e domiciliati presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– controricorrenti –

e contro

V.S. e V.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5097/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 09/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/03/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 23.9.1999 V.G. e D.L.R. evocavano in giudizio innanzi alla Pretura di Napoli, sezione distaccata di Frattamaggiore, la figlia V.E., premettendo di averle donato un’area cortilizia, sulla quale la convenuta aveva poi realizzato un fabbricato, invadendo tuttavia una porzione non compresa nell’atto di donazione, e quindi di proprietà esclusiva di essi attori. Lamentavano inoltre che la convenuta parcheggiava la propria vettura nel cortile, che pure affermavano essere di loro proprietà esclusiva, e ne chiedevano la condanna al pagamento di un’indennità per l’abusiva occupazione del suolo, ad eliminare la rampa di accesso al piano seminterrato ed un canaletto di scolo, con i quali asserivano essere stata invasa la loro proprietà, e a non parcheggiare la vettura nel cortile di proprietà esclusiva di essi attori.

Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda, affermando che il cortile era di proprietà comune e spiegando riconvenzionale per l’eliminazione di alcune opere realizzate dagli attori nella corte comune (un deposito attrezzi ed una tettoia), nonchè di alcune piantumazioni e di un forno realizzati dagli attori in violazione delle distanze dal confine.

Nelle more del giudizio, la convenuta spiegava altresì domanda di reintegrazione nel possesso del cortile, poichè gli attori avevano realizzato un cancello con telecomando, senza consegnarne le chiavi alla figlia.

Con sentenza del 26.5.2010 il Tribunale di Napoli, presso cui la causa era stata trattata a seguito della soppressione delle Preture, accoglieva in parte sia la principale che la riconvenzionale, condannando, rispettivamente: la convenuta, al ripristino della corte, ritenuta di proprietà esclusiva degli attori, e dunque ad eliminare rampa di accesso al seminterrato e canale di scolo realizzati sulla medesima, nonchè al pagamento della somma di Euro 2.730,33 per indennizzo da occupazione del suolo; gli attori, invece, all’estirpazione di due alberi a distanza non regolamentare dal confine. Tutte le altre domande venivano invece rigettate.

Interponeva appello avverso detta decisione V.E. e si costituivano in seconde cure, per resistere al gravame, gli eredi degli originari attori.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 5097/2018, la Corte di Appello di Napoli rigettava l’impugnazione, condannando l’appellata alle spese del grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione V.E., affidandosi a cinque motivi.

Resistono con controricorso V.L., V.C. e V.M., mentre V.S. e V.D. sono rimasti intimati.

La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1117,2697,1362,769 e 832 c.c., perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la proprietà comune del cortile occupato in parte dalla ricorrente, ritenendolo, invece, di proprietà esclusiva dei di lei genitori. Ad avviso della ricorrente, opererebbe la presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c., trattandosi di area destinata a cortile a servizio di più edifici.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1117, 1102, 1120 e 832 c.p.c., perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ordinato l’eliminazione del canale di scolo (dalla ricorrente denominato “vasca”) e della rampa di accesso al piano seminterrato dell’edificio di sua proprietà, sulla base dell’assunto che dette opere insistessero su suolo di proprietà esclusiva dei medesimi, e non invece su area di proprietà comune.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 832 e 2697 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ordinato la demolizione della “vasca” per la raccolta dell’acqua piovana, appunto ritenendola insistente su suolo di proprietà degli originari attori, e non invece su area comune.

Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., e degli artt. 1117, 1102 e 1120 c.c., nonchè l’omesso esame di fatti decisivi, perchè la Corte di Appello avrebbe respinto la riconvenzionale spiegata dalla ricorrente, nonostante il fatto che il CTU nominato nel primo grado del giudizio avesse confermato che sulla corte, che ad avviso della ricorrente sarebbe di proprietà comune tra le parti, insistevano alcuni manufatti realizzati dagli originari attori, dei quali lo stesso ausiliario aveva suggerito l’eliminazione al fine di ripristinare l’originario stato dei luoghi.

Le quattro censure, che per la loro intima connessione meritano un esame congiunto, in quanto esse attingono, direttamente o indirettamente, la questione della proprietà comune o individuale del cortile oggetto di causa, sono inammissibili.

Con esse, infatti, la parte ricorrente sollecita in sostanza un riesame del merito della controversia, da ritenersi estraneo a natura e finalità del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790), senza peraltro avvedersi che la Corte d’Appello ha deciso la controversia non soltanto sulla base delle risultanze dell’atto di donazione intercorso tra le parti, ed in particolare del dato testuale in esso contenuto, ma anche del comportamento tenuto dalle parti successivamente al predetto atto. La Corte napoletana, infatti, afferma che “Il dato testuale contenuto nell’atto per Notar F.B. del (OMISSIS) così descrive il bene oggetto della donazione: “lo spazio o area interna del cortile del fabbricato in (OMISSIS) alla via (OMISSIS), già civico (OMISSIS) e già (OMISSIS), della superficie di mq. 113, confinante con proprietà dei donanti e con restante cortile”… la successiva menzione della contestuale cessione di tutte le accessioni, dipendenze, pertinenze e servitù attive e passive deve invero ritenersi una clausola di stile, che non vale a superare la circostanza che l’oggetto dell’atto di liberalità deve ritenersi limitato e contenuto nella descrizione dell’area ceduta, alla stregua delle misure ivi precisamente riportate. Ricorrendo oltre che alla interpretazione letterale, anche al criterio ermeneutico dettato dall’art. 1362 c.c., comma 2, consistente nella valutazione del comportamento delle parti anche successivo alla stipula, si deve ritenere che i donanti abbiano inteso precisare che l’accesso alla limitata zona ceduta, interclusa dalla porzione rimasta nella loro piena disponibilità, poteva avvenire solo mediante passaggio pedonale e si doveva svolgere attraverso il varco che gli stessi riconoscevano sempre pacificamente utilizzato dalla figlia” (cfr. pagg.6 e 7 della sentenza impugnata).

Detta ricostruzione costituisce il frutto di un apprezzamento di merito, articolato da un lato nella interpretazione della comune volontà delle parti, e dall’altro nella valutazione delle risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito. Quanto al primo aspetto, va ribadito che “In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti- è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 e ss. c.c….” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017, Rv. 646340; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 420 del 12/01/2006, Rv. 586972); quanto al secondo profilo, invece, va ribadito che “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330).

Peraltro, con le censure in esame la ricorrente contrappone, in sostanza, alla valutazione del giudice di merito una differente ed alternativa lettura del dato negoziale, senza tuttavia considerare che “La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui all’art. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585).

Con il quinto ed ultimo motivo, invece, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1117,2697,1140,1168,1144 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato la tutela possessoria invocata dalla ricorrente, in contrasto con quanto risultante dalle prove orali, che avevano confermato sia il possesso del diritto di passaggio, che lo spoglio perpetrato dai genitori mediante la posa in opera del cancello.

La censura è inammissibile.

La Corte territoriale, invero, ha ritenuto che “… le informazioni acquisite nel corso della fase sommaria e le deposizioni dei testi assunte durante la fase di merito non hanno compiutamente confermato la tesi sostenuta dalla ricorrente in sede possessoria. Le dichiarazioni contrastanti rese dai testi, comunque legati da vincoli di parentela od amicizia all’una o all’altra parte, hanno reso fragile la prova offerta dalla ricorrente, attuale appellante, tanto più che l’onere della prova incombeva su quest’ultima sulla scorta del principio di cui all’art. 2697 c.c.. A ciò si aggiunga che, nel contempo, sia i resistenti che i testi dagli stessi addotti, hanno concordemente affermato che V.E. aveva sempre avuto la possibilità di accedere al suo immobile utilizzando il varco pedonale esistente nel cancello, contrariamente a quanto dalla stessa sostenuto”(cfr. pagg. 8 e 9 della sentenza).

A fronte di tale ricostruzione, basata peraltro sul libero apprezzamento delle risultanze della prova orale acquisita nel corso delle varie fasi del giudizio di merito, la ricorrente propone ancora una volta una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, finendo quindi per sollecitare un ulteriore riesame del merito della vicenda.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della parte controricorrente. Nulla, invece, per gli intimati, in assenza di svolgimento di attività difensiva, da parte loro, nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 19 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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