Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11872 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. II, 27/05/2011, (ud. 11/03/2011, dep. 27/05/2011), n.11872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.F., C.L., D.F.E.P.,

D.F.R., D.F.P.P., rappresentati e

difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.

MASCOLO Angelo, elettivamente domiciliati nello studio dell’Avv.

Alessandro Masciocchi in Roma, Via della Mercede, n. 11;

– ricorrenti –

contro

D.B.E., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. OPERAMOLLA Vincenzo,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Portuense, n. 104, presso

Antonia De Angelis;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari n.

1076 del 9 dicembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11 marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso: “nulla

osserva”.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, in data 24 dicembre 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: ” C.F., D.F.P.E., C.L., D.F.R. e D.F.P. P. hanno chiesto il riconoscimento in loro favore dell’acquisto per usucapione della terrazza a livello, fungente anche da copertura dell’edificio, posta al terzo piano del fabbricato posto a (OMISSIS), convenendo in giudizio D.B. E..

Il Tribunale di Trani, con sentenza del 7 maggio 2004, ha accolto la domanda degli attori, mentre ha rigettato la riconvenzionale del convenuto volta ad ottenere la rimozione di opere edili realizzate da controparte.

La Corte d’appello di Bari, con sentenza depositata in cancelleria il 9 dicembre 2008, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato tutte le domande spiegate in prime cure.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno proposto ricorso C.F., D.F.P.E., C. L., D.F.R. e D.F.P.P., con atto notificato il 25 gennaio 2010, sulla base di due motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso.

Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, per omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia costituito dalle deposizioni dei testi B., R. e S..

Il secondo motivo censura violazione e falsa applicazione di norma di diritto, in relazione sia all’art. 1158 cod. civ. che all’art. 2697 cod. civ..

L’uno e l’altro motivo sono inammissibili.

Il secondo motivo non si conclude con il quesito di diritto, prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile.

Nella formulazione del primo mezzo non è stato osservato l’onere, imposto dal citato art. 366 bis cod. proc. civ., della indicazione chiara e sintetica del fatto controverso. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897; Cass., Sez. 1^, 8 gennaio 2009, n. 189; Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2009, n. 1741). In altri termini, il prescritto quesito di sintesi deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenere questo requisito rispettato quando, come nella specie, solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis cod. proc. civ. – che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, od insufficiente la motivazione e si indichi quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione. Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”.

Letta la memoria dei ricorrenti e del controricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che le critiche ad essa rivolte con la memoria di parte ricorrente non colgono nel segno;

che non è condivisibile l’assunto secondo cui sarebbe “veramente un non senso mantenere un obbligo di rispetto di una norma che più non esiste”;

che non rileva che il ricorso sia stato notificato quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, era già stata pubblicata ed entrata in vigore;

che, invero, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata, in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1^, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3^, 24 marzo 2010, n. 7119);

che, in relazione alla mancata osservanza della prescrizione indicata nell’art. 366 bis cod. proc. civ., con riferimento al vizio di motivazione, occorre ricordare che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603);

che, al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente – al contrario di quanto ritengono i ricorrenti – che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata;

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. Ili, 30 dicembre 2009, n. 27680);

che nella specie l’unico motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5, è totalmente privo di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo;

che non può essere ritenuto idoneo il riferimento, contenuto nella premessa che precede la denuncia della violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, al “punto decisivo della controversia costituito dalle deposizioni – per vero non riportate secondo quanto effettivamente dichiarato dai testi – dei sigg.ri B., R. e S.”;

che, d’altra parte, al di là del difetto del quesito di sintesi, occorre dare atto che la sentenza della Corte d’appello, con corretto apprezzamento di merito in relazione alle risultanze istruttorie acquisite, ha riconosciuto che il materiale probatorio in atti non è tale da dimostrare che gli attori abbiano mantenuto il possesso animo domini sul bene (la terrazza a livello) oggetto della comunione, comportandosi come titolari unici del relativo diritto dominicale ed in modo apertamente contrastante con il concorrente diritto degli altri condomini;

che le critiche mosse contro tale conclusione – oltre a risolversi nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito – non tengono conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata. Spetta, infatti, solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Nè per ottemperare all’obbligo della motivazione il giudice è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la motivazione (Cass., Sez. lav., 23 dicembre 2009, n. 27162);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara, inammissibile il ricorso e condanna, i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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