Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11871 del 09/06/2016


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Cassazione civile sez. I, 09/06/2016, (ud. 01/03/2016, dep. 09/06/2016), n.11871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. DI MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7489-2013 proposto da:

FALLIMENTO SOCIETA’ GENERALE DI INVESTIMENTI E PARTECIPAZIONI

S.P.A., in persona del Curatore dott. Z.C., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 161, presso

l’avvocato PAOLO QUATTROCCHI, rappresentato e difeso dall’avvocato

GUIDO GINO BARTALINI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CORDUSIO SOCIETA’ FIDUCIARIA PER AZIONI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI SAN VALENTINO 21, presso l’avvocato FRANCESCO CARBONETTI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO DALMARTELLO,

PIERO SCHLESINGER, giusta procura speciale per Notaio dott. PIETRO

SORMANI di MILANO – Rep.n. 385937 del 18.4.2013;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2998/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/03/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato BARTOLINI GUIDO GINO che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato CARBONETTI FABRIZIO, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata in data 11 settembre 2012 la Corte d’appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado: a) ha accolto l’opposizione proposta dalla Cordusio società fiduciaria per azioni e, in conseguenza, ha revocato il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti, ai sensi della L. Fall., art. 150, dal giudice delegato del fallimento della Società Generali di Investimento e Partecipazioni s.p.a.; b) ha rigettato la domanda di condanna della Cordusio società fiduciaria per azioni al pagamento della somma di Euro 1.265.606,15, proposta in via subordinata dal curatore del fallimento della Società Generali di Investimenti e Partecipazioni s.p.a.; c) ha condannato il curatore del fallimento a restituire alla Cordusio società fiduciaria per azioni la somma di Euro 1.265.606,15, oltre interessi legali e al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

2. La Corte territoriale ha ritenuto: a) che la Cordusio società fiduciaria per azioni, alla quale il socio S.E. aveva fiduciariamente trasferito le sue azioni, doveva essere considerata, in quanto mandataria senza rappresentanza, soggetto terzo rispetto al mandante – fiduciante; b) che l’art. 2356 c.c., nello stabilire che la responsabilità per il debito da conferimento grava sugli acquirenti di azioni “non liberate”, deve essere coordinato con l’art. 2354 c.c., comma 3, n. 4, ai sensi del quale i titoli azionari devono indicare l’ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate; c) che, pertanto, per “azioni non liberate” devono intendersi le azioni che risultino tali in base ai dati desumibili dal titolo; d) che, nella specie, i certificati azionari, nel momento in cui erano stati trasferiti alla Cordusio società fiduciaria per azioni, non recavano l’annotazione del preteso residuo debito da conferimento; e) che la curatela fallimentare, pur deducendo la mancanza di buona fede della società fiduciaria, non aveva provato che quest’ultima avesse volontariamente acquistato le azioni, pur essendo a conoscenza di un residuo debito d’apporto e neppure che dall’esame dei bilanci e dalla documentazione sociale potesse desumersi l’esistenza in capo al socio S. di un residuo debito da conferimento.

3. Avverso tale sentenza, la curatela del fallimento della Società Generali di Investimenti e Partecipazioni s.p.a. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso la Cordusio società fiduciaria per azioni. Nell’interesse delle parti sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 2354 e 2356 c.c., contestando che la responsabilità dell’acquirente per il debito da conferimento sia subordinato agli adempimenti formali di cui all’art. 2354 c.c., comma 3, n. 4.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il mancato esame di alcuni fatti decisivi ai fini della dimostrazione della mancanza di buona fede da parte della Cordusio società fiduciaria per azioni, che aveva ricevuto le azioni del S., nella consapevolezza dell’esistenza di un consistente debito di conferimento. Rileva, infatti, la ricorrente che nel processo era stata acquisita la prova dei crediti da mancato conferimento della società fallita nei confronti dei propri soci.

3. Il secondo motivo va esaminato preliminarmente per ragioni di carattere logico, dal momento che la decisione sui presupposti della responsabilità dell’acquirente di azioni non liberate presuppone l’accertamento della sussistenza di un debito da conferimento gravante dall’alienante, che, nel caso di specie, è stato escluso dalla sentenza impugnata.

Quest’ultima, infatti, esplicitamente rileva che “il Fallimento non ha del resto neppure provato che dall’esame dei bilanci e della documentazione sociale potesse desumersi la sussistenza in capo al socio S. di un residuo debito da conferimento”.

Ora, posto che la sentenza impugnata è stata depositata in data 11 settembre 2012, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3 alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2 Legge di conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).

Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

E, come specificamente affermato nelle ordinanze 10 febbraio 2015, n. 2498 e 1 luglio 2015, n. 13448, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Ciò posto, si deve rilevare che nella specie, il Fallimento, col secondo motivo del ricorso, ha inteso censurare, in subordine, la sentenza della Corte territoriale, per l’omesso esame dei due fatti rilevanti, ovvero la mancanza di buona fede della Cordusio all’atto del trasferimento delle azioni e l’esistenza dei crediti verso i soci. Dei due fatti, solo il primo può ritenersi subordinato alla questione fatta valere in via di principalità dal ricorrente, mentre il secondo attiene alla circostanza che sul piano logico-giuridico si pone come prioritaria rispetto alla stessa questione di diritto fatta valere col primo mezzo.

Su questi due fatti, la Corte del merito si è espressa, nel senso di ritenere non provato dalla Curatela che la Cordusio “avesse volontariamente comperato le azioni pur essendo a conoscenza dell’esistenza di un residuo debito d’apporto” ed ha altresì escluso “che dall’esame dei bilanci e della documentazione sociale potesse desumersi la sussistenza in capo al socio S. di un residuo debito da conferimento”, considerando specificamente l’ultimo bilancio precedente all’acquisto e la nota integrativa.

Ne consegue che i fatti decisivi sono stati considerati e, a fronte di ciò, appare palese come, con la denuncia dei documenti in tesi non valutati, il Fallimento in realtà critichi la valutazione delle prove, come operata dalla sentenza impugnata. Inoltre, già sul piano delle allegazioni, il Fallimento ricorrente sostiene che le prove raccolte e non attentamente scrutinate dimostrerebbero “l’esistenza dei crediti della Gener Invest nei confronti dei soci per mancati versamenti”, ossia una circostanza non specificamente riferibile all’alienante S..

Anche sotto questo profilo, è palese l’inammissibilità del motivo, che, già per come fatto valere, non è idoneo a censurare la statuizione della Corte ambrosiana sulla questione, logicamente preliminare, della mancata prova del residuo debito da conferimento in capo al S..

4. L’inammissibilità del secondo motivo di ricorso rende ultronea, per le ragioni indicate supra sub 3 qualunque considerazione in ordine al primo motivo di ricorso, da considerarsi assorbito.

5. In conclusione, il ricorso principale va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Deve aggiungersi che il ricorrente in cassazione, quando, come nella specie, sia ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non è tenuto, in caso di rigetto dell’impugnazione, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Fallimento ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 13.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2016

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