Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1187 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 24950 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.A.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, n.

2328/09/2014, depositata il 10 marzo 2014, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14 ottobre 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 2328/09/2014, depositata il 10 marzo 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di S.A., avverso la sentenza n. 207/05/2011 della Commissione tributaria provinciale di Avellino che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente, esercente attività di commercio di macchine elettroniche da ufficio, avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, a seguito di una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza di (OMISSIS), aveva recuperato a tassazione, per l’anno 2004, costi (pari a Euro 128.424,00) ritenuti indebitamente dedotti, ai fini Irpef, add. e Irap e detratti ai fini Iva;

– in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) avverso l’avviso di accertamento (OMISSIS) con il quale l’Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione nei confronti di S.A., per l’anno 2004, costi, pari a Euro 128.424,00, ritenuti indebitamente dedotti ai fini delle imposte dirette e detratti ai fini Iva, relativi (per Euro 19.974,00) a prestazioni rese in luoghi asseritamente diversi dalla sede dell’impresa ovvero relativi (per Euro 108.450,00) ad una fattura di acquisto regolarmente registrata e non rinvenuta durante le operazioni di verifica, il contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Avellino eccependo” in primo luogo la nullità dell’atto impositivo per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e, nel merito, l’infondatezza della pretesa tributaria; 2) la CTP di Avellino, con sentenza n. 207/05/11, aveva accolto il ricorso rilevando preliminarmente la nullità dell’avviso per inosservanza del termine dilatorio dello Statuto, ex art. 12, comma 7, in assenza di motivi di urgenza, e, nel merito, evidenziando l’inerenza dei costi (per Euro 19.974,00), sebbene afferenti a spese destinate ad attività secondarie nonchè l’allegazione, nel fascicolo di parte, della fattura di acquisto non rinvenuta dai militari durante le operazioni di verifica; 3) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello l’Ufficio eccependo, preliminarmente, che la ragione di urgenza della notifica dell’avviso ante tempus era da rinvenire nella “decadenza del potere accertativo” per l’anno 2004, tanto più che le risultanze di tali attività erano state oggetto anche di indagini a carattere penale e, chiedendo comunque, nel merito, la riforma della sentenza di primo grado; 4) il contribuente aveva controdedotto chiedendo la conferma della sentenza della CTP;

– in punto di diritto, la CTR – confermando la sentenza di primo grado – ha osservato che:1) premesso che gli atti di accertamento dell’Agenzia emessi prima del termine dilatorio dello Statuto, ex art. 12, comma 7, di sessanta giorni dalla conclusione delle operazioni di verifica, accesso e ispezione, sono illegittimi, salve specifiche ragioni di urgenza, nella specie, l’atto impositivo era stato emesso prima della scadenza del detto termine; 2)nondimeno, nel merito, era illegittima la ripresa a tassazione dei costi per l’importo di Euro 19.974,00, in quanto era stato documentato dal contribuente già in primo grado che una parte di essi (Euro 7.506,90) fosse inerente all’attività produttiva svolta nella sede secondaria e che la restante parte riguardasse la telefonia mobile e la sponsorizzazione a favore di un’associazione la cui fattura presentava solo un errore formale di intestazione non incidente sulla inerenza del costo medesimo; 3) ugualmente era illegittima la ripresa a tassazione del costo di Euro 108.450,00, relativo ad una fattura di acquisto regolarmente registrata, non rinvenuta dai verbalizzanti nel corso della verifica fiscale ma, come rilevato già dal giudice di primo grado, risultata allegata agli atti di causa;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; è rimasto intimato il contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia in rubrica “la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia o, in subordine, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 4 e 5, – la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12 – l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5)”: 1) per avere la CTR ritenuto la nullità dell’avviso di accertamento in questione per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in quanto emesso ante tempus, omettendo di pronunciarsi sulla esistenza o meno, nella specie, di un caso di particolare e motivata urgenza, ravvisabile, come eccepito nei gradi di merito dall’Ufficio, nella “decadenza del potere accertativo per l’anno di imposta 2004”, tanto più che l’attività verificata del contribuente-finalizzata all’ottenimento di un finanziamento pubblico – era stata oggetto anche di indagini penali; 2) anche a volere ritenere implicita la pronuncia sull’assenza di ragioni di urgenza, per avere omesso il giudice di appello qualsiasi motivazione sul punto; 3)per avere la CTR comunque violato il citato art. 12, comma 7, sussistendo, nella specie, delle specifiche ragioni di urgenza a giustificazione del superamento del detto termine; 4) per avere la CTR omesso di esaminare il fatto decisivo, rappresentato dall’Ufficio nei gradi di merito, circa l’imminente decadenza dall’accertamento, in una situazione in cui i fatti avevano anche una specifica rilevanza penale e una particolare dannosità per le finanze statali;

– il primo motivo – che si articola in più sub motivi, con una chiara delimitazione dei diversi profili di censura – è in parte inammissibile, in parte infondato;

– il primo sub motivo è infondato;

– va premesso che costituisce violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e configura il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22759 del 2014; n. 6835 del 2017); in particolare, il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 27566 del 2018; n. 28308 del 2017; n. 7653 del 2012); nella specie, la CTR – dopo avere precisato, nella parte in fatto della sentenza, che la CTP aveva accolto il ricorso rilevando, preliminarmente, la nullità dell’avviso di accertamento per essere stato emesso ante tempus in violazione del citato art. 12, comma 7, e senza motivazione sulla particolare urgenza – ha, nel rigettare l’appello dell’Ufficio, confermando espressamente la sentenza di primo grado, pronunciato sulla censura dell’appellante relativa alla assunta violazione del citato art. 12, comma 7, per essere il motivo di urgenza ravvisabile nell’imminente decadenza del potere accertativo per l’anno di imposta 2004, avuto riguardo anche al rilievo penale delle risultanze delle attività verificate;

– ugualmente privo di pregio è il secondo sub motivo;

– come da ultimo evidenziato dalla S.C., “ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 25456 del 2018). E’ stato, altresì, evidenziato che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016). Nel caso in questione, la CTR – dopo avere riportato, nella parte in fatto, il contenuto della decisione di primo grado quanto alla ritenuta nullità dell’avviso per violazione del citato art. 12, comma 7, essendo stato l’atto emesso ante tempus, in mancanza di giustificanti motivi di urgenza, nonchè la censura proposta dall’Ufficio in appello circa l’esistenza dei motivi di urgenza da ravvisare nell’imminente “decadenza del potere accertativo per l’anno di imposta 2004” aggravata dal rilievo anche penale delle risultanze dell’attività del contribuente finalizzata all’ottenimento di un finanziamento pubblico confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato il motivo di appello dell’Ufficio in ordine alla assunta violazione del citato art. 12, comma 7, evidentemente sul medesimo presupposto della inesistenza della prospettata ragione di urgenza (che era la medesima di quella eccepita nel controricorso in primo grado dall’Ufficio come si evince dal ricorso pag.3), con ciò rendendo chiaro il fondamento della propria decisione;

– infondato è, altresì, il terzo sub motivo relativo alla denuncia di violazione di legge per le ragioni di seguito indicate;

– dalla sentenza impugnata risulta circostanza incontestata l’emissione dell’avviso di accertamento impugnato prima della decorrenza del termine dilatorio di sessanta giorni di cui allo Statuto, art. 12, comma 7, dal rilascio del processo verbale della G.d.F. a chiusura delle operazioni di verifica nonchè la giustificazione da parte dell’Ufficio di tale emissione anticipata dell’atto impositivo con la indicazione della ragione di urgenza ravvisata nella imminente “decadenza del potere accertativo per l’anno di imposta 2004” anche in considerazione del rilievo penale delle attività verificate, finalizzate al rilascio di un finanziamento pubblico;

– le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823), premesso che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, si applica ai soli casi di accesso ed ispezioni e verifiche nei locali del contribuente, hanno chiarito che “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l'”invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (Cass., sez. un., n. 24823 del 2015; tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. n. 2875 del 2017; Cass. n. 10030 del 2017; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 21071 del 2017; Cass. n. 26943 del 2017); pertanto, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale è stato escluso, relativamente ai tributi non armonizzati, solo per gli accertamenti cd. a tavolino e, cioè, per quelli derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre Pubbliche Amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (da ultimo, Cass. n. 998 del 2018). Questa Corte ha anche chiarito a) che “la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non prevede alcuna distinzione, nemmeno in via interpretativa, tra verbale di chiusura di operazioni di controllo o di mero accesso istantaneo finalizzato ad acquisire documentazione e pertanto risulta arbitrario applicare il termine di 60 giorni distinguendo a seconda del tipo di operazione svolta dall’Ufficio” (Cass. Sez. V, n. 15624/14); b) che la redazione di un verbale è sempre necessaria, “anche in caso di mera acquisizione di documentazione”, alla luce del chiaro disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, per cui “di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia” (Cass. n. 20770 del 2013); c) che una volta redatto il verbale, va, in ogni caso, rispettato l’obbligo di emanare l’avviso solo dopo sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di accesso o di ispezione, salvo casi di particolare e motivata urgenza (Cass., sez. un., n. 18184 del 2013; Cass. n. 15624 del 2014 e 9424 del 2014). “La garanzia di cui all’art. 12, comma 7, della L. 27 luglio 2000 n. 212 si applica a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed è, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest’ultimo caso, come prescrive il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 6” (Cass. n. 15624 del 2014, da ultimo Cass. n. 19259 del 2017);

– invero, a far tempo dalla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18184/13 – ripresa e confermata dalla sentenza S.U. n. 24823/15 – si è affermato l’orientamento per cui la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, “deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del temine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni” (ed “indipendentemente da/fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni fiscali (Cass. n. 15010/14; 9424/14, 5374/14, 20770/13, 10381/14, come si ha cura di precisare in Cass., sez. un., n. 24823 del 2015) -“determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva”; con la precisazione che “il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativi dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (ex multis, da ultimo, Cass. nn. 7897 del 2016, 7601 del 2016, 7218 del 2016, 5365 del 2015, 14287 del 2014, 1563 del 2014, 25118 del 2014, 25759 del 2014).

-da ultimo, nelle sentenze n. 701 e 702 del 2019, la Corte ha espresso i principi – che il Collegio condivide e ai quali intende dare continuità secondo cui ” 1) la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la “prova di resistenza” e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non; 2) il principio di strumentalità delle forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall’ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario; 3) per i tributi armonizzati la necessità della “prova di resistenza”, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità”;

– in particolare, questa Corte ha chiarito che, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, “la scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (Cass. civ., 10 aprile 2018, n. 8749), ben potendo, invece, l’Amministrazione offrire come giustificazione dell’urgenza la prova che l’esercizio nell’imminenza della scadenza del termine sia dipeso da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso sull’attività accertativa fino al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, a pena di vedere dissolta la finalità di recupero delle imposte ritenute non versate dal contribuente. Non è, quindi, l’imminenza della scadenza del termine ad integrare l’urgenza, ma, semmai, l’insorgenza di fatti concreti e precisi che possono rendere giustificata l’attivazione dell’Ufficio quando non può più essere rispettato il termine dilatorio a pena di vedere decaduta l’Amministrazione” (per esempio in caso di reiterate violazioni delle leggi tributarie aventi rilevanza penale oppure per la partecipazione del contribuente ad una frode fiscale come da Cass. civ., sez. 6-5, 2 luglio 2018, n. 17211; Cass., sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27623 del 2018; Sez. 6 – 5, n. 22786 del 09/11/2015; da ultimo Cass., sez. 5, 18/12/2019 n. 33649);

– nella sentenza impugnata, la CTR ha fatto buon governo dei suddetti principi in quanto, nel confermare la sentenza di primo grado, ha correttamente ritenuto – non trattandosi di un controllo “a tavolino” illegittimo l’avviso di accertamento in questione emesso prima della decorrenza del termine di cui allo Statuto, art. 12, comma 7, dal rilascio del processo verbale dell’avvenuto accesso, in base alla indicazione della ragione di urgenza ravvisata dall’Ufficio nella improrogabile “scadenza dei termini di accertamento per il periodo di imposta in oggetto”, senza che l’Amministrazione avesse offerto come giustificazione della assunta urgenza l’insorgenza di fatti concreti e precisi, ad essa non imputabili, determinanti la propria mancata tempestiva attivazione, non potendo tali fatti, tantomeno, essere individuati nel dedotto rilievo anche penale della vicenda;

– inammissibile si profila infine il quarto sub motivo, posto che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 10 marzo 2014) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un “fatto storico”, ma, peraltro, di profili attinenti alle risultanze probatorie- quanto alla sussistenza di ragioni giustificative di urgenza – la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 109 TUIR, e dell’art. 2700 c.c., per avere la CTR ritenuto illegittima la ripresa a tassazione dei costi: 1) pari a Euro 7.506,90, stante l’inerenza delle relative spese all’attività produttiva svolta dal contribuente in una sede secondaria, ancorchè, ad avviso dell’Agenzia, la contribuente non avesse provato la destinazione delle prestazioni fatturate a una sede secondaria; 2) pari a Euro 10.803,83 per sponsorizzazione a un’associazione la cui fattura presentava un “errore formale” di intestazione tale da non incidere sulla inerenza della spesa sostenuta all’attività di impresa, ancorchè, ad avviso dell’Ufficio, la contribuente non avesse provato essersi trattato di un mero “errore formale”;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e art. 18, lett. e), per avere la CTR ritenuto illegittima la ripresa a tassazione dei costi di telefonia cellulare e di sponsorizzazione, senza alcuna motivazione sull’inerenza di tali spese all’attività di impresa;

– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 109 TUIR, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, e art. 2700 c.c., per avere la CTR ritenuto illegittima la ripresa a tassazione dei costi pari a Euro 108.450,00, essendo stata la relativa fattura allegata agli atti di causa, ancorchè, ad avviso dell’Ufficio, non essendo stata quest’ultima reperita dai verificatori come da attestazione non contestata con querela di falso, tale successiva produzione fosse da considerare irrilevante;

– i motivi secondo, terzo e quarto – da trattarsi congiuntamente – sono inammissibili per sopravvenuto difetto di interesse;

– ricorre infatti il consolidato indirizzo di legittimità secondo cui: “quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta” (Cass. 24/2/2017 n. 4809; 24/05/2006 n. 12372; in termini: Cass. 16.8.06 n. 18170; Cass.29.9.05 n. 19161 ed altre);

– nella specie, il rigetto del primo motivo di ricorso che afferisce alla prima ratio decidendi della sentenza impugnata costituita dalla ritenuta nullità dell’avviso per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, comporta l’inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse dei restanti motivi di ricorso che investono l’ulteriore autonoma ratio decidendi (l’utilizzo dell’inciso “Nondimeno” implica, infatti, una soluzione alternativa rispetto a quella prima affermata, sicchè la sentenza, in sostanza, si fonda su due rationes decidendi) fondata sulla asserita infondatezza, nel merito, della ripresa a tassazione dei costi in contestazione;

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– nulla sulle spese del giudizio di legittimità, essendo rimasto intimato il contribuente;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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