Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11867 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/05/2021, (ud. 19/03/2021, dep. 06/05/2021), n.11867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MARCHEIS Chiara Besso – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36251-2019 proposto da:

G.P., L.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE

CARSO, 67, presso lo studio dell’avvocato CHIARA TAGLIAFERRO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA PIZZUTO;

– ricorrenti –

contro

T.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE,

44, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CORBYONS, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato AUGUSTO TORTORELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1245/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 19/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

del 19/03/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L.G. e G.P. hanno proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza 19 settembre 2019, n. 1245/2019, resa dalla Corte d’appello di Genova.

T.C. resiste con controricorso.

2. La Corte di Genova, pronunciando sull’appello formulato da T.C., ha riformato l’ordinanza resa dal Tribunale di La Spezia in data 31 ottobre 2015 ed ha accolto la domanda del medesimo T.C. volta alla condanna dei convenuti L.G. e G.P. all’eliminazione delle opere di ampliamento dell’edificio sito in via (OMISSIS), sulla base della pattuizione contrattuale contenuta nell’atto per notaio Priore del (OMISSIS). Tale pattuizione è stata ritenuta opponibile a L.G. e G.P. dalla Corte di Genova in base alla nota di trascrizione prodotta in giudizio dall’appellante, documento ritenuto indispensabile ed ammissibilmente prodotto soltanto nel giudizio di gravame, in quanto divenuto rilevante alla stregua della decisione pronunciata in primo grado.

3. Il primo motivo di ricorso di L.G. e G.P. allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., nella formulazione risultante dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012.

Il secondo motivo di ricorso allega la violazione dell’art. 1122 c.c..

4. Su proposta del relatore, che riteneva che il primo motivo del ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il Presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

4.1. Il controricorrente ha presentato memoria.

5. Il Collegio ritiene che non sussiste la manifesta fondatezza del primo motivo di ricorso ravvisata nella proposta e che il ricorso debba invece dichiararsi inammissibile.

6. Quanto al primo motivo di ricorso, esso è carente di immediata riferibilità alla sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, facendo riferimento alla violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., norma che non regola la fattispecie di causa.

Si ha invero riguardo ad appello avverso ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c., comma 6, la cui disciplina è dettata dall’art. 702-quater c.p.c.. In base, allora, a tale disciplina, possono essere ammessi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli per causa ad essa non imputabile. La sentenza impugnata ha ritenuto ammissibile la produzione in appello della nota di trascrizione perchè indispensabile ai fini della decisione della causa, argomentando: “la questione della mancata trascrizione del contratto e/o della clausola in esso contenuta non era mai stata sollevata dalla difesa dei convenuti nel primo grado del giudizio: la sua rilevanza ed indispensabilità ai fini della decisione della causa è emersa soltanto dalla decisione del Tribunale, che dalla mancata produzione della nota di trascrizione ha fatto discendere l’inopponibilità della stessa ai convenuti”. La Corte di Genova ha così fatto corretta applicazione dell’art. 702-quater c.p.c., il quale appunto consente i nuovi mezzi di prova o documenti che siano indispensabili per la decisione, ovvero quelli idonei ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio, oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo e dalle ragioni della mancata deduzione o produzione in primo grado (arg. da Cass. Sez. U, 04/05/2017, n. 10790).

7. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte d’appello di Genova ha valutato la illegittimità delle opere di ampliamento del piano terreno e del piano primo del fabbricato realizzate da L.G. e G.P. nella loro unità immobiliare compresa nell’edificio di via (OMISSIS), sulla base della pattuizione contrattuale contenuta nell’atto per notaio Priore del (OMISSIS) (titolo di acquisto dei signori B. e Gr., successivi danti causa di L.G. e G.P.), per la quale qualsiasi modifica anche precaria della linea architettonica del caseggiato doveva essere concordata con tutti i proprietari. La Corte d’appello ha affermato che tale disposizione negoziale non era volta a creare un vincolo personale tra i contraenti, ma a tutelare un bene o valore condominiale, come quello attinente – per l’appunto – al decoro architettonico del caseggiato, inerente alla proprietà del bene e perciò di natura reale, giacchè costitutiva di servitù tra i proprietari del fabbricato, ed in quanto tale opponibile, in forza di trascrizione, agli aventi causa.

Il secondo motivo del ricorso di L.G. e G.P. ravvisa in ciò la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1122 c.c., avendo la Corte d’appello ritenuto erroneamente che la salvaguardia del decoro architettonico sia un bene condominiale, e individuato nell’art. 1122 c.c., un divieto generale di eseguire nelle porzioni di proprietà individuale opere suscettibili di recare danno alle parti comuni di edificio condominiale. Il motivo di ricorso assume che, nella specie, “non si è in presenza di un condominio ma di unità immobiliari distinte a cui non sono applicabili le normative relative al condominio ed alla comunione nel condominio, come nel caso del citato art. 1122 c.c., applicabile solo ai condomini”.

L’inammissibilità del secondo motivo è ravvisabile (oltre che nel postulare il compimento in sede di legittimità di nuovi accertamenti di fatto in ordine alla sussistenza, o meno, di una situazione di condominio, ai sensi dell’art. 1117 c.c., nel compendio immobiliare oggetto di lite) nel difetto di riferibilità della censura alla ratio decidendi su cui poggia la sentenza impugnata. Quest’ultima, come visto, ha reputato illegittime le opere di ampliamento realizzate da L.G. e G.P. nella loro unità immobiliare in forza della clausola “ne varietur” contenuta nell’atto di acquisto B. e Gr., cui è stata riconosciuta natura reale. Non era dunque oggetto di causa il tema delle opere realizzate da un condomino nella rispettiva proprietà esclusiva secondo la disciplina dell’art. 1122 c.c. (formulazione antecedente alla modifica introdotta dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220), opere che comunque si considerano vietate se comportino una lesione del decoro architettonico dell’edificio (cfr. Cass. Sez. 2, 11/02/2005, n. 2743). La legittimità delle opere eseguite da L.G. e G.P. è stata piuttosto valutata, per il definito thema decidendum, avendo riguardo alla portata della pattuizione convenzionale “ne varietur” inserita nell’atto di vendita ed interpretata ed intesa come limite di immodificabilità sia delle parti comuni che delle parti esclusive. Nè la censura investe le diverse questioni attinenti alla validità, o meno, delle pattuizioni contenute nell’atto di acquisto di un’unità immobiliare compresa in un edificio condominiale, che comportino restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva dei singoli condomini, ovvero relative alle parti condominiali dell’edificio, le quali, se espressamente e chiaramente enunziate, pongono in essere, per l’appunto, servitù reciproche limitative del diritto del condomino di usare, di godere e di disporre di tali beni (si vedano Cass. Sez. 2, 09/01/2019, n. 322; Cass. Sez. 2, 02/03/2017, n. 5336; Cass. Sez. 2, 26/05/1990, n. 4905; Cass. Sez. 2, 16/07/1971, n. 2330).

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile e i ricorrenti vanno condannati in solido a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 19 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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