Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11864 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/06/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 18/06/2020), n.11864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27206-2018 proposto da:

FT PLAST SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DONATELLO, 23, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO VILLA PIZZI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALBERTO SANTOLI;

– ricorrente –

contro

ENGINEERING GROUP FOR IMPORT & EXPORT SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 475/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. BESSO

MARCHEIS CHIARA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. Con atto di citazione del 2 ottobre 2003 la società Engineering Group for Import & Export s.r.l. conveniva in giudizio la società Ema s.r.l. chiedendo che, a fronte della incommerciabilità della merce acquistata (170 pompe contraffatte), venisse dichiarata la risoluzione del contratto di compravendita stipulato con la società convenuta.

Il Tribunale di Modena, sezione distaccata di Carpi, con sentenza n. 4040/2010 accoglieva la domanda attorea e condannava la società convenuta alla restituzione del prezzo pagato dall’attrice e al risarcimento del danno.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello la Ema s.r.l.

Con sentenza 15 febbraio 2018, n. 475, la Corte d’appello di Bologna rigettava integralmente l’appello e confermava la sentenza impugnata.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione FT Plast s.r.l., già Ema s.r.l.

L’intimata Engineering Group for Import & Export s.r.l non ha proposto difese.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

I. Il ricorso è articolato in tre motivi.

a) Il primo motivo contesta “violazione del disposto di cui all’art. 2697 c.c. e all’art. 213 c.p.c., esercizio di poteri inquisitori sostitutivi dell’onere probatorio incombente su parte attrice”. La Corte d’appello, rigettando il motivo di gravame, ha erroneamente ritenuto che il Tribunale, disponendo d’ufficio l’acquisizione degli atti del procedimento penale di contraffazione delle pompe oggetto del presente giudizio, non abbia violato l’art. 213 c.p.c. e il disposto di cui all’art. 2697 c.c.: non si trattava infatti di atti che controparte era impossibilitata a produrre in giudizio, avendo la medesima chiesto la concessione di un rinvio al fine di acquisirli.

Il motivo non può essere accolto. è vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte “il potere di cui all’art. 213 c.p.c. di richiedere d’ufficio alla P.A. le informazioni relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo non è sostitutivo dell’onere probatorio incombente alla parte” (così Cass. 287/2005). Nel caso in esame, però, come sottolinea il giudice d’appello, il difensore di Engineering Group for Import & Export, dopo aver dichiarato in udienza di aver appreso che sarebbe stata a breve depositata la sentenza del giudizio penale, aveva chiesto la concessione “di un rinvio al fine di acquisire gli ulteriori atti penali e il testo della sentenza”, così che l’iniziativa del Tribunale ha semplicemente accelerato – a fronte di una tempestiva istanza di parte (non essendovi un onere di produzione degli atti man mano che questi si formino nell’altro processo) – l’acquisizione dei documenti. L’acquisizione disposta dal giudice di primo non violava pertanto – come ha correttamente stabilito il giudice d’appello – nè l’art. 213 c.p.c. nè l’art. 2697 c.c. (al cui riguardo va ricordato che l’onere della prova è regola di giudizio che entra in gioco ove la prova, comunque acquisita, non sia stata raggiunta).

b) Il secondo e il terzo motivo sono strettamente connessi e ne è opportuna la trattazione congiunta:

— il secondo denuncia “violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1453 e 2697 c.c., insussistenza di prova del danno subito”: in relazione al capo della sentenza di primo grado che aveva condannato la ricorrente al risarcimento del danno, il giudice del gravame si sarebbe limitato ad affermare che l’appellante non aveva contestato la ricostruzione del Tribunale limitandosi a ribadire che l’appellata aveva rivenduto la partita di pompe a un terzo, rivendita che non era stata provata, così erroneamente addossando l’onere della prova alla ricorrente;

— il terzo motivo fa valere “violazione della disposizione di cui all’art. 1458 c.c., omessa condanna alla restituzione dei beni a fronte della declaratoria di risoluzione del contratto”: la Corte d’appello ha inoltre ritenuto infondata la doglianza relativa alla “declaratoria di risoluzione con omissione di condanna alla restituzione del bene”, avendo erroneamente ritenuto che la ricorrente non avesse specificamente impugnato l’avvenuto sequestro penale delle pompe.

I motivi non possono essere accolti. Circa la condanna al risarcimento del danno, il giudice d’appello non ha invertito l’onere della prova, in quanto, accertato che le pompe erano state contraffatte – e quindi oggetto di sequestro da parte del giudice penale e comunque destinate ad essere confiscate (v. infra) -, ha ritenuto che la ricorrente non avesse provato che le medesime erano invece state immediatamente rivendute a un terzo. Quanto alla mancata restituzione, la ricorrente obietta di avere specificamente impugnato l’avvenuto sequestro delle pompe, ma al riguardo si limita a dire di avere invocato l’inutilizzabilità degli atti del giudizio penale (“ivi compresi, evidentemente, i documenti da cui risulterebbe il sequestro delle pompe”, p. 15 del ricorso), ma ciò non significa avere contestato specificamente il fatto storico del sequestro delle pompe; la ricorrente non contesta poi l’ulteriore argomento del giudice d’appello per cui “in ogni caso, ove anche il Tribunale penale non avesse disposto il sequestro delle pompe, le stesse non potrebbero essere riconsegnate dall’appellata alla appellante essendo stata dichiarata la contraffazione delle stesse, con conseguente applicazione degli artt. 474 e 474-bis c.p. in tema di confisca”.

II. Il ricorso va dunque rigettato.

Nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese, non essendosi la società intimata difesa in giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002 ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta/2^ sezione civile, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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