Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11863 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 12/05/2017, (ud. 27/04/2017, dep.12/05/2017),  n. 11863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19865/2013 proposto da:

COMUNE MILANO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE IZZO,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati RUGGERO

MERONI, ANNA MARIA PAVIN, IRMA MARINELLI, MARIA RITA SURANO, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE CHIASSERINI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

BEETHOVEN 52, presso lo studio dell’avvocato RITA IMBRIOSCIA, che la

rappresenta e difende in virtù di procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 44/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 12/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/04/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

La Immobiliare Chiasserini S.r.l. impugnava gli avvisi di accertamento ICI per gli anni 2002 e 2003 emessi dal Comune di Milano sostenendone l’illegittimità e l’infondatezza, in quanto privi degli elementi essenziali a fondamento della pretesa tributaria.

Eccepiva altresì che la differenza di imposta richiesta dal Comune era relativa all’errato classamento del fabbricato, sicchè la rettifica andava effettuata entro la data del 31 dicembre 2005, laddove gli avvisi erano stati notificati solo nel dicembre del 2008.

La CTP di Milano, nella resistenza del Comune, il quale deduceva che nella fattispecie si verteva in un’ipotesi di omessa dichiarazione, attesa l’assenza di dati d’identificazione catastale nella denuncia della contribuente, rigettava i ricorsi aderendo alla tesi del Comune.

A seguito di appello proposto dalla società, la CTR di Milano con la sentenza n. 44/30/12 del 12 giugno 2012, accoglieva il gravame ritenendo che, difformemente da quanto opinato dal giudice di primo grado, si verteva in un’ipotesi di infedele dichiarazione, e non già di omessa dichiarazione, atteso che la contribuente già nel 1993 aveva denunciato il possesso di due unità immobiliari indicandone la categoria catastale C/3, laddove il Comune aveva invece appurato che si trattava di immobile avente categoria catastale D/7, chiedendo solo la differenza tra la maggiore imposta accertata e quella già versata in autoliquidazione dal contribuente.

Pertanto, doveva reputarsi intervenuto un mero errore di compilazione della dichiarazione originaria ICI, sicchè, trattandosi di infedele dichiarazione, gli avvisi andavano notificati entro la data del 31/12/2005, risultando quindi tardiva la notifica effettuata solo in data 18/12/2008.

Attesa quindi la decadenza nella quale era incorso l’ente impositore, gli avvisi andavano annullati, con l’accoglimento dell’opposizione promossa.

Il Comune di Milano ha chiesto la cassazione della sentenza del giudice di appello con ricorso affidato a due motivi.

La Immobiliare Chiasserini S.r.l. ha resistito con controricorso. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4, art. 11, commi 1 e 2 e art. 14, commi 1 e 2, dell’art. 115 c.p.c., nonchè la carente motivazione della sentenza in punto di accertamento dell’omessa denuncia da parte della contribuente.

Rileva il Comune che l’art. 11, comma 1, nella formulazione anteriore all’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, applicabile ratione temporis, consente al Comune di correggere gli errori materiali e di calcolo emettendo l’avviso di liquidazione dell’imposta non pagata in tutto o in parte entro il termine di decadenza del 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui è stata presentata la denuncia. Il secondo comma prevede che, in caso di infedeltà, incompletezza o inesattezza della dichiarazione, l’avviso di accertamento possa essere emesso entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia o andava effettuato il pagamento. Infine al secondo capoverso del secondo comma dello stesso art. 11 è previsto che in caso di omessa presentazione della denuncia, l’avviso è soggetto al termine di decadenza del quinto anno successivo a quello in cui la denunzia o la dichiarazione avrebbero dovuto essere presentate, ovvero a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento.

Assume che il modulo di denuncia ICI presentato dalla contribuente recava un’indicazione dell’immobile priva dei caratteri indispensabili, in quanto era afferente ad un diverso immobile avente categoria catastale C/3 non riferibile al diverso fabbricato a destinazione industriale (D/7) di proprietà della originaria parte ricorrente, così che nella fattispecie si verteva in un’ipotesi di omessa dichiarazione, con la possibilità di poter beneficiare del più ampio termine decadenziale quinquennale.

Il motivo è infondato.

Ed, invero, premessa la non conformità del motivo al requisito di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui, pur contestando la corretta valutazione circa la completezza della denunzia a suo tempo presentata dalla società intimata, omette di riprodurne in ricorso il contenuto, onde consentire a questa Corte di poter apprezzare dalla lettura dello stesso ricorso l’eventuale fondatezza della censura, emerge in ogni caso che la denunzia de qua, pur riferendosi all’immobile di proprietà della Immobiliare Chiasserini ubicato alla (OMISSIS), palesava un’erronea indicazione della categoria catastale, appunto individuata dalla contribuente come C/3, in luogo di quella reputata corretta dal Comune di D/7.

La circostanza che la denuncia abbia per l’appunto avuto ad oggetto il medesimo immobile, sebbene con l’errore ora segnalato, trova conferma poi nella stessa condotta dell’ente locale che, pur assumendo la debenza di una maggiore imposta, ha tuttavia portato in compensazione con il maggiore credito vantato, quanto già versato dalla società, sebbene sulla base della erronea indicazione catastale, comportamento questo che conforta il convincimento del giudice di appello circa il fatto che la denuncia ha avuto ad oggetto gli stessi immobili, senza che quindi vi sia stata un’omissione, ma solo un’infedele ovvero incompleta rappresentazione degli stessi da parte della contribuente.

Ove, infatti, come sostenuto in ricorso, la precedente denunzia fosse stata riferibile ad altro immobile, avente appunto la categoria C/3, il Comune lungi dal pretendere la differenza avrebbe dovuto richiedere l’intera imposta, che proprio perchè dovuta in relazione ad immobile del tutto differente da quello a suo tempo denunciato, era da ritenersi interamente non versata, e non anche parzialmente soddisfatta.

Ciò comporta che appare del tutto improprio il richiamo effettuato dalla difesa di parte ricorrente ai precedenti di questa Corte n. 932/2009, n. 21686/2010 e la conforme n. 18053/2010, che invece hanno ad oggetto, in presenza di una pluralità di immobili, l’ipotesi che non ricorre nella fattispecie, in cui risulti effettivamente omessa la dichiarazione anche di un solo cespite immobiliare, sebbene altri siano stati invece denunziati.

Alcun rilievo poi assume la circostanza che il bene de quo risultasse all’epoca ancora intestato in catasto alla dante causa della società, in quanto il tardivo adeguamento della risultanze catastali concerne non già beni diversi da quelli a suo tempo interessati dalla denunzia della controricorrente, ma quello stesso bene già indicato nella denunzia del 1983, sebbene erroneamente individuato con una categoria catastale diversa da quella invece reputata corretta dal Comune.

Il secondo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, commi 1 e 2 e del L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 161 e 171, art. 2963 c.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, comma 2.

Si sostiene che gli avvisi, anche laddove qualificati come relativi ad una dichiarazione infedele, devono ritenersi comunque tempestivi per effetto della novella di cui della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 161 e 171.

Infatti, ribadito che l’avviso, secondo la previgente disciplina andava notificato nel termine di decadenza del 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia, per l’anno di imposta 2002 l’avviso andava emesso entro il 31 dicembre 2006, e per l’anno d’imposta 2003 entro il 31 dicembre 2007.

Orbene, poichè a norma dell’art. 2963 c.c., comma 3, laddove il termine scada in un giorno festivo, Io stesso deve intendersi prorogato al giorno seguente non festivo, posto che il 31 dicembre 2006 era una domenica, il termine per l’avviso si è prorogato al 2 gennaio 2007 (primo giorno non festivo), con l’ulteriore conseguenza che a tale data erano già entrate in vigore le previsioni di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, che ha ampliato a cinque anni il termine di decadenza anche per le mere infedeltà.

Per l’effetto, ed attesa la previsione di cui del predetto art. 1, comma 171, che dispone che la disciplina sopravvenuta si applichi anche ai rapporti di imposta pendenti alla data del 1 gennaio 2007, la notifica degli avvisi avvenuta nel dicembre 2008 deve reputarsi tempestiva, in considerazione dell’ampliamento del termine di decadenza.

La tesi di parte ricorrente, per quanto suggestiva, è però priva di fondamento.

Ed, invero va in primo luogo osservato che, alla luce della previgente formulazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, per l’annualità 2002 il termine per l’avviso di accertamento, per l’ipotesi di dichiarazione infedele, veniva a scadere il 31 dicembre 2005, e non già il 31 dicembre 2006, come invece sostenuto dal Comune.

Quanto invece all’annualità 2003, sebbene il termine venisse a scadere il 31 dicembre 2006, la proroga del termine al 2 gennaio 2007, quale conseguenza dell’applicazione dell’art. 2963 c.c., anche al termine decadenziale di cui alle norme in esame (per l’estensione della norma de qua anche al termine di decadenza, cfr. Cass. n. 15832/2004), non consente però di ritenere applicabili anche le novellate previsioni di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161.

Deve, infatti, ritenersi che, sebbene per effetto della proroga del termine ex lege, fosse consentito emettere l’avviso anche il 2 gennaio 2007, tuttavia il mancato esercizio di tale facoltà ha determinato la maturazione della decadenza non essendo intervenuto il compimento dell’atto impeditivo della medesima entro la data prescritta dalla legge (nonchè in quella successiva frutto della proroga al primo giorno non festivo).

Il mancato compimento dell’atto impeditivo della decadenza nel termine prorogato, ha quindi comportato il venir meno della pretesa tributaria, ma a far data dal 31 dicembre 2006, sicchè deve escludersi che ricorra la condizione per invocare la diversa previsione di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 171, che presuppone che i rapporti di imposta fossero ancora pendenti alla data della entrata in vigore della legge (1 gennaio 2007).

Infine non deve trascurarsi come la soluzione qui sostenuta appaia in linea con quanto disposto dalla L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 3, che prevede l’improrogabilità dei termini di prescrizione o di decadenza per gli accertamenti di imposta, previsione che pur potendo essere derogata da altra legge successiva, presuppone però che la deroga sia espressamente voluta dal legislatore, e non desumibile dalla sola occasionale circostanza che l’ultimo giorno per l’esercizio del potere impositivo cada in un giorno festivo.

Il motivo deve essere quindi disatteso.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese in base al principio della soccombenza, come liquidate in dispositivo. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso” condanna il Comune ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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