Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11862 del 09/06/2016
Cassazione civile sez. lav., 09/06/2016, (ud. 23/03/2016, dep. 09/06/2016), n.11862
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14336/2011 proposto da:
C.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 441, presso lo studio
dell’avvocato PAOLO MARINI, rappresentata e difesa dall’avvocato
GABRIELE SILVESTRI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4980/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 01/06/2010 R.G.N. 8569/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
23/03/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;
udito l’Avvocato MARINI PAOLO per delega Avvocato SILVESTRI
GABRIELE;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale Avvocato
FIORILLO LUIGI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine
rigetto.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.F. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, con cui venne respinta, per accertata risoluzione del contratto per mutuo consenso, la sua domanda diretta alla declaratoria di illegittimità dell’apposizione del termine da parte di Poste Italiane s.p.a. nel contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 1.7.02 al 30.9.02 D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1 (motivato da “esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre 2001, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002”).
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 1 giugno 2010, respingeva il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la lavoratrice, affidato a tre motivi. Resiste con controricorso la società Poste Italiane.
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La lavoratrice denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto circa la risoluzione del rapporto per mutuo consenso; la violazione degli oneri probatori in ordine alle causali di assunzione, ed infine la violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del c.c.n.l. 2001 e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1.
1.1- Deve preliminarmente respingersi l’eccezione di inammissibilità della prima censura sollevata da Poste sulla considerazione che tratterebbesi di richiesta di nuova valutazione delle risultanze di causa. Ed invero la ricorrente denuncia una violazione di norme di diritto e, in ogni caso, “seppure la valutazione della portata del complesso degli elementi di fatto, in tesi concretanti il mutuo consenso, compete al giudice di merito”, le sue conclusioni, nel regime previgente all’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono censurabili in sede di legittimità laddove contengano vizi logici o errori di diritto (v. Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 48-2011 n. 16932, Cass. n. 4425/2016, Cass. n. 4492/2016).
Il primo motivo è in realtà fondato ed assorbe l’intero ricorso.
La sentenza impugnata ha ritenuto essersi il rapporto risolto per mutuo consenso in ragione: del tempo trascorso dalla cessazione di fatto dello stesso e la costituzione in mora (circa tre anni) da parte della lavoratrice; del percepimento e del reperimento di altra occupazione da parte della lavoratrice.
La soluzione adottata si pone in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso – costituente una eccezione in senso stretto, Cass. 7 maggio 2009 n. 10526, il cui onere della prova grava evidentemente sull’eccepiente, Cass. 1febbraio 2010 n. 2279 – non è di per sè sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (cfr. da ultimo Cass. n. 5240/15, Cass. 28.1.14 n. 1780, Cass. 11.3.11 n. 5887, Cass. 18.11.10 n. 23319, Cass. 15.11.10 n. 23057; Cass. 11.3.11 n. 5887, Cass. 4.8.11 n. 16932).
Tali significative circostanze non possono ravvisarsi, come ritenuto dalla Corte di merito, nella mera percezione del t.f.r. (indennità di fine lavoro), trattandosi di emolumento connesso alle esigenze alimentari del lavoratore, la cui pur volontaria accettazione non può costituire indice di una volontà di risoluzione del rapporto (Cass. ord. n. 2044/12, Cass. 9.10.14 n. 21310), e lo stesso dicasi quanto al reperimento di “altri rapporti lavorativi” (pag. 3 sentenza impugnata), trattandosi di circostanza generica a fronte del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui a tal fine rileva semmai il reperimento di altra occupazione stabile e cioè a tempo indeterminato, cfr. da ultimo Cass. 11.2.2016 n. 2732, Cass. n. 21876/2015.
Tale principio, conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, essendo basato sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione sociale “tipica” (v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209, Cass. n. 4492/2016), prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo consenso costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche se tacita (v. da ultimo Cass. 28-1-2014 n. 1780).
2.- Il ricorso deve pertanto accogliersi, restando assorbiti i restanti motivi, la sentenza impugnata cassarsi in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia, oltre che per la liquidazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2016.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2016