Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11861 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/05/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 27/05/2011), n.11861

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

SOCIETA’ IMMOBILIARE BALDESI DI BALDESI EUGENIO CARLO & C. SAS

IN

LIQUIDAZIONE ((OMISSIS)) in persona del suo legale rappresentante

e liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato AGOSTINO ROCCO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUARNIERI GIULIO,

giusta mandato speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, nonchè

mandatario della SCCI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato

e difeso dagli avvocati MARITATO LELIO, CALIULO LUIGI, SGROI

ANTONINO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 395/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del

17.3.09, depositata il 20/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA LA TERZA;

udito per il controricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti (per

delega avv. Lelio Maritato) che si riporta agli scritti;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. DESTRO Carlo

che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il giudice del lavoro del Tribunale di Lucca accoglieva l’opposizione proposta dalla Immobiliare Baldesi avverso la cartella di pagamento per oltre sessantacinquemila/00 Euro a titolo di contribuzione dovuta, per il periodo 1.2.99 – novembre 2000, sulle retribuzioni di lavoratori dipendenti da appaltatori della medesima Baldesi; la Corte d’appello di Firenze, su impugnazione dell’Inps, riformava la decisione, rigettando l’opposizione della società, perchè escludeva che il diritto dell’Istituto fosse precluso a causa della decadenza prevista dalla L. n. 1369 del 1960, art. 4. Nel merito la Corte adita affermava che le contestazioni della Società erano del tutto generiche, anche perchè l’Istituto aveva depositato il dettagliato verbale dell’accertamento ispettivo del febbraio 2001, in cui si dava conto del numero dei lavoratori e dei giorni del loro impiego presso i cantieri Baldesi;

Avverso tale sentenza la Società soccombente propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi, con cui si insiste per l’applicazione del termine di decadenza di cui alla L. n. 1369 del 2000, art. 4; l’Inps resiste con controricorso;

Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di manifesta infondatezza del ricorso; Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili, perchè è già stato affermato (Cass. n. 996 del 17/01/2007) che “la L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 4 (sul divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro), che pone il termine di decadenza di un anno dalla cessazione dell’appalto per l’esercizio dei diritti dei prestatori di lavoro, dipendenti da imprese appaltatrici di opere e servizi nei confronti degli imprenditori appaltanti – pur facendo riferimento, oltre che ai diritti al trattamento economico e normativo, anche al diritto di pretendere l’adempimento degli obblighi derivanti dalle leggi previdenziali – limita l’ambito di efficacia del suddetto termine ai diritti suscettibili di essere fatti valere direttamente dal lavoratore, non potendosi estendere invece l’efficacia dell’anzidetta disposizione legislativa ad un soggetto terzo, quale l’ente previdenziale, i cui diritti scaturenti dal rapporto di lavoro disciplinato dalla legge si sottraggono, pertanto, al predetto termine annuale decadenziale”.

Il collegio condivide le linee essenziali della motivazione che sono le seguenti:

1. La suddetta L. n. 1369, art. 4 (legge che, abrogata dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 85, può trovare applicazione solo ratione temporis), detta testualmente “I diritti spettanti ai prestatori di lavoro ai sensi dell’articolo precedente potranno essere esercitati nei confronti dell’imprenditore appaltante durante l’esecuzione dell’appalto e fino ad un anno dopo la cessazione dell’appalto”. La stessa L. n. 1369, all’art. 3 statuisce a sua volta, al comma 1, che gli imprenditori che appaltano opere o servizi – compresi i lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria degli impianti da eseguirsi nell’interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell’appaltatore – sono tenuti in solido con quest’ultimo a corrispondere, ai lavoratori dipendenti dall’appaltatore, un trattamento minimo inderogabile retributivo ed ad assicurare un trattamento normativo, non inferiore a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti (il confronto si fa dunque con i dipendenti dell’imprenditore appaltante); e precisa ancora, al comma 3, che “Gli imprenditori sono altresì tenuti in solido con l’appaltatore, relativamente ai lavoratori da questi dipendenti, all’adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza ed assistenza”.

2. La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione era giunta alla statuizione che il dato normativo non opera alcuna distinzione tra i vari tipi di diritti nascenti dalla L. n. 1369, art. 3 perchè li assoggetta tutti ad una disciplina identica, ed ha a tal riguardo evidenziato che il termine di un anno dalla cessazione dell’appalto – da definirsi, come anche detto nei lavori preparatori, di decadenza e non di prescrizione – riguarda pure gli obblighi derivanti dalle leggi previdenziali, sicchè il diritto dell’ente assicuratore al versamento dei relativi contributi è soggetto anche esso al termine decadenziale di un anno perchè si riferisce a diritti soggettivi posti da una norma derogativa eccezionale, ossia dalla L. n. 1369 del 1960, art. 3, il quale prevede una responsabilità solidale dell’imprenditore committente con l’imprenditore appaltatore relativamente a rapporti di lavoro di cui il committente stesso non è titolare (cfr. in tali sensi ex plurimis: Cass. 9 settembre 1983 n. 4663; Cass. 28 luglio 1983 n. 5185; Cass. 9 ottobre 1975 n. 3216);

3. Questo orientamento non è condivisibile in base ad una interpretazione incentrata sulla lettera del combinato disposto della L. n. 1369 del 1960, artt. 3 e 4 nonchè sulla ratio sottesa al dato normativo, il quale mostra come il legislatore abbia voluto introdurre una obbligazione di carattere solidale al fine di garantire, ai dipendenti degli assuntori di appalti, un trattamento minimo inderogabile retributivo ed un trattamento normativo non inferiore a quello dei dipendenti degli appaltanti, sempre che si sia in presenza di specifiche prestazioni da effettuarsi all’interno dell’azienda di questi ultimi; ed abbia altresì inteso estendere, sempre a garanzia dei suddetti dipendenti, la solidarietà tra committente ed appaltatore anche alle prestazioni scaturenti dalle leggi di previdenza ed assistenza. E che nella scrutinata normativa siano contemplati unicamente i committenti e gli appaltatori si deduce con certezza dalle espressioni del legislatore che fa, per quanto riguarda i primi, ricorso alla parola “imprenditori” (“Gli imprenditori che appaltano” e “Gli imprenditori sono altresì tenuti …” rispettivamente ai commi 1 e 3, art. 3) e, per quanto riguarda la parte coobbligata con questi, alla parola “appaltatore” (cfr.

ancora commi 1 e 3 del citato art. 3). 4.2. E che la disciplina del termine decadenziale riguardi sempre ed unicamente il committente e l’appaltatore – e non qualsiasi altro soggetto estraneo alla conclusione del contratto lavorativo perchè terzo rispetto ad esso – trova ulteriore e definitivo conforto nel testo dell’art. 4, il cui richiamo ai diritti spettanti ai prestatori di lavoro “ai sensi dell’articolo precedente” appare estremamente eloquente in tali sensi.

4. Quanto ora detto trova, sotto altro versante, conferma nella piena autonomia del rapporto previdenziale facente capo all’INPS, ribadita più volte dai giudici di legittimità, quali hanno statuito che allorquando l’Istituto assicuratore faccia valere la sua qualità di soggetto autonomo per fonte, causa, soggetti e contenuto differente da quello pur connesso di lavoro – del correlativo rapporto non soggiace al giudicato (di inesistenza del rapporto di lavoro subordinato), intervenuto fra il lavoratore ed il suo datore di lavoro, e rimane, pertanto, autonomamente legittimato a chiedere l’accertamento del proprio diritto (cfr. in tali sensi: Cass. 22 novembre 1984 n. 6029, cui adde, tra le innumerevoli decisioni applicative dell’autonomia del suddetto rapporto previdenziale: Cass. 5 luglio 2002 n. 9774; Cass. 22 marzo 2001 n. 4141; Cass. 18 febbraio 1986 n. 970).

5. Nè può trascurarsi di considerare, ai fini di una migliore comprensione del testo normativo in esame, come sia abituale tecnica legislativa, proprio in ragione della più volte ricordata autonomia del rapporto previdenziale – tecnica di cui sono testimonianza tra l’altro il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, artt. 25 e 27 in materia di somministrazione di lavoro (istituto dalla cui irregolare utilizzazione possono scaturire gli illegittimi effetti della interposizione della manodopera regolati dalla disciplina della L. n. 1369 ora abrogata) – regolare in modo specifico ed autonomo (lasciando impregiudicate la posizione dell’Istituto assicurativo e la generale disciplina sull’esercizio dei suoi diritti derivanti dal rapporto previdenziale) sia gli obblighi di natura economica e normativa che quelli di natura previdenziale ed assistenziale, scaturenti dal rapporto di lavoro subordinato ed indicando quei lavoratori che dell’adempimento di tali obblighi debbono essere garantiti allorquando, in ragione della pluralità dei beneficiari delle prestazioni lavorative, possano sorgere incertezze sulla individuazione del vero datore di lavoro o possano configurarsi pericoli di irregolare utilizzazione di specifici istituti e di figure contrattuali legislativamente disciplinate.

6. L’assunto dell’estensibilità della decadenza al diritto dell’INPS ai contributi previdenziali è contraddetto, infine, anche dalla ratio della L. n. 1369 del 1960, art. 4, che va individuata in un opportuno bilanciamento dell’interesse del lavoratore a vedere pienamente tutelata nei riguardi dello appaltante la sua posizione (economica, normativa e previdenziale) con quello del suo datore di lavoro a limitare nel tempo una esposizione patrimoniale che attraverso l’assunzione di una responsabilità solidale con l’appaltatore – risulta suscettibile di tradursi in un indubbio aggravamento degli obblighi scaturenti dall’iniziale rapporto e dalla disciplina dalla contrattazione collettiva che detto rapporto regola.

E che il diritto dell’INPS alla regolarizzazione della posizione previdenziale del lavoratore risulti soggetta anche in materia di appalti alla prescrizione – e non, invece, ad alcun termine decadenziale – appare come mero corollario, da un lato, del principio che le norme dettate in materia di decadenza non sono soggette nè ad interpretazione restrittiva, per dovere essere applicate con quel rigore e quella rigidità imposte dalla natura dei loro effetti (cfr.

al riguardo tra le tante: Cass. 9 febbraio 2006 n. 2853; Cass. 21 agosto 2003 n. 12300, ed in epoca più risalente, Cass, 7 giugno 1971 n. 2126, cui adde ancora in argomento: Cass. 26 giugno 2000 n. 8680, che pur premettendo che la natura perentoria di un termine, per l’esercizio di un diritto, può desumersi anche in via interpretativa, rimarca però come la legge debba autorizzare tale interpretazione comminando, sia pure implicitamente ma in modo univoco, la perdita del diritto in caso di mancata osservanza del suddetto termine) nè ad interpretazione analogica (cfr. tra le altre: Cass. 2 ottobre 2003 n. 14694; Cass. 26 giugno 2000 n. 8700).

6.1. Per di più non può non assegnarsi il dovuto rilievo ai fini di inferirne l’autonomia del rapporto previdenziale – e la consequenziale sottrazione al termine annuale decadenziale del diritto dell’INPS alla regolarizzazione dello stesso – ai lavori preparatori degli scrutinati artt. 3 e 4. In detti lavori non v’è alcun cenno volto a regolamentare l’esercizio del diritto dell’Istituto assicuratore derivante dal rapporto previdenziale, ma si evidenzia unicamente – in connessione ad altre leggi, costituenti un reticolato normativo posto a tutela dei diritti dei lavoratori (e precisamente quella del collocamento, quella del lavoro a domicilio, quella della tutela della donna e del minore) – l’esigenza di “disciplinare situazioni, che pur se non son dettate necessariamente da propositi di frode, tuttavia possono determinare delle sperequazioni nell’ambito dell’azienda, tali da giustificare l’intervento del legislatore, sperequazioni inammissibili fra lavoratori che partecipano alla normale attività dell’azienda stessa e che non possono trovarsi in condizioni di maggiore o minore vantaggio a seconda che la loro opera sia prestata all’imprenditore o ad una persona interposta” (cfr. Atti Parlamentari, Camera dei deputati, 3A Legislature, seduta del 13 ottobre 1959, pag. 10965). E proprio in relazione all’articolato approdo al testo definitivo della L. n. 1369, art. 4 si segnala l’intervento fatto al Senato dal relatore alla legge (onorevole B.), che – nell’affermare che detta disposizione “fissa un termine di decadenza di un anno dalla cessazione dell’appalto per l’esercizio da parte dei prestatori di lavoro dei loro diritti nei confronti dell’impresa committente” – mostrava di volere limitare l’ambito di efficacia del termine annuale decadenziale ai soli diritti che poteva far valere direttamente il lavoratore, e di non porsi affatto il problema dei diritti previdenziali radicati sul medesimo rapporto di lavoro disciplinato dalla legge e che potevano vantare autonomamente gli enti previdenziali(Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, 3A legislatura, Disegni di legge, Relazione alla decima Commissione permanente sul disegno di legge n. 749-A, p. 21 ss.).

7. Parimenti infondato è il secondo motivo perchè il rapporto ispettivo riguarderebbe esclusivamente l’appalto con la ditta Artista Michele e non anche gli appalti con le altre due ditte appaltatrici, perchè detta specifica contestazione non era stata mossa in sede di merito (dove la contestazione era stata del tutto generica) com’è dimostrato dal fatto che la sentenza impugnata non ne ha parlato e che non si lamenta in ricorso la sua mancata considerazione; Sulla base di queste considerazioni il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro trenta/00 per esborsi e in Euro quattromila/00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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