Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11860 del 14/05/2010

Cassazione civile sez. III, 14/05/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 14/05/2010), n.11860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

D.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SEBINO

16, presso l’abitazione del dott. ANGRISANI Alessandro, rappresentato

e difeso dall’avvocato ANGRISANI DANIELE, giusta mandato ad litem in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

BANCA D’ITALIA – succursale di Salerno, Servizio di Tesoreria

Provinciale;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2 024/2 0 08 del TRIBUNALE di SALERNO del

21.7.08, depositata il 05/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. FRASCA Raffaele;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

1. D.P.G., con atto di pignoramento presso terzi del novembre 2005, pignorava in danno del Ministero dell’economia e delle Finanze presso il terzo Banca d’Italia s.p.a. somme affluite nella contabilita’ speciale di girofondi n. (OMISSIS) intestata al detto ministero.

Con ricorso in opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, il Ministero proponeva opposizione dinanzi al Tribunale di Salerno, giudice dell’esecuzione, sostenendo l’impignorabilita’ delle somme, per non esserne esso opponente proprietario, bensi’ soltanto affidatario in custodia, per averle ricevute da soggetti terzi (autorita’ giudiziarie e amministrative), obbligati in virtu’ di disposizioni di legge e regolamentari ad affidarle in deposito al Ministero e, prima della sua trasformazione in s.p.a., alla Cassa Depositi e Prestiti.

Allo svolgimento della fase sommaria, nella quale veniva accolta l’istanza di sospensione dell’esecuzione forzata, seguiva la fase a cognizione piena per effetto di iscrizione a ruolo della controversia da parte del Ministero.

Il Tribunale, nella resistenza della parte opposta e nella contumacia del terzo Banca d’Italia, rigettava l’opposizione con sentenza del 5 agosto 2008.

1.1. Avverso la sentenza il Ministero ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi contro la creditrice procedente e nei confronti della Banca d’Italia.

Ha resistito con controricorso soltanto il D.P..

2. Il ricorso e’ soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioe’ dalla data di entrata in vigore del d.lgs. (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2).

Ricorrendo le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c. e’ stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che e’ stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

1. Nella relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si e’ osservato quanto segue:

“… 3. – Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1782 c.c., nonche’ del D.M. 5 dicembre 2003, art. 2, comma 1, e art. 4 attuativo della L. 24 novembre 2003, n. 326 e del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284, art. 1, comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si lamenta che il Tribunale avrebbe considerato il Ministero proprietario delle somme oggetto del pignoramento, facendo derivare tale asserto dalla natura per definizione fungibile del danaro dato a deposito, in tal modo trascurando la nuova disciplina normativa introdotta dal citato D.M. riguardo alla trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in societa’ per azioni. Per supportare l’assunto si riproduce fra virgolette (con alcuni omissis individuati con puntini sospensivi fra due parentesi tonde) quello che sarebbe stato un passo della motivazione della sentenza impugnata ed avrebbe avuto il seguente tenore: Il D.Lgs. n. 284 del 1999 sopra citato relativo al riordino della Cassa DD.PP., prevedeva espressamente (art. 2) che quest’ultima per l’esercizio delle proprie funzioni si servisse (lett. A) dei fondi provenienti dai depositi di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), poi trasferiti al Ministero. Tale dato, ad avviso dello scrivente, esclude che le somme depositate presso la Cassa depositi e prestiti (…) potessero considerarsi oggetto di un vincolo di indisponibilita’, costituendo piuttosto somme depositate con facolta’ del depositario di servirsene, e con conseguente acquisto della disponibilita’ tipica della relazione proprietaria (cfr. art. 1782 c.c.) da parte della Cassa stessa. Mutatis mutandis, analogo discorso va fatto in relazione al Ministero, il quale va considerato (…) non mero custode delle somme stesse, ma soggetto che nell’esercizio delle sue funzioni puo’ comunque servirsi delle somme depositate, salvo l’obbligo restitutorio, attesa la fungibilita’ per definizione del denaro.

L’illustrazione del motivo e’ svolta criticando tale (pretesa) motivazione e precisamente attraverso i seguenti passaggi:

a) erroneamente il Tribunale avrebbe fatto conseguire dalla circostanza della fungibilita’ del danaro la facolta’ di servirsene del Ministero e, quindi, l’applicazione della norma dell’art. 1782 c.c. sul c.d. deposito irregolare (in punto di previsione dell’acquisto della proprieta’ della cosa fungibile da parte del depositario se egli abbia la facolta’ di servirsene): detta facolta’, invece, dipenderebbe dalle modalita’ negoziali nelle quali il deposito si inserisce e dallo scopo che il depositante intendeva perseguire, nella piena consapevolezza ed adesione del depositario;

b) se anche fosse esatto l’assunto del Tribunale sull’esegesi dell’art. 1782 c.c., nella fattispecie esso sarebbe stato in contrasto con la disciplina del D.M. 5 dicembre 2003, il quale escluderebbe in maniera evidente ed ineludibile l’esistenza della facolta’ del Ministero di servirsi e disporre delle somme, posto che con detta fonte sarebbero state scisse le attivita’ unitariamente facenti capo alla vecchia Cassa Depositi e Prestiti, con attribuzione al Ministero del servizio di deposito ed alla nuova s.p.a. Cassa Depositi e Prestiti, societa’ di mano pubblica, del compito di provvedere alla concessione dei finanziamenti ed alla gestione dei fondi per conto delle Pubbliche Amministrazioni (evidentemente depositanti), onde da tanto discenderebbe l’impossibilita’ di esportare al settore dei depositi definitivi trasferiti al Ministero argomentazioni e schemi giuridici validi esclusivamente in relazione al precedente assetto organizzativo funzionale e gestionale;

c) l’attribuzione del servizio di gestione dei fondi, individuato dal D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 1, comma 1, lett. e), alla s.p.a., costituirebbe certamente il complesso delle attivita’ economiche ed amministrative sottese all’impiego del denaro per il conseguimento degli obiettivi propri dell’Ente e postula, dunque, il necessario potere di disporne , mentre il Tribunale, nel riferirsi all’art. 2 del citato D.Lgs. a sostegno della tesi della libera disponibilita’ delle somme date a deposito da parte del Ministero, si sarebbe riferito al passato assetto unitario delle attivita’ della Cassa;

d) le somme affidate al Ministero a titolo di deposito costituirebbero nel nuovo regime una gestione separata, non realizzandosi il trasferimento in proprieta’ dei beni dati a deposito e quindi la confusione con il patrimonio dell’ente debitore, circostanza che non le rende aggredibili dai creditori dell’Amministrazione finanziaria , onde si sarebbe in presenza di un regolare contratto di deposito ex lege, in forza del quale il depositario Ministero delle Finanze vanta una mera relazione custodiate con il bene, di cui risulta a tal titolo unicamente detentore.

A conferma di questa prospettazione si riproduce, quindi, un ampio passo della motivazione di una decisione dello stesso Tribunale di Salerno (in persona dello stesso Magistrato che ha pronunciato la sentenza qui impugnata), la quale l’avrebbe fatta propria asserendo che l’esclusione della qualificazione come deposito irregolare della relazione fra il Ministero e le somme depositate discenderebbe dall’art. 4 del citato D.M., la’ dove, attribuendo alla s.p.a. – sia pure con soggezione alla separazione organizzativa e contabile – la funzione di gestione dei rapporti trasferiti al Ministero delle Finanze e, quindi, fra questi il servizio dei depositi definitivi, comporterebbe che il Ministro non possa impiegare i fondi depositati, che sarebbero collocati in una contabilita’ speciale con un vincolo di destinazione finalizzato alla restituzione ai soggetti depositanti ovvero agli enti cauzionati e, quindi, costituirebbe una gestione separata.

L’illustrazione del motivo e’ conclusa dal seguente quesito di diritto: se viola l’art. 1782 c.c., del D.M. 5 dicembre 2003, art. 2, comma 1, e art. 4 attuativo della L. 24 novembre 2003, n. 326 e del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 294, art. 1, comma 1 la sentenza impugnata nella parte in cui ritiene il Ministero dell’Economia e delle Finanze proprietario di somme (gia’ di competenza della Cassa Depositi e Prestiti) ricevute in deposito, posto che in forza del combinato disposto del D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 1, comma 1, lett. c e del D.M. 5 dicembre 2003, art. 2, comma 1 alla Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. spetta ora il servizio di gestione dei fondi provenienti dalle Pubbliche Amministrazioni.

3.1. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., commi 1 e 2, nonche’ del D.M. 5 dicembre 2003, art. 4, comma 2, lett. c) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e si eccepisce la carenza di legittimazione processuale passiva in capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze conseguente al difetto di titolarita’ delle somme oggetto del pignoramento.

Si sostiene che, avendo il Ministero la posizione di custode delle somme pignorate, non potrebbe avere legittimazione processuale a resistere nella controversia in esame disgiunta dalla attribuzione sostanziale dei poteri sostanziali sul bene. Essa spetterebbe alla s.p.a. Cassa Depositi e Prestiti, cui sarebbe astrattamente riferibile la titolarita’ sostanziale delle somme interessate dall’aggressione esecutiva e tutte le facolta’ e i poteri processuali che ne costituiscono il riflesso.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: se, viola l’art. 75 c.p.c., commi 1 e 2, e del D.M. 5 dicembre 2003, art. 4, comma 2, lett. c, la sentenza impugnata nella parte in cui, nell’ambito di un procedimento per espropriazione forzata avente per oggetto somme affluenti alla contabilita’ speciale di girofondi n. (OMISSIS) e rappresentanti i depositi definitivi, gia’ di competenza della Cassa Depositi e Prestiti, sia legittimato a stare in giudizio in qualita’ di esecutato il Ministero dell’Economia e delle Finanze, apparato del tutto privo della titolarita’ delle somme oggetto di pignoramento, giacche’ mero custode delle stesse.

4. – Il ricorso appare inammissibile perche’ nessuno dei due motivi prospettati critica specificamente le rationes decidendi sulle quali il Tribunale ha fondato la sua decisione.

Essa e’ basata su tre alternative rationes, che il Tribunale prospetta l’una di seguito all’altra secondo il loro ordine logico.

4.1, – La prima e’ che il Ministero, che si dice avere prospettato come ragione di opposizione l’esistenza sulla somma pignorate soltanto di un rapporto custodiale quale motivo della dedotta impignorabilita’, non avrebbe dato alcuna prova dell’affermazione, contenuta nel ricorso in opposizione, secondo cui le somme giacenti sulla contabilita’ speciale n. (OMISSIS) ad esso intestata presso il terzo pignorato, cioe’ la Banca d’Italia, Tesoreria Provinciale dello Stato – Sezione di Salerno, costituivano oggetto del depositi definitivi gia’ di competenza della Cassa Depositi e Prestiti, la cui gestione compete al Ministero.

Non si sarebbe data, cioe’, la prova della riferibilita’ delle somme al preteso rapporto custodi al riguardo a tale ratio decidendi, che da sola sarebbe sufficiente a giustificare la reiezione dell’opposizione e che afferisce alla dimostrazione dell’allegazione circa la relazione custodiate, il ricorso non svolge alcuna considerazione e, pertanto, essa, non essendo stata impugnata, e’ passata in cosa giudicata, con la conseguenza che, se pure fossero pertinenti alla residua alternativa motivazione i due motivi prospettati, il ricorso sarebbe inammissibile.

4.2. La seconda ratio decidendi, enunciata chiaramente per absurdum per il caso che non fosse valida la prima (come rivela l’inciso Cio’ senza considerare l’intima contraddizione … ), e’ rappresentata dall’asserto che, se pure fosse stata dimostrata la tesi del rapporto meramente custodiale e non proprietario sulle somme, ne sarebbe seguita la conseguenza che il rimedio esperibile per far valere l’altrui proprieta’ delle somme sarebbe spettato alla Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. ai sensi dell’art. 619 c.p.c., quale terzo rotolare della proprieta’ sui beni pignorati e non al Ministero quale debitore esecutato con il rimedio ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2.

Anche tale ragione di decisione, valida subordinatamente alla rilevata mancanza di prova dell’allegazione, ma da sola sufficiente a giustificare il rigetto dell’opposizione (evidentemente per insussistenza di una contestazione sul diritto di procedere all’esecuzione in ragione della non assoggettabilita’ del bene pignorato, ancorche’ di proprieta’ dell’esecutato) non e’ attinta in alcun modo dal ricorso.

4.3. – In fine, la terza ulteriormente subordinata motivazione che trovasi enunciata dalla sentenza impugnata e’ nel senso della inconfigurabilita’ comunque di un vincolo di impignorabilita’ sulle somme. Si tratta di motivazione che viene enunciata evocando il principio di diritto di cui a Cass. n, 15601 del 2005 ed evidenziando (anche con richiami di altre ipotesi in cui invece e’ stato cosi’ disposto) che non sussiste alcuna disposizione di legge impositiva del vincolo di impignorabilita’ delle somme staggite a carico del Ministero esecutato.

Anche di tale motivazione i due motivi non si fanno carico in alcun modo.

4.4. Va notato che la pretesa motivazione richiamata nell’esposizione del primo motivo di ricorso non si rinviene in alcun modo nella sentenza impugnata ed e’, all’evidenza, un passo motivazionale di un’altra sentenza (in ipotesi) dello stesso Tribunale.

4.5. Dalla circostanza che i due motivi non si fanno carico della effettiva pluriarticolata motivazione della sentenza impugnata, deriva l’inammissibilita’ del ricorso alla stregua del principio di diritto secondo cui Il motivo d’impugnazione e’ rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo e’ regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione e’ erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale puo’ considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali e’ esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa e’ errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneita’ al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullita’, risolvendosi nella proposizione di un non motivo , e’ espressamente sanzionata con l’inammissibilita’ ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4. (Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi).

5. – Va chiarito che l’inammissibilita’ del ricorso non verrebbe meno se, con notevole sforzo di immaginazione si reputasse che la seconda ratio decidendi – quella sull’essere stato esperito il rimedio di cui all’art. 615 c.p.c. mentre invece il rimedio sarebbe stato quello di cui all’art. 619 c.p.c. e legittimato ad esperirlo sarebbe stata la s.p.a. Cassa Depositi e Prestiti – e la terza ratio decidendi sarebbero state sostanzialmente ed implicitamente impugnate, rispettivamente con il secondo motivo e con le deduzioni del primo motivo, con argomenti che, anche senza farsi espressamente carico della motivazione della sentenza impugnata sono idonei ad incrinarne la validita’, in quanto prospettano questioni di diritto che sono logicamente preliminari a quelle esaminate dalla motivazione stessa e che, non richiedendo accertamenti di fatto, sarebbero state legittimante introdotte in sede di legittimita’.

Se anche si ammettesse quanto appena ipotizzato, resterebbe, infatti, ferma la mancata impugnazione della prima ratio, con la conseguenza che sarebbe applicabile il principio di diritto, secondo cui «Allorquando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su due diverse rationes decidendi, idonee entrambe a giustificarne autonomamente le statuizioni, la circostanza che l’impugnazione sia rivolta soltanto contro una di esse, e non attinga l’altra, determina una situazione nella quale il giudice dell’impugnazione (ove naturalmente non sussistano altre ragioni di rito ostative all’esame nel merito dell’impugnazione) deve prendere atto che la sentenza, in quanto fondata sulla ratio decidendi non criticata dall’impugnazione, e’ passata in cosa giudicata e desumere, pertanto, che l’impugnazione non e’ ammissibile per l’esistenza del giudicato, piuttosto che per carenza di interesse. (Cass. n. 14740 del 2005; in alternativa, secondo altro orientamento, avallato da Cass. sez. un. n. 16602 del 2005, ma senza farsi carico degli argomenti dell’altro, verrebbe in rilievo proprio la carenza di interesse).

Il ricorso resterebbe, dunque, inammissibile.”.

2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione in ordine ai profili di inammissibilita’ del ricorso.

Inammissibilita’ che va, pertanto, senz’altro dichiarata.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro settecento/00, di cui duecento/00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2010

 

 

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