Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1186 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 18/01/2017, (ud. 16/11/2016, dep.18/01/2017),  n. 1186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24364-2011 proposto da:

K.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA TACITO 10, presso lo studio dell’avvocato ENRICO DANTE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUNTER AUSSERHOFER,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, giusta

delega in calce al ricorso notificato;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 41/2010 della CORTE D’APPELLO TRENTO SEZ.DIST.

DI BOLZANO, depositata il 02/11/2010 R.G.N. 19/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Bolzano in data 22.1.2009 K.C. proponeva opposizione nei confronti dell’INPS e della SCCI spa avverso la cartella esattoriale (OMISSIS) per il recupero dei contributi maturati nel periodo da febbraio 2006 a gennaio 2008 e relativi al dipendente M.H..

Nell’assunto dell’INPS questi era un dipendente a tempo pieno e non a tempo parziale con la conseguenza che la sua assunzione non dava diritto alla esenzione contributiva di cui alla L. n. 97 del 1994, art. 18 relativa all’impiego nei comuni montani di coltivatori diretti iscritti alla relativa cassa previdenziale.

Il Tribunale, con sentenza del 29.1.2010 (nr. 25/10), rigettava la opposizione ritenendola tardiva.

La Corte d’Appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 27.10 – 2.11.2010 (nr. 41/2010), in parziale accoglimento dell’appello del datore di lavoro, riteneva tempestiva la opposizione, confermava l’importo dei contributi posto in recupero e provvedeva alla riduzione delle somme aggiuntive.

Per quanto rileva in questa sede, osservava che la esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali, L. n. 97 del 1994, ex art. 18, comma 1 era legata alla costituzione di rapporti di lavoro part time mentre il rapporto di causa era a tempo pieno, come risultava al punto 8 del contratto di lavoro, nel quale si indicava un orario di lavoro settimanale di quaranta ore.

La dichiarazione di cui al punto 7 del contratto, secondo la quale il lavoratore era stato assunto nell’ambito della L. n. 97 del 1994, art. 18, attestava unicamente la intenzione del datore di lavoro di non versare i contributi previdenziali.

Il D.Lgs. n. 61 del 2000, artt. 2 ed 8 prevedevano per il rapporto di lavoro part time la forma scritta ad probationem ed lo stesso art. 8, comma 1 ammetteva la prova per testi nel solo caso di perdita incolpevole del documento.

Per queste ragioni non poteva essere ammessa la prova testimoniale articolata dall’opponente, anche nel grado di appello; nè tale prova avrebbe potuto essere ammessa d’ufficio ex art. 421 c.p.c., perchè il potere-dovere del giudice del lavoro di ammettere i mezzi di prova anche fuori dai limiti del codice civile si riferiva ai limiti fissati in via generale per la prova testimoniale e non anche ai requisiti di forma fissati per specifici contratti, ad substantiam ovvero ad probationem.

Le somme aggiuntive dovevano essere ridotte, trattandosi di una ipotesi di omissione e non di evasione contributiva.

Per la cassazione della sentenza ricorre K.C., articolando quattro motivi.

Il difensore dell’INPS è della SCCI ha depositato procura alle liti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in riferimento agli artt. 1362 c.c. e segg. nonchè omessa e contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo.

La censura attiene alla interpretazione del contratto di lavoro come contratto full time.

Il ricorrente ha esposto:

– che nel documento le parti si riferivano alla applicazione della L. n. 97 del 1994, art. 18 clausola essenziale del contratto;

– che nella comunicazione di assunzione all’ufficio del Lavoro, all’INPS ed INAIL si richiamava l’articolo 18 della legge suddetta;

– che nella esecuzione del rapporto l’orario di lavoro era stato inferiore di circa il 40% rispetto al tempo pieno, come risultava dal registro delle presenze.

La indicazione dell’orario di quaranta ore settimanali era frutto di un errore materiale.

Ha dedotto la violazione da parte del giudice del merito dei canoni interpretativi della comune intenzione delle parti, del significato complessivo delle clausole, della interpretazione del contratto secondo buona fede.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunziato:

– ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4: la nullità della sentenza e/o del procedimento nonchè;

– ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: omessa motivazione su un punto decisivo e controverso;

– violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2725 e 420 c.p.c. Il motivo attiene alla pronunzia di inammissibilità della prova del testi e di inapplicabilità dei poteri istruttori officiosi di cui all’art. 421 c.p.c..

Il ricorrente ha dedotto che la prova per testi, come dai capitoli trascritti in ricorso, non verteva sul contratto ma sulla sua esecuzione, rispetto alla quale non operavano i limiti previsti dall’art. 2725 c.c.; per le stesse ragioni il giudice del merito avrebbe dovuto ammettere la prova anche nell’esercizio dei suoi poteri ex art. 421 c.p.c..

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha denunziato:

– ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4: la nullità della sentenza e/o del procedimento nonchè:

– violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2725 e 420 c.p.c.

– ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: omessa motivazione su un punto decisivo e controverso.

Il motivo attiene alla mancata acquisizione della consulenza tecnica d’ufficio, richiesta nell’atto di appello, onde accertare le ore effettivamente lavorate dal dipendente, che erano coerenti alla dedotta natura di rapporto a tempo parziale.

I prime tre motivi, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Giova premettere che la L. n. 97 del 1994, art. 18, comma 1 (come modificato dalla L. 25 dicembre 1995, n. 213, art. 1), prevede che le imprese e i datori di lavoro aventi sedi ed operanti nei comuni montani, in deroga alle norme sul collocamento della mano d’opera, possono assumere senza oneri previdenziali, a tempo parziale, ai sensi del D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 5 o in forma stagionale, coltivatori diretti residenti in comuni montani iscritti allo SCAU.

Il D.L. n. 726 del 1984, art. 5 richiamato dalla norma citata, prevedeva che il contratto di lavoro a tempo parziale dovesse stipularsi per iscritto e che in esso dovessero essere indicate le mansioni e la distribuzione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno; non individuava, invece, le conseguenze della violazione delle suddette prescrizioni formali, che sono state enucleate, pertanto, da consolidata giurisprudenza di questa Corte nel senso della nullità del contratto part time, quanto meno nel caso della mancata indicazione della durata oraria (da ultimo: Cass. sez. lav. 8.3.2016 nr. 4494). La disciplina del D.L. n. 726 del 1984 è stata successivamente superata dal D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, recante attuazione della direttiva 97/81/CE, che, in punto di forma, ha riprodotto, con l’art. 2, il previgente requisito orario.

L’art. 8 ha invece espressamente disciplinato da un lato il regime della forma prevedendo che la forma scritta è richiesta a fini di prova – dall’altro le conseguenze della sua violazione.

L’intera disciplina, dapprima integrata ed innovata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, è stata poi abrogata dal D.Lgs. n. 81 del 2015.

Tanto premesso in ordine al quadro normativo di riferimento, deve puntualizzarsi che il rinvio contenuto nella L. n. 97 del 1994, art. 18, comma 1 – ai fini della esenzione contributiva qui in esame – alle assunzioni a tempo parziale effettuate ai sensi del D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 5 deve intendersi come rinvio mobile o non recettizio; nello speciale regime previdenziale, cioè, rileva il tipo contrattuale – come nel tempo disciplinato – e non già la circostanza che la assunzione sia avvenuta nella vigenza di uno specifico testo normativo (il D.L. n. 726 del 1984).

Correttamente, dunque, il giudice del merito ha verificato la applicabilità del beneficio alla luce della normativa sopravvenuta del D.Lgs. n. 61 del 2000.

La questione qui dibattuta consiste negli effetti sotto il profilo della esenzione contributiva della mancanza nel contratto scritto della durata e della articolazione oraria della prestazione part time (essendo anzi indicato – nell’assunto della parte ricorrente per errore materiale – un orario di lavoro full time).

Ritiene questa Corte che la violazione del requisito formale – (sia pure richiesto per il contratto di causa soltanto ad probationem e con le conseguenze sul rapporto di lavoro previste dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 8) – sia di per sè preclusiva nel rapporto previdenziale del riconoscimento del regime contributivo agevolato.

In tal senso è utile il richiamo alla giurisprudenza formatasi nella vigenza del precedente regime generale nella materia previdenziale del part time, come disciplinato dal D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 5, (che prevedeva il minimale contributivo orario invece che il minimale giornaliero); si è al riguardo affermato, con indirizzo consolidato, che al contratto di lavoro parziale che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo per difetto di forma non può applicarsi la disciplina della contribuzione previdenziale prevista dal predetto art. 5, comma 5 ma deve applicarsi il regime ordinario di contribuzione (Cassazione civile, sez. lav., 30/09/2014, n. 20591; Cass. 11584/11; Cass. n. 52/09; Cass. n. 11011/08; Cass. n. 16670/04; Cass. 17271/204; Cass. S.U. n. 12269/04).

Tale conclusione, a partire da Cass. SU 12269/04, non è stata fondata sulla ritenuta nullità del contratto part time privo del requisito di forma ma piuttosto sul rilievo che il sistema contributivo regolato dal D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 5 è applicabile solo in presenza di tutti i presupposti formali previsti dai precedenti commi.

In tal senso si è evidenziato che per ragioni logico – sistematiche sarebbe privo di razionalità un eventuale sistema che imponesse ai soggetti rispettosi della legge l’osservanza del “principio minimale” – (con l’applicazione per esigenze solidaristiche di minimali contributivi anche superiori alle retribuzioni corrisposte)- e nello stesso tempo assicurasse un trattamento privilegiato a quanti nello stipulare un contratto part – time si fossero sottratti alle prescrizioni di legge, così agevolando di fatto forme di lavoro irregolare.

Tale principio è stato applicato da questa Corte (Cassazione civile, sez. lav., 26/05/2011, n. 11584 e 30/09/2014 n. 20591) anche nelle fattispecie in cui il contratto a tempo parziale era stato pattuito in forma verbale validamente, giacchè in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 726 del 1984, affermandosi che in tali casi il contratto a tempo parziale resta sì valido ma ai fini dell’ottenimento del regime contributivo ridotto è richiesto il requisito della forma scritta, con conseguente onere delle parti di riprodurre per iscritto il rapporto.

Si legge in Cass. 20591/2014 sopra citata: “al di là della validità o meno di tale contratto, permane la ragione di fondo del principio giurisprudenziale sopra ricordato, che è quella di consentire l’applicazione del minimale contributivo orario solo in presenza di validi contratti part time stipulati ai sensi del cit. D.L. n. 726 del 1984, poichè tale regime di favore in tanto si giustifica in quanto si sia in presenza d’un contratto stipulato per iscritto, che indichi le mansioni e la distribuzione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno, affinchè gli organi amministrativi di controllo – cui deve essere inviata entro trenta giorni una copia del contratto medesimo – possano effettuare le dovute verifiche.

Tale ratio risulterebbe frustrata se il minimale contributivo orario si potesse applicare anche a contratti il cui contenuto, proprio perchè non risultante da atto scritto, restasse di incerta individuazione”.

La suddetta ratio, in quanto indipendente dalla validità della pattuizione del part time tra le parti del contratto di lavoro, resta riferibile anche ai casi in cui, nel regime di cui al D.Lgs. n. 61 del 2000, la forma scritta sia richiesta soltanto ad probationem.

Resta da aggiungere che ciò che vale per il regime contributivo generale del tipo contrattuale del part time, a fortiori deve applicarsi nella fattispecie di causa, in cui la speciale norma agevolativa della L. n. 97 del 1994 prevede addirittura la totale esenzione del datore di lavoro dal pagamento dei contributi.

Dalla ricognizione sin qui compiuta deriva:

– la inammissibilità del primo motivo di ricorso, per difetto di interesse della parte, giacchè un eventuale vizio di interpretazione da parte del giudice del merito della volontà delle parti del contratto di lavoro non rileverebbe comunque sul piano del rapporto previdenziale;

– il rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso, in quanto esattamente il giudice dell’appello non ha dato ingresso ai mezzi istruttori, pur dovendo correggersi in punto di diritto le motivazioni della sentenza, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., con il richiamo ai principi sopra esposti.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto violazione e/o falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e art. 1227 c.c. nonchè omessa o contraddittoria motivazione in relazione a fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura afferisce alla statuizione di condanna al pagamento delle somme aggiuntive, in accoglimento soltanto parziale dell’appello sul punto.

Il ricorrente ha esposto di avere dedotto con l’atto di appello di non essere tenuto al pagamento delle somme aggiuntive giacchè l’INPS avrebbe dovuto verificare il regime previdenziale applicabile subito dopo la comunicazione della assunzione; il controllo era stato eseguito soltanto dopo due anni sicchè vi era concorso colposo del creditore nella produzione del danno.

Il motivo è infondato.

Le somme aggiuntive appartengono alla categoria delle sanzioni civili, vengono applicate automaticamente in caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi assicurativi e consistono in una somma ex lege predeterminata il cui credito sorge de iure alla scadenza del termine legale per il pagamento del debito contributivo, in relazione al periodo di contribuzione (da ultimo: Cassazione civile, sez. un., 13/03/2015 n. 5076). Alla sanzione civile non sono dunque riferibili, per i suoi caratteri di automatismo e di determinazione ex lege, i principi di diritto relativi alla liquidazione del danno derivante dall’inadempimento delle obbligazioni (ed in particolare l’art. 1227 c.c.), di cui con il motivo si lamenta la mancata applicazione.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100 per spese ed Euro 1.100 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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