Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11853 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/05/2021, (ud. 05/03/2021, dep. 06/05/2021), n.11853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33180-2018 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17,

presso lo studio dell’avvocato SABATINO CIPRIETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE DI TIZIO in virtù di procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIONE DI BANCHE ITALIANE UBI SPA, domiciliata in ROMA presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato OSVALDO PROSPERI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8526/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 06/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/03/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalle parti.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

P.S. conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Chieti la Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.A., chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, che deduceva di avere subito a causa del tardivo pagamento di assegni bancari, che la banca non aveva tempestivamente pagato, nonostante l’esistenza sul conto di provvista sufficiente.

Precisava che la provvista derivava dall’erogazione, da parte della stessa banca, di un mutuo agrario, il cui ricavo netto era stato accreditato e reso disponibile sul conto corrente prima che gli assegni fossero emessi.

La banca, costituendosi, replicava che il mutuo, sebbene concesso, non era entrato nella disponibilità del correntista, in quanto destinato a ripianare passività pregresse.

Nel frattempo, sopraggiungeva la dichiarazione di fallimento del P. ed interveniva nel giudizio in corso il curatore, chiedendo di essere riconosciuto come il soggetto deputato ad acquisire le somme eventualmente dovute al fallito, nel caso di accoglimento della domanda da questi proposta.

Il Tribunale di Chieti, con la sentenza n. 659 del 13/9/2004, rilevava in via preliminare che, per effetto dell’intervento del curatore, il P. aveva perduto la legittimazione rispetto alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale riconducibile all’attività imprenditoriale, mentre aveva conservato una legittimazione concorrente per il risarcimento del danno non patrimoniale.

Il Tribunale rigettava la domanda del correntista, negando, fra l’altro, il rilievo probatorio di un foglio attribuito alla cassiera, ch’era stato disconosciuto dall’apparente autrice del documento in sede di esame testimoniale.

Secondo l’attore tale documento comprovava che il saldo e la disponibilità esistenti sul conto corrente, nel momento in cui gli assegni furono emessi, erano tali da consentirne il pagamento. Avverso tale sentenza proponeva appello il P., che però era rigettato dalla corte d’Appello dell’Aquila.

In primo luogo, questa rilevava che, sul capo di sentenza relativo al difetto di legittimazione del fallito relativamente ai danni patrimoniali, si era formato il giudicato in assenza di apposita censura, ritenendo quanto ai danni non patrimoniali che la domanda fosse sfornita di prova sia sull’an che sul quantum, occorrendo anche considerare che l’origine contrattuale della pretesa risarcitoria portava ad escludere la configurabilità di tale tipologia di danni.

Inoltre, anche nel merito, riteneva che non vi fosse la prova che il mutuo, oltre che concesso, fosse stato effettivamente erogato.

Infine, dichiarava assorbito l’appello incidentale condizionato della banca.

Avverso la sentenza d’appello P.S. proponeva domanda di revocazione, denunciando che la decisione negativa della corte d’appello supponeva la persistente carenza di rilevanza probatoria del foglio formato dalla cassiera della banca. Per questa parte, però, la pronuncia non aveva tenuto conto del fatto che la cassiera, nei cui confronti il P. aveva sporto denuncia, aveva riconosciuto la propria scrittura in sede penale, rendendo quindi inoppugnabile il fatto che il mutuo era stato erogato, per cui il correntista, tramite l’emissione degli assegni, aveva disposto della provvista legittimamente.

L’impugnazione era rigettata dalla Corte d’Appello dell’Aquila, che rilevava come l’errore dedotto non avesse carattere decisivo, posto che la decisione impugnata, prima ancora che sull’assunto che la provvista non fosse disponibile per il correntista, si fondava sulla preliminare valutazione negativa circa l’esistenza della prova dell’an e del quantum della pretesa risarcitoria, rimarcandosi inoltre, da parte del giudice investito della domanda di revocazione, come la sentenza gravata avesse opinato nel senso che il titolo di responsabilità invocato dall’attore non fosse suscettibile di fondare una domanda di ristoro di danni non patrimoniale (responsabilità contrattuale). Da ciò, secondo il giudice della revocazione, il carattere non decisivo dell’errore, in quanto relativo a un profilo della vicenda esaminato al solo fine di meglio corroborare le ragioni della complessiva infondatezza della domanda. Ad ogni modo la corte d’appello negava la sussistenza stessa del dedotto errore di fatto, cui riconosceva, in ipotesi, carattere non percettivo ma valutativo.

Contro la sentenza emessa in sede di revocazione il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.

La Cassa di Risparmio di Chieti ha resistito con controricorso. Questa Corte con la sentenza n. 8526 del 6 aprile 2018 ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando il P. anche al rimborso delle spese di lite.

Con l’unico motivo il ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4 e art. 402 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il ricorrente riproponeva la tesi che, se il giudice d’appello si fosse avveduto dell’autenticità del documento proveniente dalla cassiera, avrebbe dovuto dedurne che la provvista derivante dal mutuo era entrata nella disponibilità del correntista, il che privava di fondamento la tesi della banca che il mutuo era stato concesso, ma non erogato.

Tuttavia, il ricorso era giudicato inammissibile avendo la corte d’Appello dell’Aquila ritenuto la non decisività dell’errore perchè esso ineriva a un profilo della vicenda esaminato dai precedenti giudici solo al fine di rafforzare una decisione già assunta in considerazione della mancanza di prova dell’an e del quantum della pretesa risarcitoria stante l’origine contrattuale della responsabilità, che rendeva non configurabili i danni non patrimoniali richiesti.

Ha osservato questa Corte che la sentenza, contro cui si dirigeva l’istanza di revocazione, aveva ritenuto che la domanda del P. fosse da rigettare ancora prima di andare a verificare se la banca fosse stata o meno inadempiente per non avere tempestivamente pagato gli assegni. I giudici avevano poi comunque esaminato anche tale profilo della vicenda, ritenendo giustificato l’iniziale rifiuto della banca di pagare gli assegni.

Sebbene, l’ordine logico delle questioni avrebbe richiesto che fosse trattato prima il profilo dell’inadempimento e poi quello del danno, tuttavia l’inversione logica non toglieva che la diversa valutazione delle ragioni del rifiuto non avrebbe comunque potuto condurre a una decisione favorevole per l’attore.

Si evidenziava altresì che contro la stessa sentenza impugnata per revocazione il P. aveva proposto anche ricorso per cassazione, denunciando l’erroneità della decisione, fra l’altro, in quanto: a) il tema decisionale del giudizio d’appello non sarebbe stato circoscritto alle componenti non patrimoniali del danno; b) l’origine contrattuale della vicenda non avrebbe escluso la configurabilità del danno patrimoniale; c) sarebbe stata data adeguata dimostrazione sia dell’an che del quantum della pretesa.

Rilevava che “qualora una sentenza di appello, fondata su due autonome ragioni del decidere, sia impugnata con riferimento soltanto ad una di esse per revocazione, e con riferimento all’altra con ricorso per cassazione, il giudice della revocazione non può dichiarare inammissibile l’impugnazione in quanto rivolta contro una soltanto delle ragioni della decisione, ma deve provvedere con sentenza dichiarativa della esistenza o meno del vizio revocatorio, sentenza che resta subordinata al definitivo esito del ricorso per cassazione in ordine all’autonoma ragione della decisione della sentenza di appello” (Cass. 5268/1980).

Ma, nel caso in esame, il ricorso per cassazione, proseguito in pendenza della revocazione (art. 398 c.p.c., comma 4), era stato dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte con ordinanza n. 2995/2012, pubblicata in data anteriore alla stessa pronuncia della sentenza sull’istanza di revocazione, sicchè ne conseguiva il sopravvenuto difetto di interesse del P. all’accertamento del supposto vizio revocatorio inerente all’autenticità del documento, posto che l’interesse ad agire, e quindi anche l’interesse a impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione (o l’impugnazione), ma anche al momento della decisione (Cass. n. 10553/2017; n. 21951/2913).

P.S. ha proposto ricorso per la revocazione della sentenza di questa Corte sulla base di un motivo.

Unione Banche Italiane – UBI S.p.A., quale successore per atto di fusione della Cassa di Risparmio di Chieti, ha resistito con controricorso.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente sul presupposto dell’applicabilità dell’art. 403 c.p.c..

Tale norma prevede infatti che non possa essere impugnata per revocazione la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione, per la quale sono ammessi i mezzi di impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione.

Nella fattispecie però ad essere impugnata non è la sentenza che ha direttamente deciso sulla revocazione proposta dal P. avverso la sentenza d’appello, ma la pronuncia di questa Corte che ha deciso il ricorso ordinario per cassazione promosso avverso la sentenza sulla revocazione, il che denota l’inconferenza del richiamo alla previsione di cui all’art. 403 c.p.c..

Il motivo di ricorso denuncia l’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4 nel quale sarebbe incorsa questa Corte nel ritenere il sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente al giudizio.

Infatti, la Corte d’Appello aveva rigettato la sola domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, ma non anche quella di inadempimento e di ristoro del danno patrimoniale (per la quale era stata invece ritenuta la legittimazione della curatela fallimentare).

Inoltre, sussiste un interesse del ricorrente attesa la sua qualità di cessionario del diritto al risarcimento dei danni patrimoniali, già spettanti alla curatela, essendosi reso acquirente di tali diritti dalla Feral S.r.l., quale assuntore del concordato fallimentare, giusta atto di cessione del 2/5/2014.

Il ricorso è inammissibile essendo esclusa la ricorrenza di un errore di fatto suscettibile di rientrare nella previsione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4.

In primo luogo si rileva che la deduzione circa l’esistenza di un errore per non essersi considerata la propria qualità di cessionario del diritto al risarcimento del danno patrimoniale spettante alla curatela fallimentare risulta del tutto nuova, in quanto non emerge dal contenuto della sentenza gravata, nè il ricorrente indica in quale sede processuale la stessa fosse stata dedotta nel corso del giudizio all’esito del quale è stata emessa la sentenza impugnata (si noti peraltro che la data cui risalirebbe l’acquisto dei diritti de quibus da parte del ricorrente – 2/5/2014 – è successiva alla stessa proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello reiettiva della revocazione).

Poichè l’errore di fatto revocatorio deve risultare dagli atti e dai documenti di causa, la mancata specificazione della sede e della fase in cui sarebbe stato prodotto il richiamato atto di cessione, esclude che possa ravvisarsi la sua ricorrenza.

La mancata allegazione della circostanza che il P. avesse speso tale qualità nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata rende altresì evidente che non ricorre alcun errore di fatto revocatorio nell’avere ritenuto che non vi fosse interesse ad una decisione relativamente ai danni patrimoniali, ritenuti invece di pertinenza della curatela.

Ed, invero, in disparte la sussumibilità di tale preteso errore nel novero degli errori di giudizio, va in ogni caso evidenziato che l’esclusione dal presente giudizio della questione relativa alla risarcibilità del danno patrimoniale è frutto di un giudicato interno rappresentato dalla sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila n. 422/2010, che ha ritenuto il difetto di legittimazione attiva del P. in proprio, atteso che con ordinanza di questa Corte n. 2995/2012, nel decidere il ricorso ordinario proposto avverso la sentenza d’appello, è stato rigettato il motivo di ricorso proposto dal P. con il quale si sosteneva che non potesse ritenersi limitato l’oggetto del giudizio al solo danno non patrimoniale (sostenendo anzi che il giudicato si fosse già formato a seguito della sentenza di primo grado, cfr. pag. 5).

La medesima ordinanza di questa Corte del 2012 ha poi chiarito, in relazione al ricorso incidentale proposto in quella sede dalla curatela, con il quale si intendeva sostenere la necessità per il giudice di appello di dover pronunciare sulla richiesta dei danni patrimoniali, atteso l’intervento nel giudizio della curatela stessa quale soggetto legittimato, che non avendo il P. specificamente appellato la sentenza di primo grado nella parte reiettiva della domanda di ristoro del danno patrimoniale, occorreva una specifica ed autonoma impugnazione della curatela che però non risultava essere stata proposta dinanzi alla Corte d’Appello (cfr. pag. 7).

Ne consegue che il diritto al risarcimento del danno patrimoniale esulava dall’oggetto del giudizio ancora suscettibile di valutazione da parte del giudice di appello, la cui sentenza è stata oggetto di revocazione, di tal che deve escludersi anche l’attualità dell’interesse del ricorrente, anche nella – solo in questa sede – allegata qualità di cessionario dei diritti della curatela, ad una decisione su tale tipologia di danni in questo giudizio, denotandosi in tal modo l’impossibilità di ravvisare l’esistenza di un errore di fatto suscettibile di giustificare la revocazione.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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