Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11848 del 09/06/2016

Cassazione civile sez. un., 09/06/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 09/06/2016), n.11848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20733/2011 proposto da:

R.A.N.R., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CAIROLI 125, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

CARBONELLI, che lo rappresenta e difende, per delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI COREA PRESSO LA SANTA SEDE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3708/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/08/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2016 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato Stefano CARBONELLI;

udito il P.M., in persona del Procuratore Generale Dott. CICCOLO

Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DELLA CAUSA

Il ricorrente convenne in giudizio l’Ambasciata della Repubblica di Corea presso la Santa sede, di cui era stato dipendente, in qualità di autista, dal 1 giugno 1997 al 16 novembre 2004, chiedendo il pagamento di differenze retributive a vario titolo per complessivi 59.757,46 Euro. L’Ambasciata si costituì eccependo, preliminarmente, il difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Il Tribunale di Roma accolse, in parte, la domanda, condannando l’Ambasciatore al pagamento di una parte della somma richiesta.

L’Ambasciata propose appello.

La Corte d’appello di Roma, esprimendo un dissenso consapevole da Cass., sez. un., 27 novembre 2002, n. 16830, ha riformato la sentenza di primo grado, ritenendo insussistente la giurisdizione italiana.

Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione. L’Ambasciata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve premettersi che l’art. 12 Trattato Lateranense sancisce: “Gli inviati dei governi esteri presso la Santa Sede continuano a godere nella Repubblica di tutte le prerogative ed immunità che spettano agli agenti diplomatici secondo il diritto internazionale”.

Il problema è quello di stabilire se la controversia di un autista dell’Ambasciata concernente la domanda di differenze retributive, rientri o meno nella immunità giurisdizionale.

La Corte d’appello di Roma afferma che in linea con la consuetudine generale sussiste l’immunità degli agenti diplomatici, salvo tre eccezioni tra le quali non rientra il caso in esame.

Il ricorrente propone un unico motivo di ricorso, con il quale denunzia violazione dell’art. 10 Cost., art. 3 e segg., della L. n. 218 del 1995, artt. 11 e 12, nonchè 31 della convenzione di Vienna 18 aprile 1961 ratificata dall’Italia con L. 9 agosto 1967, n. 804.

Il ricorso è fondato.

Deve premettersi che, come ha rilevato la Corte costituzionale nella sentenza n. 48 del 1979, il principio per il quale l’agente diplomatico gode dell’immunità dalla giurisdizione civile dello Stato accreditatario si basa su di una consuetudine plurisecolare) che preesiste alla normativa in materia dettata dalla L. n. 804 del 1967, in esecuzione della convenzione di Vienna del 1961. In base a tale norma consuetudinaria l’immunità si estende all’attività privata dell’agente, al fine di garantire la piena indipendenza nell’espletamento della missione (ne impediatur legatio), istituto fondamentale del diritto internazionale, dotato anche di rilievo costituzionale, poichè l’art. 87 Cost., prevede che il Presidente della Repubblica accredita e riceve i rappresentanti diplomatici.

Il problema è di definire l’ambito della immunità giurisdizionale.

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che l’immunità giurisdizionale dell’ambasciatore di Stato estero, ai sensi dell’art. 31 della Convenzione di Vienna 18 aprile 1961 sulle relazioni diplomatiche (resa esecutiva con la L. 9 agosto 1967, n. 804), non è invocabile con riferimento a controversie aventi ad oggetto differenze retributive relative a rapporti di lavoro o contributi previdenziali (cfr., Cass., sez. un., 15620/2006, 15626/2006, 15628/2006, cui si rinvia anche per ulteriori richiami).

Una pronuncia delle Sezioni unite ha applicato tale principio specificamente ad una controversia di lavoro, proposta dall’autista di un’Ambasciata, del tutto analoga a quella in esame (Cass., sez. un., 27 novembre 2002, n. 16830).

Questo orientamento è stato confermato ed aggiornato di recente (cfr., Cass., sez. un., n. 22774 del 2014), alla luce di ulteriori sviluppi del diritto internazionale e di indicazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

La convenzione delle Nazioni unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, sottoscritta a New York il 2 dicembre 2004 e ratificata con L. 14 gennaio 2013, n. 5, ha dettato regole precise e la Corte EDU ha rilevato che i principi affermati in tale convenzione, costituiscono parte integrante del diritto consuetudinario internazionale e vincolavano l’Italia anche prima della sua ratifica.

In particolare, la CEDU (sentenza 18 gennaio 2011, Guadagnino c. Italia e Francia) ha affermato: “poichè i principi sanciti dall’art. 11 della convenzione del 2004 sono parte integrante del diritto consuetudinario internazionale, essi impegnano l’Italia” e “la Corte ne deve tener conto, nel momento in cui appura se il diritto di accesso ad un Tribunale sia stato rispettato”.

L’art. 11, su richiamato, è intitolato “Contratti di lavoro” e prevede al suo primo paragrafo: “Sempre che gli Stati interessati non convengano diversamente, uno Stato non può invocare l’immunità giurisdizionale davanti ad un Tribunale di un altro Stato, competente per materia, in un procedimento concernente un contratto di lavoro tra lo Stato e una persona fisica per un lavoro eseguito o da eseguirsi, interamente o in parte, sul territorio dello Stato”.

In forza del secondo paragrafo del medesimo articolo, tale principio non si applica se: a) l’impiegato è stato assunto per adempiere funzioni particolari nell’esercizio del potere pubblico; b) l’impiegato è: 1) un agente diplomatico ai sensi della Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961 sulle relazioni diplomatiche; 2) un funzionario consolare ai sensi della Convenzione di Vienna del 24 aprile 1963 sulle relazioni consolari; 3) un membro del personale diplomatico di una missione permanente presso un’organizzazione internazionale, o di una missione speciale, oppure è assunto per rappresentare uno Stato in occasione di una conferenza internazionale; o 4) una persona diversa che beneficia dell’immunità diplomatica; c) l’azione ha per oggetto l’assunzione, la proroga del rapporto di lavoro o il reinserimento di un candidato; d) l’azione ha per oggetto il licenziamento o la risoluzione del contratto di un impiegato e se, secondo il parere del capo dello Stato, del capo del governo o del ministro degli affari esteri dello Stato datore di lavoro, tale azione rischia di interferire con gli interessi dello Stato in materia di sicurezza; e) l’impiegato è cittadino dello Stato datore di lavoro nel momento in cui l’azione è avviata, sempre che non abbia la residenza permanente nello Stato del foro; o l’impiegato e lo Stato datore di lavoro hanno convenuto diversamente per scritto, fatte salve considerazioni d’ordine pubblico che conferiscono ai Tribunali dello Stato del foro la giurisdizione esclusiva in ragione dell’oggetto dell’azione”.

Nel caso in esame non sono stati allegati, nè si rinvengono in atti, accordi in deroga e la controversia non presenta nessuno degli elementi che escludono l’operatività del principio affermato nel primo paragrafo dell’art. 11, alla stregua del quale deve affermarsi che la controversia promossa da un autista dell’Ambasciata per ottenere il pagamento di differenze retributive non rientra nell’area dell’immunità giurisdizionale.

Sussiste quindi la giurisdizione del giudice italiano. La sentenza della Corte d’appello di Roma deve essere cassata e le parti devono essere rimesse dinanzi alla medesima Corte, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alla spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice italiano e rimette le parti dinanzi alla Corte d’appello di Roma, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2016

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