Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11847 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. II, 18/06/2020, (ud. 20/09/2019, dep. 18/06/2020), n.11847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29573/2015 proposto da:

ACENTRICA S.P.A., già Acentro Veicoli Industriali s.p.a., in persona

dell’amministratore unico G.L., difeso e rappresentato

dall’Avv. Giuseppe Macciotta ed elettivamente domiciliato in Roma,

Paola Falconieri n. 100, presso lo studio dell’avvocato Paola

Fiecchi;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MASULLAS, elettivamente domiciliati in Cagliari, via

Sonnino n. 33, presso lo studio dell’avvocato Piero Franceschi, che

li rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

O.I. in bonis;

– intimato –

avverso la sentenza n. 658/2014 della Corte di appello di Cagliari

depositata il 25 novembre 2014;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 20

settembre 2019 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MISTRI Riccardo, che ha concluso per

l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso;

udito l’Avv.to Paola Fiecchi (con delega dell’Avv.to Giuseppe

Macciotta), per parte ricorrente.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato l’8 maggio 1998 il Comune di Masullas evocava, dinanzi al Tribunale di Oristano, l’Acentro Veicoli Industriali s.r.l. ed il Fallimento Ditta (OMISSIS) chiedendo di accertare la sua proprietà sull’automezzo autocabinato Fiat Iveco 35.10.1 passo 2800, con conseguente condanna della società convenuta a consegnare la dichiarazione di conformità ed il certificato di origine del mezzo, oltre al risarcimento dei danni. Aggiungeva di avere corrisposto a saldo la somma di Lire 83.500.000 oltre Iva e che la venditrice aveva provveduto alla consegna materiale del mezzo e della relativa compattatrice, senza tuttavia rimettere i documenti necessari per la trascrizione dell’acquisto al PRA, per l’accertamento dei requisiti di idoneità alla circolazione e per l’immatricolazione del veicolo medesimo. Inoltre, con sentenza del 18/10/1994 la (OMISSIS) era stata dichiarata fallita ed il giudice delegato aveva rigettato l’istanza di consegna dei predetti documenti, non avendoli rinvenuti tra gli atti nella disponibilità della curatela nè aveva provveduto l’Acentro Veicoli Industriali s.r.l. dalla quale la ditta O. aveva acquistato l’automezzo – la quale anzi assumeva di essere ancora proprietaria del veicolo in contestazione. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’Acentro, la quale aveva dedotto l’insussistenza di ogni rapporto contrattuale inter partes ed il mancato pagamento del corrispettivo pattuuito, rimasto contumace il Fallimento (OMISSIS), con sentenza non definitiva n. 711/2002, il Tribunale di Oristano accertava e dichiarava la proprietà dell’autocabinato FIAT Iveco in capo al Comune di Masullas, con condanna della convenuta costituita alla consegna della dichiarazione di conformità e al certificato di origine, oltre al risarcimento del danno, derivati all’attore a cagione della dichiarata illegittima omessa consegna necessaria per la immatricolazione del mezzo, disponendo per la prosecuzione del giudizio ai fini della quantificazione degli stessi. Con sentenza definitiva n. 185/2008 il Tribunale quantificava il risarcimento nella maggiore spesa sostenuta dall’amministrazione per avere dovuto appaltare a terzi il servizio di raccolta dei rifiuti non potuto svolgere in proprio.

In virtù di rituale impugnazione interposta dalla società Acentro s.p.a. (già Acentro s.r.l.), la Corte di appello di Cagliari, nella resistenza del Comune di Masullas, che proponeva anche appello incidentale in merito alla quantificazione dei danni, rilevato il mancato perfezionamento della notificazione dell’atto di citazione in appello nei confronti del Fallimento ed accertato che con decreto 17 dicembre 2002 del Tribunale di Oristano era stata disposta la chiusura della procedura, con ordinanza dell’8/02/2013, respingeva l’eccezione di estinzione del giudizio di appello per tardività, nonchè la richiesta di integrazione del contraddittorio e con sentenza n. 658/2014, rigettava entrambi gli appelli, con conferma della sentenza gravata.

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che, per orientamento prevalente di dottrina e di giurisprudenza, nell’ipotesi di vendita a catena di autoveicoli andava riconosciuta un’azione diretta dell’ultimo acquirente nei confronti dei precedenti venditori, con ampliamento della tutela del consumatore finale rispetto ai limiti stabiliti dell’art. 1372 c.c., comma 1, in virtù dei rapporti obbligatori di garanzia che legano i vari contraenti. Quanto al difetto di legittimazione attiva del Comune a richiedere la documentazione in questione, qualificava la domanda attorea ai sensi dell’art. 1153 c.c., quale richiesta rivolta a soggetto che deteneva illegittimamente i documenti attestanti la proprietà del mezzo. Infine, quanto all’appello incidentale, statuiva che correttamente il Tribunale aveva detratto i costi che il Comune avrebbe dovuto comunque sostenuto nel caso di utilizzo del mezzo, rispetto alla somma esborsata per appaltare il servizio a terzi, giacchè il personale era stato addetto ad altre mansioni.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari l’Acentrica s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, cui ha resistito con controricorso il Comune di Masullas, rimasto intimato O.I. in bonis.

In prossimità dell’udienza l’Acentrica s.p.a. ed il Comune di Masullas, depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1372 e 1477 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Ad avviso della ricorrente il giudice del merito avrebbe erroneamente riconosciuto un’azione diretta del compratore nei confronti del primo venditore, anzichè un’azione di rivalsa. Inoltre, la ricorrente si duole della mancanza di un’adeguata motivazione.

Con il secondo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1477 e 2900 c.c., nonchè degli artt. 1153 e 1372 c.c.. In particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte avrebbe erroneamente rinvenuto la fondatezza della domanda di controparte nell’art. 1153 c.c., non considerando, di converso, la presunzione di mancanza di legittimazione ad agire in via surrogatoria, ai sensi dell’art. 2900 c.c.. I due motivi – che appare opportuno trattare unitariamente, in quanto attengono, seppure con diverse argomentazioni, al medesimo ordito motivazione della decisione gravata quanto alla disciplina applicata – sono privi di pregio.

E’ pregiudiziale osservare che l’interpretazione di questa Corte ha chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Con la conseguenza che non risulta censurabile il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 13 dicembre 2017 n. 29883; Cass. 8 settembre 2016 n. 17761; Cass., Sez. Un., 23 marzo 2015 n. 5745; Cass. 8 ottobre 2014 n. 21152). Non costituiscono, pertanto, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. 14 giugno 2017 n. 14802; Cass. 8 ottobre 2014 n. 21152 cit.); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. 21 ottobre 2015 n. 21439).

Nel caso di specie, dunque, il vizio come denunciato da parte ricorrente, nella seconda parte del primo mezzo e formulato sotto il profilo dell'”omessa e/o insufficiente motivazione”, attingendo proprio la valutazione dei fatti operata dal giudice del merito, non può trovare ingresso. La rilevata inammissibilità è propedeutica e funzionale alla successiva esposizione e valutazione dei motivi d’impugnazione.

Venendo al merito della questione posta con il ricorso, è preliminare ricostruire l’iter logico giuridico ed i presupposti di fatto da cui hanno preso avvio i giudici del merito nell’esplicare le ragioni poste a fondamento del loro convincimento.

Contrariamente a quanto ritenuto dall’odierna ricorrente, il Tribunale di prime cure, prima, e la Corte di appello in secondo grado, poi, hanno basato la loro decisione su presupposti di fatto e di diritto differenti da quelli enunciati dalla società: primo tra tutti la riconduzione della vicenda nell’ambito dell’acquisto a titolo originario dell’autoveicolo da parte dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 1153 c.c.. Data siffatta rappresentazione del fatto storico, la corte territoriale ha successivamente valutato se in ipotesi di acquirente a non domino, potesse lo stesso chiedere ed ottenere la consegna dei documenti pertinenti il mezzo (e mancanti al momento della materiale consegna) dall’effettivo proprietario, in quanto intestatario, del bene mobile.

Nel risolvere in senso affermativo la questione, la Corte distrettuale ha dato continuità ad un precedente di questa Corte (Cass. n. 15810 del 2002), la quale ha ritenuto che i documenti di circolazione di un’autovettura, essendo preordinati a consentire l’utilizzazione ordinaria del bene, si pongono, rispetto a quest’ultimo, in rapporto di complementarietà funzionale, costituendone, per l’effetto, pertinenze che, ai sensi dell’art. 818 c.c., vengono ipso facto acquistate dal proprietario della cosa principale.

Nonostante il concetto di bene e di pertinenza sia costellato ancora oggi da diverse interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali, è ormai consolidato il principio in base al quale l’acquirente a titolo originario, ai sensi dell’art. 1153 c.c., di un’autovettura non ancora iscritta nei pubblici registri, possa rivendicare il certificato di conformità del veicolo da chi lo possieda, essendo tale certificato non un bene, suscettibile di godimento e circolazione autonomi, e fornito di un proprio valore di scambio, quanto un accessorio inscindibilmente congiunto ed essenziale dell’autovettura, la quale, privatone, perde ogni sua utilità economica (Cass. 27 settembre 2012 n. 16435).

Dalla considerazione giuridica in forza della quale in capo all’amministrazione locale fosse maturato un acquisto a titolo originario del bene, ai sensi dell’art. 1153 c.c., la corte territoriale, verificata l’indisponibilità materiale, da parte della (OMISSIS), dei documenti necessari per la trascrizione dell’acquisto al PRA con finalità di accertamento dei requisiti di idoneità alla circolazione e l’immatricolazione del veicolo medesimo – indisponibilità provata anche dal rigetto dell’istanza del giudice delegato, il quale non aveva rinvenuto gli stessi tra gli atti della curatela – ne ha dedotto che la società Acentrica Veicoli Industriali s.p.a. aveva sempre conservato la loro disponibilità materiale, non avendoli mai consegnati nè alla (OMISSIS), prima acquirente del veicolo, nè al Comune di Masullas, cui l’autovettura era stata trasferita a seguito della conclusione della vendita.

Dunque sulla base di detta disponibilità materiale ha affermato che giuridicamente obbligata alla consegna dei documenti doveva essere ritenuta la società Acentro, e condannava la stessa, a causa del suo inadempimento, a risarcire al Comune di Masullas i danni conseguenti al mancato forzato inutilizzo del bene.

Appare, pertanto, erroneamente indicato l’art. 1477 c.c., a fattispecie di acquisto a titolo originario, avendo l’amministrazione acquistato il bene in base alla norma dell’art. 1153 c.c..

Così ricostruita ed interpretata la vicenda risulta effettivamente non pertinente la dottrina e la giurisprudenza evocata nella sentenza gravata della fattispecie di vendita a catena di autoveicoli, tuttavia in base dell’art. 384 c.p.c., u.c., essendo la sentenza qui impugnata conforme al diritto quanto al dispositivo, va corretta la motivazione, nei termini in precedenza esposti, nella parte in cui ha affermato che la deduzione avente ad oggetto la previsione dell’art. 2900 c.c., con riferimento alla disposizione di cui all’art. 1477 c.c., integrasse gli estremi di una fattispecie applicabile anche al caso di specie. E’ pacifico che in caso di rivendica di un bene mobile, il rigore probatorio richiesto dall’art. 948 c.c., deve necessariamente coniugarsi con i modi di acquisto della proprietà dei beni mobili e con la loro circolazione, per cui per quanto riguarda i beni mobili, il titolo di acquisto è il possesso, anche in caso di acquisto a non domino, purchè il possessore sia in buona fede al momento dell’acquisto e sussista un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà; dalla presunzione di buona fede nel possesso, prevista dall’art. 1147 c.c., deriva che all’attore in rivendicazione di un bene mobile è sufficiente provare il possesso della cosa in base a titolo astrattamente e potenzialmente idoneo al trasferimento della proprietà (art. 1153 c.c.), mentre spetta a chi resiste all’azione medesima di dimostrare l’eventuale mala fede al momento della consegna a non domino (Cass. 28 febbraio 2019 n. 6007).

Pertanto la corte territoriale, facendo buon governo delle pronunce giurisprudenziali e dei principi giuridici, ha riconosciuto il diritto del Comune alla consegna dei documenti in qualità di esclusivo interessato, da parte di colui che ingiustificatamente li deteneva senza titolo. Infine, dall’ingiustificato rifiuto alla consegna, ne ha dedotto l’ingiusto danno cagionato all’amministrazione, correttamente liquidato in sede di merito.

Occorre, inoltre, evidenziare per completezza argomentativa che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, sia in primo grado sia in secondo grado, l’amministrazione/odierna controricorrente ha spiegato domanda ai sensi degli artt. 1477 e 2900 c.c., ed, in ogni caso, ai sensi dell’art. 1153 c.c., con la conseguenza che la tesi difensiva dall’odierna ricorrente, secondo cui sarebbe stata arbitrariamente qualificata ex novo la domanda giudiziale ed accertata la detenzione sine titulo di documenti altrui al fine di farne discendere la legittimazione attiva del Comune, va ritenuta del tutto fuori quadro.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal controricorrente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente alla rifusione in favore dell’Amministrazione controricorrente delle spese di legittimità che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misure del 15% e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 20 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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