Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11842 del 06/05/2019

Cassazione civile sez. VI, 06/05/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 06/05/2019), n.11842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22199-2017 proposto da:

V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PISANELLI

4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

L.A.;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 1460/2015 della CORTE D’APPELLO di

TRIESTE, depositato il 28/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. NAZZICONE

LOREDANA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

– che la Corte d’appello di Trieste con decreto del 28 febbraio 2017 ha respinto i reclami, principale ed incidentale, proposti contro la decisione resa in primo grado dal Tribunale della stessa città, nel procedimento promosso ex art. 337 quinquies c.c. da L.A., con la quale fu disposto l’affidamento condiviso della figlia minore ad entrambi i coniugi, il diritto del padre di vedere la figlia tre pomeriggi settimana, la riduzione dell’assegno di mantenimento versato in favore della minore; la corte territoriale ha altresì disposto, da un lato, che il consultorio familiare territorialmente competente attivi un percorso di sostegno per la minore e di supporto alla genitorialità di ambo le parti, e, dall’altro lato, che il Servizio Sociale di Trieste monitori il nucleo familiare;

– che avverso il decreto è stato proposto ricorso, sulla base di cinque motivi, da V.A., illustrato da memoria;

– che non svolge difese l’intimato.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

– che i motivi di ricorso possono essere così riassunti:

1) nullità del procedimento e della sentenza, per violazione degli artt. 39 e 739 c.p.c., essendo stato dal padre proposto il procedimento ex art. 337-quinquies c.c., volto alla revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e del contributo, in pendenza dei termini per proporre reclamo avverso altro provvedimento, reso ai sensi dell’art. 337-ter c.c., avente medesimo oggetto;

2) violazione degli artt. 2,13,32,111 Cost. e dell’art. 337-ter c.c., avendo la corte territoriale condizionato le parti ad effettuare un percorso psicoterapeutico di coppia volto a supportare la genitorialità di entrambi, ledendo, dunque, il loro diritto di autodeterminazione;

3) vizio di motivazione circa la mancata ammissione dei mezzi istruttori decisivi ritualmente richiesti;

4) violazione o falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c., non avendo il giudice di merito adeguatamente tenuto in considerazione, nella determinazione circa l’affido della minore, gli inadeguati comportamenti genitoriali tenuti dal padre; nonchè, circa la quantificazione dell’assegno di mantenimento, le reali risorse economiche di cui quest’ultimo dispone;

5) violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 112 c.p.c., avendo la Corte del merito condannato l’odierna ricorrente al pagamento di due terzi delle spese processuali in favore della controparte, sebbene anche il ricorso incidentale proposto da quest’ultima fosse stato integralmente respinto;

– che il primo motivo è manifestamente infondato poichè, come rilevato dai giudici del merito, le sopravvenute circostanze – idonee a fondare una domanda di adeguamento delle statuizioni assunte in ordine al mantenimento del minore, al suo affidamento, alla sua collocazione e al regime delle visite del genitore non collocatario -fondano il diritto della parte di instaurare nuovo e distinto giudizio, ancorchè siano ancora pendenti i termini per proporre reclamo avverso il decreto, reso nel procedimento ex art. 337-ter c.c., di cui si chieda la modifica;

– che inoltre l’assunto della pendenza del termine per proporre reclamo avverso il provvedimento reso nel primo giudizio n. r.g. 1460/15 non tiene conto che la pronuncia sul secondo ricorso è avvenuta dopo lo spirare del termine medesimo, onde certo non ne deriva la nullità dalla ricorrente lamentata;

– che il secondo motivo è manifestamente infondato, posto che la Corte del merito si è limitata a ritenere opportuno che i genitori provvedano ad una mediazione familiare, per superare le difficoltà riscontrate, disponendo che il consultorio “prenda in carico il nucleo familiare e predisponga un percorso di sostegno psicologico della minore e di supporto alla genitorialità di entrambe le parti”: e ciò, a tutela del pieno interesse della minore, che lo specifico compito affidato al giudice in simili situazioni;

– che non giova in contrario il richiamo, da parte del ricorrente, a precedente di questa Corte (Cass. 1 luglio 2015, n. 13506): ed invero, in detta vicenda era stato prescritto, come risulta dal testo della decisione, l’obbligo dei “genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale”, non analogo al caso di specie;

– che, del resto, è stato già ritenuto da questa Corte, in merito all’art. 155 c.c. ed in tema di provvedimenti riguardo ai figli nella separazione personale dei coniugi, che sia permesso “al giudice di fissare le modalità della loro presenza presso ciascun genitore e di adottare ogni altro provvedimento ad essi relativo, attenendosi al criterio fondamentale rappresentato dal superiore interesse della prole, che assume rilievo sistematico centrale nell’ordinamento dei rapporti di filiazione, fondato sull’art. 30 Cost.. L’esercizio in concreto di tale potere, dunque, deve costituire espressione di conveniente protezione (art. 31 Cost., comma 2) del preminente diritto dei figli alla salute e ad una crescita serena ed equilibrata e può assumere anche profili contenitivi dei rubricati diritti e libertà fondamentali individuali, ove le relative esteriorizzazioni determinino conseguenze pregiudizievoli per la prole che vi presenzi, compromettendone la salute psicofisica e lo sviluppo”; e, come aggiunge tale decisione, “tali conseguenze, infatti, oltre a legittimare le previste limitazioni ai richiamati diritti e libertà fondamentali contemplati in testi sovranazionali, implicano in ambito nazionale il non consentito superamento dei limiti di compatibilità con i pari diritti e libertà altrui e con i concorrenti doveri di genitore fissati nell’art. 30 Cost., comma 1, e nell’art. 147 c.c.” (Cass. 12 giugno 2012, n. 9546);

– che tali principi sono stati più volte confermati (Cass. 24 maggio 2018, n. 12954; Cass. 4 novembre 2013, n. 24683);

– che, del resto, della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 12, comma 4, sull’adozione autorizza prescrizioni penetranti ai “genitori ed ai parenti”, per assicurare l’assistenza al minore, proprio quale c.d. sostegno alla genitorialità, al fine di rimediare alle situazioni di probabile abbandono ed anzi superare le medesime: ciò palesando la piena compatibilità di tali disposizioni con il rispetto dell’altrui diritto soggettivo genitoriale, in questa materia subordinato al preminente interesse del minore;

– che, pertanto, l’indicazione contenuta nel decreto impugnato risulta ineccepibilmente aderente al dettato normativo, avendo i giudici d’appello assunto a parametro di riferimento l’interesse preminente del minore, interesse che, all’esito dell’insindacabile valutazione discrezionale delle risultanze istruttorie, sorretta da puntuale ed adeguato riscontro argomentativo, hanno ritenuto a rischio di pregiudizio per la conflittualità genitoriale, sulla quale è possibile positivamente incidere, prevenendo altri gravi danni al minore;

– che il terzo motivo è manifestamente infondato poichè, come chiarito in numerose occasioni da questa Corte, “in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento (…), nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni” (Cass. 13485/2017);

– che, nel caso di specie, il giudice d’appello, non solo ha espressamente qualificato come irrilevante, al fine del provvedere, l’ammissione di molte delle istanze istruttorie avanzate, ma anche definito alcune di esse (ed è questo il caso della richiesta dell’espletamento di una CTU psico-pedagogica sulla persona del padre) come non supportate da giustificazioni;

– che il quarto motivo è inammissibile, essendo volto esclusivamente ad un riesame del merito in questa sede precluso, facendo esso valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, a “proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, ma tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionale valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice” (Cass. 18039/2012);

– che, infatti, l’accertamento circa le effettive capacità economiche e genitoriali del padre non può che costituire apprezzamento esclusivamente rimesso al giudice di merito;

– che il quinto motivo è manifestamente infondato, avendo questa Corte da tempo chiarito che “il rigetto tanto dell’appello principale quanto di quello incidentale non obbliga il giudice a disporre la compensazione totale o parziale delle spese processuali, il cui regolamento, fuori della ipotesi di violazione del principio di soccombenza per essere stata condannata la parte totalmente vittoriosa, è rimesso, anche per quanto riguarda la loro compensazione, al potere discrezionale del giudice di merita” (Cass. 18173/2008): mentre, nella specie, comunque vi è stato l’addebito solo parziale delle spese del grado;

– che, conclusivamente, il ricorso deve essere respinto;

– che non deve statuirsi sulle spese del giudizio di legittimità, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla 1. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2019

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