Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11840 del 09/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 09/06/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 09/06/2016), n.11840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22669/2014 proposto da:

R.V., + ALTRI OMESSI

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 4, presso lo studio

dell’avvocato SALVATORE CORONAS, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato UMBERTO CORONAS giuste procure in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 323/2014 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA del 18/02/2014, depositata il 07/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’08/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato Andrea Sgueglia (delega avvocato Coronas

Salvatore) difensore dei ricorrenti che si riporta al ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con ricorso alla Corte d’appello di Caltanissetta, R. V. e numerose altre persone chiedevano la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze per la non ragionevole durata del giudizio pensionistico introdotto con ricorso del 5 agosto 2005 dinanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, e concluso con sentenza di rigetto in data 19 gennaio 2012;

che la Corte d’appello, con decreto del 7 marzo 2014, dichiarava inammissibile la domanda di equo indennizzo proposta dai sigg. D. T.C., M.M.G. e M.L., C. G., L.G., L.R., L.A. M., L.A.M., G.R., B.R., B. F. e B.S., per mancanza di prova della qualità di eredi rispettivamente di M.E., L.G. e Ca.Br.;

che la stessa Corte riconosceva il diritto all’equo indennizzo in capo agli altri ricorrenti, per il periodo di anni 2 e mesi 5, liquidando l’indennizzo di Euro 350,00 per ciascun anno di ritardo;

che la quantificazione dell’indennizzo era motivata con riferimento all’oggetto della pretesa azionata nel giudizio presupposto, e cioè la perequazione del trattamento pensionistico con l’inclusione di “voci non previste dalla legge ed escluse dalla costante giurisprudenza, consolidatasi in corso di causa”;

che per la cassazione del decreto R.V. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso sulla base di quattro motivi;

che l’intimato Ministero resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;

che con il primo motivo è dedotta violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6, par. 1, della Convenzione EDU, nonchè dei principi giurisprudenziali convenzionali e nazionali in tema di quantificazione del danno da durata non ragionevole, e si contesta l’assenza di giustificazione alla deroga al minimo indicato in Euro 750,00 dal previgente testo della L. n. 89 del 2001, art. 2, applicabile ratione temporis, tenuto conto che la giurisprudenza contabile si era espressa fino al 2008 in senso favorevole alla tesi dei ricorrenti;

che con il secondo motivo è dedotto vizio di motivazione sub specie di omesso esame della sentenza conclusiva del giudizio presupposto –

che aveva richiamato, tra l’altro, la decisione delle Sezioni Riunite della Corte dei conti n. 9 del 2011 – dalla quale emergeva che la questione sottostante la domanda dei ricorrenti era stata a lungo dibattuta;

che con i motivi dal terzo al quinto è censurata la statuizione di inammissibilità della domanda proposta dai sigg. D.T. C., M.M.G. e M.L., C. G., L.G., L.G., L.A. M., L.M., G.R., B.R., B. F. e B.S. e si deduce, nell’ordine: a) la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., perchè era stata rilevata la mancanza di prova della qualità di eredi in capo ai ricorrenti in assenza di contestazione dalla controparte (è richiamata Sezioni Unite n. 12065 del 2014); b) la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 110 e 115 c.p.c., perchè la Corte d’appello non avrebbe considerato, ai fini della prova della qualità di eredi, la mancata contestazione della controparte e le risultanze del fascicolo di merito; c) la violazione o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 4, perchè la Corte d’appello non aveva chiesto chiarimenti ovvero ordinato integrazioni documentali sul punto;

che le doglianze sono fondate;

che, con riferimento al profilo della quantificazione dell’indennizzo, si deve rilevare la carenza di motivazione a supporto dell’indennizzo in misura inferiore allo standard minimo di euro 500,00 per anno (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 12937 del 2012);

che, infatti, l’unica ragione esplicitata dalla Corte d’appello a giustificazione del riconoscimento dell’importo di Euro 350,00 per ogni anno di ritardo – e cioè la prognosi sfavorevole all’accoglimento della pretesa perequazione pensionistica, attesa la costante giurisprudenza – è sostanzialmente contraddetta dalla successiva affermazione, secondo cui la giurisprudenza contraria alla tesi dei ricorrenti si era consolidata in corso di causa;

che, quanto al profilo della prova della qualità di eredi in capo ai ricorrenti D.T., M., C., L., G. e B., la Corte d’appello si è limitata ad affermare l’inidoneità della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà a dimostrare la predetta qualità, senza valutare ulteriori elementi, primo tra tutti il contenuto della difesa della controparte, in applicazione del principio enucleato dalle Sezioni Unite nella sentenza 29 maggio 2014, n. 12065 che attribuisce rilevanza – ai fini della non contestazione – al comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere;

che pertanto il decreto deve essere cassato con rinvio al giudice indicato in dispositivo, che procederà ad un nuovo esame delle domande di equa riparazione, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2016

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