Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11837 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. II, 27/05/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 27/05/2011), n.11837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25738/2005 proposto da:

F.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G CARDUCCI 4, presso lo studio dell’avvocato MORBIDELLI

Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TRAINA

DUCCIO MARIA;

– ricorrente –

contro

V.E. (OMISSIS), V.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G G BELLI

39, presso lo studio dell’avvocato LEMBO ALESSANDRO, rappresentati e

difesi dagli avvocati SANTORO Roberto, SANTORO PIER LUIGI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1306/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 16/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2011 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito l’Avvocato SANTORO Pirluigi, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso in subordine rinvio alle Sezioni Unite relativamente al 2^

motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.F. proponeva appello avverso la sentenza 3/12/2001 con la quale il tribunale di Firenze, in parziale accoglimento delle sue domande, aveva condannato V.G., V.E. e V.V. – quali eredi del convenuto V.F. deceduto nel corso del giudizio di primo grado – ad arretrare la porzione del fabbricato di loro proprietà, sito in (OMISSIS), individuata con quadrettatura nell’allegato della c.t.u. del geom. M., di mt. 5 rispetto alla linea di confine con il fondo dell’attore, ossia di esso appellante. Il F. deduceva che: 1) la sopraelevazione posta in essere dai convenuti avrebbe dovuto essere demolita per tutto il suo sviluppo; 2) il danno per l’illegittima sopraelevazione era evidente ed avrebbe dovuto essere liquidato equitativamente ex art. 1226 c.c..

G. e V.E. – anche quali eredi di V.V. – resistevano al gravame deducendo che: 1) le conclusioni precisate dall’attore erano state accolte; 2) non vi era danno perchè la controparte ben poteva costruire in aderenza o a 5 mt. non essendovi pareti finestrate.

Con sentenza 16/9/2004 la corte di appello di Firenze rigettava il gravame osservando: che con il primo motivo di appello il F. aveva sostenuto l’erroneità della statuizione del primo giudice per non aver questi disposto la demolizione della sopraelevazione per tutto il suo sviluppo, ma solo limitatamente alla lunghezza di mt.

6,95 per la costruzione realizzata dopo il 1978; che in primo grado il F. aveva chiesto la condanna dei convenuti “ad arretrare a mt. 5 dal confine di proprietà la porzione del fabbricato degli eredi V. lunga 6,95 m., costruita dopo il 1978, nonchè la porzione del medesimo fabbricato sopraelevata per circa un metro nel 1990, così come descritta nella relazione del c.t.u.”; che il primo giudice aveva accolto la domanda in tali esatti termini; che pertanto l’appellante non aveva alcuna doglianza da proporre, nè alcun interesse all’appello, avendo visto accolta integralmente la sua domanda; che, in ordine al secondo motivo di gravame, attinente alla dedotta errata statuizione del tribunale con riferimento alla domanda di risarcimento del danno, andava rilevato che correttamente il primo giudice aveva escluso tale risarcibilità in carenza di prova sulla sussistenza di un danno economicamente valutabile, in conseguenza di perdita di luce ed aria per la effettuata sopraelevazione.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Firenze è stata chiesta da F.F. con ricorso affidato a due motivi.

V.G. e V.E. hanno resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il F. denuncia vizi di motivazione e violazione dell’art. 7 delle N.T.A. del P.d.F del Comune di Londa, deducendo che la corte di appello ha respinto il primo motivo del gravame proposto da esso ricorrente nella convinzione dell’integrale accoglimento della domanda attrice da parte del primo giudice. La detta pronuncia, oltre che erronea, è contraddittoria come si evince dalla comparazione tra la domanda oggetto del giudizio di primo grado (come precisata all’udienza del 27/6/2001) e il dispositivo della appellata sentenza del tribunale.

Dall’interpretazione letterale dell’espressione “condannare …. ad arretrare a m. 5 dal confine di proprietà…..la porzione del medesimo fabbricato sopraelevata per circa un metro nel 1990”, si evince chiaramente che la richiesta della parte attrice riguardava l’arretramento dell’intera sopraelevazione e non di parte soltanto di essa. Per “porzione sopraelevata” si intendeva infatti quella parte di immobile realizzata nel 1990 in corrispondenza e al di sopra dell’intero piano preesistente del fabbricato posto lungo il confine di proprietà. L’impugnazione della sentenza del tribunale era diretta ad ottenere il riconoscimento di esso F. a veder arretrare tutte le porzioni di fabbricato dei V. realizzate a distanza non regolamentare dai confine, compresa la sopraelevazione in tutti i suoi 21,20 mt. di estensione. Del resto non vi erano dubbi sulla natura abusiva della sopraelevazione dovendo essa essere considerata a tutti gli effetti – anche per la disciplina delle distanze – come nuova costruzione. La corte di appello è incorsa in “error in iudicando” avendo mal interpretato l’oggetto della domanda proposta da parte attrice in primo grado. E’ altresì evidente la violazione delle norme locali in materia di distanze dai confini.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Occorre osservare che, come è noto, l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata avuto riguardo all’intero contesto dell’atto e senza che ne risulti alterato il senso letterale.

Va aggiunto che in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su una domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa:

solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini delle pronuncia richiestale. Nel caso in cui venga invece in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto.

Nella specie il ricorrente non ha denunciato il vizio di omessa pronuncia ma si è limitato a lamentare l’asserito vizio di motivazione – con conseguente violazione dell’art. 7 delle NTA del Piano di Fabbricazione del Comune di Londa – che non è di certo ravvisabile nel caso in esame avendo la corte di appello fornito adeguata motivazione a sostegno dell’interpretazione data all’atto introduttivo del giudizio di primo grado riportando testualmente la richiesta come letteralmente formulata dal F. e pervenendo alla conclusione che la domanda come proposta era stata accolta, nei suoi esatti termini, dal primo giudice con conseguente insussistenza di interesse all’appello.

La corte di merito è giunta alla detta conclusione (dal ricorrente criticata) in base ad un apprezzamento di fatto sorretto da congrua motivazione immune da vizi logici e da errori di diritto indicando puntualmente e chiaramente le ragioni poste a fondamento del proprio convincimento e dando conto delle proprie valutazioni circa i riportati accertamenti in fatto e circa l’interpretazione della domanda come formulata in primo grado dal F., interpretazione coerentemente ed ineccepibilmente condotta attraverso l’esame del contenuto letterale delle conclusioni precisate dall’istante.

Alle dette valutazioni il ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione. Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta chiaro che la Corte di merito, nel porre in evidenza gli elementi probatori favorevoli alle tesi dei V., ha implicitamente espresso una valutazione negativa delle contrapposte tesi del F..

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 872 e 1226 c.c., deducendo che l’abuso perpetrato dalle parti convenute ha prodotto – e continua a produrre – un pregiudizio effettivo in danno di esso F., non potendo lo stesso edificare nè in aderenza, nè a distanza inferiore a mt. 10 dalla costruzione di proprietà dei V.. Esso ricorrente si è visto costretto a domandare, oltre alla riduzione in pristino delle opere illegittime realizzate dai V., anche il risarcimento del danno subito chiedendone la liquidazione in via equitativa. Tale danno deve ritenersi “in re ipsa” senza necessità di una specifica attività probatoria. La quantificazione del risarcimento del danno nella materia de qua – come più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità e contrariamente a quanto affermato dalla corte di appello – ben può essere rimessa alla valutazione equitativa del giudice del merito.

Il motivo è manifestamente fondato atteso che la corte di appello – con riferimento al punto concernente la domanda proposta dal F. volta ad ottenere il risarcimento del danno conseguente alla violazione da parte del V. delle norme in tema di distanze – si è posta in netto ed insanabile contrasto con il principio più volte affermato da questa Corte, che il Collegio condivide e ribadisce in questa sede, secondo cui in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima, deve ritenersi “in re ipsa”, senza necessità di una specifica attività probatoria. Nè può sostenersi l’insussistenza di un diritto del proprietario confinante al risarcimento del danno sotto il profilo dell’esclusione in concreto di alcun apprezzabile pregiudizio una volta cessata la situazione antigiuridica per effetto della accordata tutela ripristinatoria: un tale convincimento invero negherebbe il risarcimento del danno che già si è verificato quale immediata e diretta conseguenza dell’illecito (costituito appunto dalla realizzazione di una costruzione in violazione delle norme sopra richiamate) e che si protrae fino alla effettiva riduzione in pristino dello stato dei luoghi (nei sensi suddetti, tra le tante, sentenze 16/12/2010 n. 25475; 7/5/2010 n. 11196; 27/3/2008 n. 7972).

In definitiva, in base alle considerazioni che precedono, il primo motivo di ricorso deve essere rigettato mentre deve essere accolto il secondo motivo. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra sezione della corte di appello di Firenze che la riesaminerà tenendo conto dei rilievi sopra esposti ed uniformandosi al principio di diritto sopra enunciato. Il designato giudice del rinvio provvedere anche in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Firenze.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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