Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11837 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 18/06/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 18/06/2020), n.11837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19654/2013 R.G. proposto da

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

S.I.O.T. – SOCIETA’ ITALIANA PER L’OLEODOTTO TRANSALPINO SPA,

rappresentata e difesa dall’avv. Corrado Diso, elettivamente

domiciliata in Roma, via Cosseria, n. 5, presso lo studio dell’avv.

Laura Tricerri.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Friuli-Venezia Giulia, sezione n. 11, n. 56/11/12, pronunciata in

data 18/04/2012, depositata in data 30/05/2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio

2020 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la controversia riguarda l’impugnazione, con distinti ricorsi, da parte di S.I.O.T. – Società Italiana per l’Oleodotto Transalpino Spa, la quale gestisce l’oleodotto transalpino che attraversa Italia, Austria e Germania, con la consociata austriaca T.O.O. GmbH e con la consociata tedesca D.T.O. GmbH, appartenenti al medesimo gruppo societario, di quattro avvisi di accertamento IRPEG e IRAP, per il 2003, ed IRES e IRAP, per gli anni dal 2004 al 2006, emessi a conclusione di una verifica fiscale della Guardia di Finanza di Trieste che aveva accertato maggiori ricavi non dichiarati, determinati in applicazione della disciplina del transfer pricing (art. 110, comma 7, t.u.i.r., vigente catione temporis), secondo cui i ricavi derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, correlate con l’impresa domestica, debbono essere quantificati secondo il “valore normale” dei beni ceduti o dei servizi prestati, determinato sulla base dei criteri previsti dall’art. 9, t.u.i.r.;

2. in dichiarata applicazione dei metodi approvati dall’OCSE nelle sue direttive in materia di transfer pricing, miranti a prevenire l’elusione fiscale attraverso lo spostamento artificioso della materia imponibile tra le società del gruppo, aventi sede legale nei diversi Stati, la società contribuente aveva utilizzato il c.d. profit split method (metodo di ripartizione del profitto o degli utili) per addivenire alla determinazione dell’imponibile (di ciascuna di esse) più prossima a quello che sarebbe emerso se i servizi resi dall’una all’altra per la gestione complessiva dell’oleodotto fossero stati resi non già tra società correlate, ma tra società indipendenti, in regime di libera concorrenza;

in dettaglio, il metodo di ripartizione del profitto consisteva nella suddivisione economica dell’utile lordo (ante imposta) conseguito complessivamente dalle tre società, tramite (ovviamente) la sottrazione dai ricavi complessivi del totale dei costi delle tre imprese; l’utile lordo complessivo era stato ripartito tra le società correlate sulla base di una percentuale di imputazione (ossia di una quota) risultante dalla media aritmetica di due valori significativi, quali i chilometri di oleodotto di competenza di ciascuna di esse (e quindi le tonnellate di greggio che vi transitavano) e il valore delle immobilizzazioni materiali iscritto nei bilanci delle consociate;

secondo gli accertatori, tale criterio, ineccepibili sul piano teorico, necessitava di essere corretto al fine di determinare, per ciascuna società, un risultato reddituale realistico, aderente al contributo operativo che ogni impresa aveva fornito alla gestione dell’oleodotto; lo strumento di correzione del coefficiente di ripartizione dell’utile lordo utilizzato dall’Amministrazione finanziaria consisteva nel considerare (oltre ai chilometri gestiti e al valore delle immobilizzazioni) anche il costo della manutenzione degli impianti sopportato da ciascuna società (quello di S.I.O.T. Spa era quasi il triplo di quello delle altre due società di gestione dell’oleodotto a causa dell’orografia dei rispettivi territori), il che comportava, per la società italiana, un aumento della base imponibile per ciascuna delle annualità in verifica;

3. la Commissione tributaria provinciale di Trieste (sentenza n. 107/01/2010), riuniti i ricorsi, li accolse con decisione che, sull’appello dell’ufficio, la Commissione tributarla regionale del Friuli-Venezia Giulia, nel contraddittorio della contribuente, ha confermato, con la sentenza indicata in epigrafe, fondata sulle seguenti ragioni: (a) l’Amministrazione finanziaria aveva rettificato il “valore normale” adottato dalla contribuente facendo riferimento ad altri due parametri significati (oltre a quelli già considerati dalla società), e cioè a quello dell’energia elettrica utilizzata ed a quello dei costi di manutenzione a carico delle singole società, salvo poi, in concreto, sceglierne e utilizzarne uno solo (quello dei costi di manutenzione); (b) trattandosi di un’ipotesi di elusione fiscale, l’onere della prova è a carico dell’Amministrazione finanziaria sull’Agenzia, quale attrice sostanziale, non soltanto in forza del principio di cui all’art. 2697 c.c., ma anche per l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, che echeggia la direttiva OCSE del 1995, ed afferma che il contribuente non è tenuto a dimostrare la correttezza dei prezzi di trasferimento applicati, se innanzitutto l’A.F. non ha provato prima facie il mancato rispetto del “valore normale”; (c) il metodo di determinazione di tale “valore normale” utilizzato dalla contribuente era giusto, mentre i parametri correttivi individuati dall’Agenzia non sono sorretti (pag. 7 della sentenza) da “elementi ben precisi e non opzionabili (…) che facciano emergere l’avanzamento – inequivocabile e affidabile nel tempo – di un valore normale più coerente e più vicino alla realtà, rispetto a quello adottato”, che siano stati “illogicamente” trascurati dalla contribuente per trarne un ingiustificato beneficio fiscale; (d) posto che la questione sollevata dalla società (con appello incidentale) in punto di esclusione delle sanzioni risulta assorbita, era comunque giustificata l’esclusione delle sanzioni a causa delle oggettive difficoltà nell’individuazione del “valore normale” in situazioni, come nel caso di specie, di complesse prestazioni di servizi;

4. l’Agenzia ricorre, con quattro motivi, per la cassazione di questa sentenza; la società resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a. preliminarmente, è priva di fondamento l’eccezione della società di inammissibilità del ricorso per cassazione per la manifesta acquiescenza, da parte dell’Agenzia, all’autonomo capo della sentenza riguardante la dedotta nullità degli avvisi per carenza di motivazione;

la società assume di avere fatto valere, come primo motivo di ricorso, la nullità degli avvisi per carenza di motivazione in punto di sussistenza dell’intento elusivo; soggiunge che da un lato la CTP di Trieste aveva accolto tale rilievo critico e che dall’altro l’Agenzia, al riguardo, aveva proposto uno specifico motivo d’appello (il primo), che, a sua volta, la Commissione regionale aveva respinto, rilevando che, in materia di transfer pricing, l’onere di dimostrare l’intento elusivo della società incombe sull’Amministrazione finanziaria; infine, pare sostenere (seppure con enunciati non troppo chiari), che l’intera res litigiosa sia coperta da giudicato in mancanza di una specifica impugnazione, da parte dell’ufficio, di tale capo della sentenza d’appello;

si ritiene non condivisibile questa prospettazione della dinamica processuale in quanto, in realtà, con i primi due motivi del ricorso, inscrivibili nei parametri normativi dell’errore giuridico e del vizio di motivazione, l’Agenzia ha criticato tutto quanto l’impianto della pronuncia d’appello, con ciò impedendo il formarsi del giudicato su ogni aspetto controverso della causa;

1. con il primo motivo del ricorso (“1. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 9, comma 3, art. 110, commi 2 e 5 (oggi 7), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere erroneamente negato che, ai fini della determinazione del “valore normale” delle operazioni tra parti correlate, nel rispetto del principio della libera concorrenza, il criterio scelto dalle tre società di gestione dell’oleodotto transalpino, fondato su parametri di carattere statico e patrimoniale (la lunghezza del tratto di oleodotto gestito; il valore di bilancio delle immobilizzazioni), necessitasse di correttivi direttamente afferenti all’analisi dell’andamento del singolo esercizio, come – appunto – i costi di manutenzione degli impianti, molto più alti per la compagine italiana che per quelle estere, a causa del diverso andamento dei tratti di oleodotto di rispettiva competenza (in salita, il tratto italiano; in discesa quello in Austria; in pianura quello tedesco);

. 2. con il secondo motivo (“2. Omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi; e comunque omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e del relativo documento in relazione, all’art. 360 c.p.c., n. 5 (qui applicabile nel testo anteriore alla modifica ex D.L. n. 83 del 2012).”), l’Agenzia fa valere l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata che per un verso si è limitata a descrivere il criterio di ripartizione dei costi adottato dalle tre società, senza spiegare perchè esso fosse idoneo a riprodurre il risultato che si sarebbe raggiunto in condizioni di libera concorrenza; per altro verso non ha approfondito l’aspetto, decisivo, del contributo di ciascuna società al funzionamento, pacificamente unitario, dell’oleodotto;

sotto altro aspetto, l’Agenzia addebita alla CTR di non avere esaminato un documento decisivo – pag. 21 del verbale di constatazione – dal quale risultava che i costi di manutenzione gravavano per il 65,88% sulla società italiana, per il 20,70% sulla società austriaca e per il 13,41% sulla società tedesca. Mette in risalto che se, al contrario, fosse stato preso in considerazione il divario dei costi di manutenzione, questa voce, come avviene in un sistema di libero mercato, avrebbe avuto dei riflessi sui prezzi di vendita del servizio e sui ricavi di esercizio, in quanto non è concepibile che a costi di esercizio altamente differenziati tra diverse imprese, per il medesimo servizio, corrispondano ricavi omogenei;

infine, l’Agenzia ascrive alla sentenza impugnata di essersi soffermata sull’asserita inidoneità del criterio correttivo aggiunto dall’A.F. a quello adottato dalla società, senza però prendere preventivamente posizione sulle ragioni per le quali la Commissione regionale aveva, invece, ritenuto attendibile il metodo di ripartizione dei ricavi scelto dalla contribuente;

3. con il terzo motivo (“3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”), l’Agenzia imputa alla sentenza impugnata l’errore di essersi pronunciata sull’appello incidentale condizionato proposto dalla società, pur avendo accolto nel merito la tesi difensiva di quest’ultima, con il rigetto dell’appello dell’ufficio, il che privava l’appellata dell’interesse ad ottenere una pronuncia sull’applicabilità o meno delle sanzioni;

4. con il quarto motivo (“4. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 settembre 1997, n. 472, artt. 5 e 6 e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”), in subordine, si censura la sentenza impugnata per avere escluso l’applicazione delle sanzioni, trascurando che la sanzione si applica in caso di violazione derivante da una condotta cosciente e volontaria del contribuente, e può essere esclusa solo se l’agente sia incorso in errore sul fatto, quale circostanza, nella fattispecie, nemmeno dedotta; da altro punto di vista, la ricorrente nega che, nel caso in esame, sussistesse l’esimente rappresentata dall’oggettiva difficoltà interpretativa della portata e dell’ambito della norma violata, anche in considerazione della qualifica professionale specialistica degli operatori interessati e della circostanza che la necessità di stimare il “valore normale” dipendeva dalla libera scelta delle società di costituire un gruppo transnazionale per svolgere le proprie operazioni;

5 il primo e il secondo motivo, suscettibili di esame congiunto per la loro comune matrice giuridica, sono fondati;

5.1. è utile comporre il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento e dare conto dei criteri delineati dall’OCSE in materia di prezzi di trasferimento tra imprese multinazionali;

(a) l’art. 110, comma 7, t.u.i.r., vigente ratione temporis, in tema di transfer pricing, dispone che: “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito;” il comma 2 richiama l’art. 9, t.u.i.r., il quale, al comma 3, dispone che: “Per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini ed alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio ed alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore.”;

(b) secondo l’orientamento prevalente di questa Corte (Cass. 16/01/2019, n. 898; 25/06/2019, n. 16948), la normativa in esame non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del “transfer pricing” (spostamento d’imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sè considerato, sicchè la prova gravante sull’Amministrazione finanziaria riguarda non il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l’esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, mentre incombe sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c., ed in materia di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dall’art. 9, comma 3, t.u.i.r. (Cass. n. 7493 del 15/4/2016; n. 13387 del 30/6/2016; Cass. 27018 del 15/11/2017; Cass. n. 18392 del 18/9/2015; Cass. n. 9673 del 19/4/2018).

(c) questa stessa giurisprudenza di legittimità ha precisato che la ratio della norma sta nel principio di libera concorrenza enunciato nell’art. 9 del Modello di Convenzione OCSE, il quale prevede la possibilità di sottoporre a tassazione gli utili derivanti da operazioni infragruppo che siano state regolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute fra imprese indipendenti in transazioni comparabili effettuate sul libero mercato; si tratta, quindi, di verificare la sostanza economica dell’operazione intervenuta e di metterla a confronto con analoghe operazioni realizzate, in circostanze comparabili, in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e di valutarne la conformità a queste;

(d) le Linee Guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali del 2010 – che, nella parte che qui interessa, ricalcano le Linee Guida del 1995 (OECD, Guidelines, 1995), le quali, a loro volta, come ha puntualizzato la dottrina, avevano superato la Circolare 332/IIDD/1980, che pareva relegare l’uso dei più sofisticati metodi reddituali in chiave ausiliaria, rendendo possibile avvalersi, tra l’altro, proprio del Transactional profit split method (TPSM o PSM) ovverosia “metodo di ripartizione degli utili” ogniqualvolta i metodi comparativi vecchi fossero di difficile ed inaffidabile applicazione – tra gli altri criteri, prevedono:

(p. 2.108) il (detto) metodo transazionale di ripartizione degli utili delle transazioni, che si pone l’obiettivo di eliminare gli effetti sugli utili derivanti dalle condizioni speciali convenute o imposte in una transazione controllata, determinando la ripartizione degli utili che imprese indipendenti avrebbero previsto di realizzare ponendo in essere la transazione o le transazioni; tale metodo individua, innanzitutto, gli utili da ripartire tra le imprese associate derivanti dalle transazioni controllate da queste effettuate (gli “utili complessivi”); successivamente si ripartiscono detti utili tra le imprese associate sulla base di un fondamento economicamente valido, il quale si avvicina alla ripartizione degli utili che sarebbe stata prevista e considerata in un accordo realizzato secondo il principio di libera concorrenza; (p. 2.109) che il principale pregio del metodo di ripartizione degli utili delle transazioni consiste nel rappresentare una soluzione per operazioni molto integrate per le quali non risulterebbe opportuno un metodo unilaterale;

(p. 2.112) che un altro pregio del metodo di ripartizione degli utili delle transazioni è il fatto che consente una certa flessibilità considerando circostanze ed elementi specifici, eventualmente eccezionali, relativi ad imprese associate e non esistenti nel caso di imprese indipendenti, pur tuttavia rappresentando un approccio conforme al principio di libera concorrenza nella misura in cui riflette ciò che le imprese indipendenti avrebbero ragionevolmente compiuto se si fossero trovate in circostanze identiche;

(p. 2.113) che un ulteriore aspetto positivo del metodo di ripartizione degli utili delle transazioni è rappresentato dalle minori possibilità che ad una parte della transazione controllata sia attribuito un eccezionale e improbabile realizzo di utili, poichè la valutazione riguarda entrambe le parti della transazione controllata. Tale aspetto può essere particolarmente importante nell’analisi dei contributi delle parti, relativamente a beni immateriali impiegati nelle transazioni controllate. Questo approccio bilaterale può inoltre essere utilizzato per ottenere una ripartizione degli utili derivanti da economie di scala o altre efficienze di gruppo soddisfacenti sia per il contribuente che per l’amministrazione fiscale;

(p. 2.114) che uno svantaggio del metodo di ripartizione degli utili delle transazioni è rappresentato dalla relativa difficoltà di applicazione. A prima vista, il metodo di ripartizione degli utili delle transazioni può sembrare più accessibile sia per i contribuenti sia per le amministrazioni fiscali poichè tende a basarsi in misura minore sulle informazioni riguardanti le imprese indipendenti. Tuttavia, le imprese associate e le amministrazioni fiscali possono incontrare le stesse difficoltà a ottenere informazioni riguardanti società affiliate situate all’estero. Inoltre, può risultare difficile valutare costi e reddito complessivi per tutte le imprese associate che partecipano alle transazioni controllate; ciò richiederebbe l’uniformità nella tenuta di libri contabili e di documenti e l’applicazione di correzioni nell’ambito delle prassi in materia contabile e valutaria. Oltre a ciò, quando il metodo di ripartizione degli utili delle transazioni viene applicato agli utili di gestione, può essere difficile identificare le spese di esercizio adeguate collegate alle transazioni e ripartire i costi tra le transazioni e le altre attività delle imprese associate;

(e) già la stessa circolare 42/IIDD/1981 precisava che l’adeguatezza di un metodo si valuta caso per caso (conf.: OECD, Guidelines, 1995) e, inoltre, il metodo TPSM è valorizzato nella circolare 58/E/2010;

(f) il D.M. 14 maggio 2018 del Ministero dell’Economia e delle Finanze (“Linee guida per l’applicazione delle disposizioni previste dall’art. 110, comma 7, del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di prezzi di trasferimento.”) pone i sei metodi più diffusi sullo stesso piano, però indica la preferenza per il tradizionale metodo CUP (comparable uncontrolled price) in caso di pari affidabilità concreta dei vari metodi;

(g) secondo l’OCSE: “La selezione di un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento si pone sempre l’obiettivo di trovare il metodo più appropriato ad un particolare caso. A questo scopo, nel processo di selezione andrebbero presi in considerazione: i rispettivi vantaggi e svantaggi dei metodi riconosciuti dall’OCSE; la coerenza del metodo considerato con la natura della transazione controllata, determinata in particolar modo attraverso l’analisi funzionale; la disponibilità di informazioni affidabili (in particolar modo sugli elementi comparabili indipendenti) necessaria all’applicazione del metodo selezionato e/o degli altri metodi; il grado di comparabilità tra transazioni controllate e transazioni tra imprese indipendenti, compresa l’affidabilità degli aggiustamenti di comparabilità che siano necessari per eliminare le differenze significative tra di loro”;

5.2. nel 2019 l’organo Eu Joint Transfer Pricing Forum (JTPF), istituito dalla Commissione Europea, ha pubblicato il documento “The application of the profit split method within the EU” per rispondere a due quesiti: quando usare tale metodo (cioè in quali circostanze può essere considerato il metodo più appropriato) e come utilizzarlo per ripartire il profitto. Il documento parte dalla seguente considerazione (pag. 2): “The OECD guidelines of 1995 referred to the PSM as a method of “last resort”, to be used when other methods could not be reliably applied (para. 3.50). Yet, since the revision of the OECD Guidelines in 2010, the PSM is considered a pricing method to be applied in an equally reliable manner as the other methods in accordance with the “most appropriate method” criterion. ” (n.d.r.: Le linee guida dell’OCSE del 1995 si riferivano al PSM come un metodo di “ultima risorsa”, da utilizzare quando altri metodi non potevano essere applicati in modo affidabile (paragrafo 3.50). Tuttavia, dalla revisione delle linee guida dell’OCSE nel 2010, il PSM è considerato un metodo di determinazione dei prezzi da applicare in modo altrettanto affidabile rispetto agli altri metodi in conformità del criterio del “metodo più appropriato”.);

aggiunge (Section 3 Use of the profit split method, pag. 5): “The PSM, likeany other transfer pricing method, should be chosen as the most appropriate method only after the accurate delineation of the transaction including the functional analysis. In addition, the PSM must be appropriate for the particular circumstances that it is aimed to be applied to. The OECD Guidelines on the use of the PSM list the following indicators for determining whether the PSM may be considered the most appropriate transfer pricing method in a specific set of circumstances:

– the existence of a unique and valuable contribution by each party to the controlled transaction and/or

– a high level of integration regarding business transactions to which the transaction relates and/or

– The shared assumptions of economically significant risks or separate assumption of economically closely related risks by the parties to the transaction;

(n.d.r.: “Il PSM, come ogni altro metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento, dovrebbe essere scelto come metodo più appropriato solo dopo l’accurata delimitazione della transazione, compresa l’analisi funzionale. Inoltre, il PSM deve essere appropriato per le circostanze particolari alle quali è destinato ad essere applicato. Le linee guida dell’OCSE sull’uso del PSM elencano i seguenti indicatori per determinare se il PSM può essere considerato il metodo di prezzo di trasferimento più appropriato in una specifica serie di circostanze:

– l’esistenza di un contributo unico e importante da ciascuna parte alla transazione controllata e/o

– un elevato livello di integrazione per quanto riguarda le transazioni commerciali a cui si riferisce là transazione e/o

– le assunzioni condivise di rischi economicamente significativi o l’assunzione separata di rischi strettamente correlati, sul piano economico, tra le parti della transazione;”);

precisa (3.1. Unique and valuable contributions, pag. 6) “The OECD Guidelines mention that contributions are unique and valuable when they are not comparable to contributions made by uncontrolled parties in comparable circumstances and they represent a key source of actual or potential economic benefits.”; (n.d.r.: “Le linee guida dell’OCSE menzionano che i contributi sono unici e importanti quando non sono comparabili ai contributi forniti da parti non controllate in circostanze comparabili e rappresentano una fonte chiave di benefici economici effettivi o potenziali.”);

chiarisce (Section 4 How to split the profit, pag. 13): “The splitting factors are grouped in the following broad categories: A. People-based factors, B. Sales/volume based factors, C. Asset-based factors, D. Cost-based factors, E. Other factors” (n.d.r.: “I fattori di ripartizione sono raggruppati nelle seguenti grandi categorie: A. Fattori basati sulle persone, B. Fattori basati sul volume delle vendite, C. Fattori basati sulle attività, D. Fattori basati sui costi, E. Altri fattori.)”;

riguardo al punto sub (D) afferma (pag. 15): “The cost-based splitting factors are often used in the joint performance of the value creating activities. The contribution in the form of a value creating activity is then reflected on the costs borne in the performance of that activity.” (n.d.r.: “I fattori di ripartizione basati sui costi sono spesso utilizzati nell’esecuzione congiunta delle attività di creazione di valore aggiunto. Il contributo sotto forma di attività di creazione di valore aggiunto si riflette quindi sui costi sostenuti per lo svolgimento di tale attività.”);

5.3. come ha notato la dottrina, quanto precede significa che, tra le varie chiavi di allocazione, le OECD Guidelines prevedono espressamente che le cost-based allocation keys sono utilizzabili quando è possibile procedere all’identificazione di una forte correlazione tra i costi sostenuti e il valore aggiunto creato nel corso delle transazioni in analisi. Tuttavia, le allocation keys risultano sensibili alla classificazione contabile dei costi e all’esistenza di eventuali differenze (i.e.: high labour-cost country vs. low labour-cost country);

l’allocazione dei costi infragruppo non è irrilevante ai fini dell’affidabilità in concreto del PSM. Si mette in risalto, in proposito, che le allocation keys selezionate dovrebbero essere “compliant” (n.d.r.: conformi) per

affidabilità dei risultati (OECD, Revision of Chapters of the Transfer Pricing Guidelines, Parigi, 2010, p. 2.116). In sostanza, riguardo ai costi: “Le allocation keys. consentono (…) di cogliere il rationale economico della suddivisione degli utili in gruppi multinazionali integrati verticalmente in (, relazione al capitale utilizzato. La relazione economica fondamentale è quella esistente tra operating profit e capital employed. La corretta strutturazione di tale relazione economica (i.e., tra operating profit e capita) employed) nell’ambito dell’applicazione del TPSM si rileva coerente con l’arm’s length principle.”;

5.4. svolta questa premessa giuridica, tornando ai motivi del ricorso, la Commissione tributaria regionale, dato atto che la contestazione era costruita come un’ipotesi di elusione fiscale (cfr. pag. 6 della sentenza) aspetto, questo, che, per la succitata giurisprudenza di questa Corte (Cass. nn. 898/2019, 16948/2019), non costituisce il fulcro della disciplina del transfer pricing che, diversamente da quanto afferma la CTR, è finalizzata a prevenire il rischio di un’indebita ripartizione dell’imponibile tra società multinazionali associate – con valutazione in fatto, sindacabile in questa sede dal punto di vista della sua intrinseca coerenza logico-giuridica (vedi infra), ha negato che l’ufficio (gravato del relativo onere probatorio) abbia dimostrato la “violazione del valore normale” dei prezzi di trasferimento applicati (cfr. pag. 7 della sentenza), vale a dire che la ripartizione degli utili (o profitti) tra le imprese associate violasse il principio di libera concorrenza, discostandosi dal risultato economico che le diverse compagini avrebbero tratto dalle descritte transazioni (correlate alla gestione dell’oleodotto) agendo come soggetti indipendenti operanti sul libero mercato;

in particolare, la Commissione regionale ha ritenuto legittimo e corretto l’utilizzo del metodo di ripartizione degli utili delle transazioni, il quale, come dianzi accennato, è previsto anche dalle Linee Guida dell’OCSE, e, per converso, ha negato che i correttivi adottati dall’Amministrazione fiscale, consistenti nel riconoscimento della rilevanza della diversa incidenza (nei bilanci delle imprese associate) dei costi di manutenzione dell’oleodotto, poggiassero su “elementi ben precisi e non opzionali”, capaci di rendere il “valore normale” più coerente e più vicino alla realtà;

il giudice di appello, in sostanza, evocando i principi di diritto che presidiano la disciplina del transfer pricing, ha stabilito che la (contestata) ripartizione degli utili tra le imprese associate era avvenuta sulla base di un fondamento economicamente valido e che, invece, tutti gli elementi allegati dall’Agenzia, nessuno escluso (compreso quindi l’aspetto della diversa incidenza dei costi di manutenzione, ripetutamente menzionati nella pronuncia d’appello), erano inidonei a fornire la prova del contrario, ossia a dimostrare che il riparto degli utili nelle transazioni tra le imprese collegate non era conforme al “valore normale”;

l’enunciato della Commissione regionale non è condivisibile in quanto, in sostanza, non si è tenuto conto della forte asimmetria dei costi infragruppo, denunciata dal fisco fin dalla fase amministrativa, laddove, come dianzi accennato (cfr. p. 5.3.), la disomogenea allocazione dei costi tra le società correlate è un classico campanello d’allarme della possibile inaffidabilità, in concreto, del PSM;

ciò significa che è rimasto senza risposta il quesito, rivolto alla CTR, se la notevole asimmetria dei costi infragruppo fosse compatibile con il metodo di ripartizione dei ricavi prescelto, e cioè se, nel caso concreto, fosse stata superata la prova di resistenza/affidabilità del Transactional profit split method, il che rileva sia quale falsa applicazione dell’art. 110, t.u.i.r., come integrato e mediato da OECD Guidelines, che quale vizio del complessivo impianto argomentativo della sentenza;

6. il terzo e il quarto motivo sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo e secondo motivo;

7. ne consegue che, accolti il primo e il secondo motivo, assorbiti il terzo e il quarto, la sentenza è cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo e il secondo motivo, dichiara assorbiti il terzo e il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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