Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11837 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 12/05/2017, (ud. 29/03/2017, dep.12/05/2017),  n. 11837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16878-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2343/2014 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 10/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/03/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RILEVATO

che il ricorso dell’Agenzia delle Entrate concerne la controversia relativa al preteso rimborso delle ritenute operate nel momento in cui il fondo di previdenza aziendale, denominato prima PIA e poi (OMISSIS), aveva corrisposto (nel novembre 2000) a M.B., a seguito della cessazione del rapporto di lavoro come dirigente dell’ENEL, la rendita relativa alla pensione integrativa aziendale, in forza di accordo collettivo, avendo il sostituto d’imposta operato le ritenute fiscali alla stregua del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16 e 17, ed applicato, dunque, la medesima aliquota applicata al TFR;

che l’Agenzia delle Entrate, soccombente in primo grado, appellava la decisione e la CTR della Campania, nel respingere il gravame, riconosceva agli eredi dell’ex dirigente dell’ENEL, G.E. e M.A., il diritto al rimborso della maggiore IRPEF versata dal sostituto d’imposta, essendo il dante causa iscritto al Fondo in data anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, comma 9, e non trovando applicazione il nuovo regime fiscale da tale ultima disposizione introdotto, alla luce di quanto disposto dal D.L. n. 669 del 1996, art. 1, convertito nella L. n. 30 del 1997, bensì il previgente, e più favorevole, trattamento di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, con l’aliquota del 12,5%;

che, su ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la sentenza n. 3785/2013 di questa Corte cassava la decisione di secondo grado e disponeva il rinvio della causa ad altra sezione della CTR, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, rilevando che essa non è in linea con il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13642/2011;

che il Giudice di rinvio respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate e condannava l’Amministrazione finanziaria alla restituzione delle somme indebitamente percepite, come da prospetti contabili allegati al ricorso del contribuente, con integrale compensazione delle spese di lite, attesa l’applicabilità del più favorevole meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, basato sull’aliquota del 12,50%, secondo la richiamata pronuncia delle Sezioni Unite;

che gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che l’Agenzia delle Entrate deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 62, giacchè la decisione della CTR risulta sorretta da una motivazione puramente apparente, dalla quale non è dato ricavare la ratio decidendi, perchè non distingue, come richiesto dalla pur richiamata sentenza n. 13642/2011 dalle Sezioni Unite, tra il trattamento impositivo del “capitale” e quello del “rendimento”, sul presupposto, tutto da dimostrare, che il rapporto previdenziale prevedeva l’attribuzione di una quota individuale soggetta ad incrementi in seguito alle variazioni del valore del Fondo sui mercati di riferimento;

che con il secondo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 384 c.p.c., comma 2, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, giacchè la CTR non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, la quale aveva demandato al giudice di rinvio di distinguere il “capitale” dal “rendimento”, quest’ultimo da individuarsi nel “rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato”;

che, con il terzo motivo di ricorso, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, comma 9, e D.L. 669 del 1996, art. 1, comma 5, conv. nella L. n. 30 del 1997, nonchè del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16, 17 e 42, (vecchia numerazione), e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, giacchè la CTR ha erroneamente applicato l’aliquota del 12,50% sulla differenza tra il capitale erogato ed i contributi versati, maggiorati della dotazione iniziale del Fondo, mentre reddito di capitale è il solo rendimento di polizza, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità;

che, con il quarto motivo di ricorso, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa dell’art. 2697 c.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, giacchè spettava al contribuente che invoca il diritto a ripetere la maggiore imposta versata, fornire la prova del fondamento della pretesa azionata;

che, con il quinto motivo di ricorso, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, omesso esame di fatti controversi e decisivi della causa, oggetto di discussione tra le parti, avendo l’Amministrazione finanziaria sostenuto l’applicazione dell’aliquota nella misura del 12,50% limitatamente alla quota che, in base a specifica certificazione rilasciata dal Fondo, risultasse essere costituita dal “rendimento netto”, inteso non come quota meramente residuale rispetto a quella dei contributi, ma come somma “imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato”, sotto il profilo fiscale assimilabile ai redditi da capitale;

che i suesposti motivi di ricorso, scrutinabili congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono fondati nei termini di seguito precisati;

che, invero, la controversia in oggetto deve essere definita sulla base del principio di diritto – dibadito inter partes con la sentenza n. 3785/2015 della Corte che ha disposto il giudizio di rinvio – secondo cui “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di Previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 TUIR, solo per quanto riguarda la sorte capitale, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento (per tale dovendosi intendere, in base a quanto precisato nella motivazione della medesima decisione, il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato), si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 TUIR” (Cass. SS.UU. n. 13642/2011);

che la Corte ha avuto modo di precisare che “per rendimento del capitale deve intendersi il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato “, la cui quantificazione deve essere compiuta dal giudice di merito sulla base di “una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta”, operando “l’accertamento della natura e quantità del rendimento che sarebbe stato erogato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,5%” (Cass. n. 29583/2011; n. 17682/2014; n. 1977/2015);

che, alla stregua di tale principio, cui il Collegio intende dare continuità – non apparendo condivisibile l’orientamento espresso da isolate pronunce (Cass. n. 11941/2016; n. 15827/2016) le quali non tengono conto dei differenti sistemi gestionali (di tipo assicurativo o di tipo finanziario) impiegati nel tempo per incrementare il patrimonio del fondo – il meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 (aliquota del 12,50% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo) si applica a coloro che siano iscritti al fondo di previdenza complementare aziendale (OMISSIS)/PIA da epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, sulle somme percepite a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, limitatamente agli importi maturati entro il 31/12/2000 che provengano dalla liquidazione del rendimento finanziario del capitale, per tale intendendosi, come espressamente precisato nella parte motiva della citata sentenza delle Sezioni Unite (ultima parte del penultimo periodo del paragrafo 6.1), il “rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato;

che la C.T.R. non si pone nel solco del richiamato principio avendo ritenuto applicabile sic et simpliciter l’aliquota del 12,50% sulla differenza tra il capitale erogato ed i premi riscossi, ridotto del 2% per ogni anno successivo al decimo, senza compiere alcun motivato accertamento sulla natura e, soprattutto, quantità del “rendimento” che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente, punto di fatto rilevante ai fini della decisione;

che, infatti, la CTR ha operato tale contestata quantificazione sulla base di una non comprensibile analisi dei meccanismi di funzionamento del fondo (OMISSIS)/PIA e si è limitata a recepire acriticamente il contenuto degli “allegati prospetti” di parte, dei quali non si specificano, nè si giustificano, i criteri di formazione, senza spiegare le ragioni che dimostrerebbero che l’importo indicato in sentenza è effettivamente soggetto all’aliquota del 12,50 %, considerato che il contribuente che pretende un rimborso riveste la qualità di attore in senso sostanziale e grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato con la domanda;

che, in conclusione, la sentenza va cassata ed il giudice del rinvio, designato nella medesima CTR, procederà al riesame della controversia, adeguandosi ai richiamati principio di diritto, e deciderà nel merito, nonchè sulle spese del giudizio di cassazione;

che non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia ad alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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