Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11835 del 09/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 09/06/2016, (ud. 03/12/2015, dep. 09/06/2016), n.11835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26026-2014 proposto da:

T.F., G.A., M.S., B.

G., F.V., MO.GI., C.

G., G.E., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE MAZZINI 114/B, presso lo studio dell’avvocato GIOVAMBATTISTA

FERRIOLO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FERDINANDO EMILIO ABBATE, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 480/2014 DELLA CORTE D’APPELLO di PERUGIA del

18/11/2013, depositato il 10/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato ROSA RANIERI, per delega verbale, L. n. 247 del

2012, art. ex art. 14 dell’avv.to ABBATE FERDINANDO EMILIO, difensore

del ricorrente, che si riporta ai motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.G., D.R., F.V., Mo.

G., C.G., T.F., G. E., M.S., A.F.E., G. A., con separati ricorsi depositati il 23 ottobre 2010 e il 18 aprile 2011, proponevano domanda ai sensi della L. n. 89 del 2001 per ottenere l’equa riparazione del danno sofferto a causa della durata non ragionevole di una medesima controversia di lavoro, svoltasi dinanzi al Tribunale di Viterbo e alla Corte di Appello di Roma al fine di ottenere da parte della Soc. Trenitalia spa., il pagamento di importi ritenuti loro dovuti, a titolo di mancata corresponsione di maggiorazione dell’indennità di utilizzazione. La causa, iniziata il 28 dicembre 2001 previa riunione di diversi ricorsi veniva decisa dal Tribunale del lavoro di Viterbo con sentenza n. 270/2005 depositata il 18 aprile 2005 con la quale veniva dichiarata l’inammissibilità e dalla Corte di appello con sentenza depositata in ottobre 2009, con la quale veniva rigettata integralmente l’impugnazione.

La controversia si era protratta quasi otto anni per due gradi di giudizio.

Si costituiva il Ministero della Giustizia, eccependo in via preliminare l’irricevibilità della domanda e richiamava le modifiche apportate dal protocollo n. 14 inserito nel testo novellato dell’art. 35 della Convenzione dei diritti dell’Uomo.

La Corte di appello di con decreto n. 480 del 2014, dopo aver richiamato i criteri nonchè i principi espressi, in materia, dalla CEDUI e dalla Corte di cassazione, accoglieva parzialmente la domanda, condannando l’Amministrazione resistente al pagamento della somma di Euro 1.690 in favore dei sigg. B., F., Mo., C., T., G.E. e M., ed Euro 1.350 ciascuno per gli avv.ti A. e Gi.

in proprio, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè alle spese del giudizio. Secondo la Corte distrettuale, dal tempo di durata del processo presupposto di circa sette anni e dieci mesi andava detratto l’intervallo lasciato decorrere dall’opponente prima di impugnare le sentenze di primo grado, sicchè l’eccedenza imputabile alla disfunzione organizzativa del sistema giudiziario italiano era di circa due anni e tre mesi per i lavoratori ricorrenti e di circa un anno e nove mesi per gli avvocati Gi. e A.. Con riferimento alla liquidazione delle spese, la Corte distrettuale osservava che gli attori, pur deducendo l’eccessiva durata del medesimo processo presupposto, avevano proposto distinti ricorsi, con il patrocinio dello stesso difensore, dando luogo ad un’ipotesi di abuso del processo e, pertanto, le spese andavano liquidate come se il processo fosse unico.

La cassazione di questo decreto è stata chiesta da B.G., F.V., Mo.Gi., C.G., T.F., G.E., M.S., A. F.E., Gi.An., con ricorso affidato a due motivi. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo di ricorso B.G., F. V., Mo.Gi., C.G., T. Franco, G.E., M.S., A.F. E., Gi.An., lamentano la violazione e/o falsa applicazione di legge, artt. 2, 24 e 111 Cost., artt. 88 e 91 c.p.c., L. n. 89 del 201 ingiusto rilievo di ipotesi di abuso del processo.

Secondo i ricorrenti, la Corte perugina nel ravvisare un’ipotesi di abuso del processo non avrebbe tenuto conto che i diversi ricorsi di equa riparazione aventi lo stesso giudizio presupposto sono stati proposti in tempi diversi. Infatti, come riconoscerebbe lo stesso decreto qui impugnato, il ricorso del sig. B. è stato depositato nell’ottobre 2010, altri due sono stati depositati ben quattro mesi dopo e gli altri ad intervalli di circa una settimana.

1.1.= Il motivo è infondato.

Giova premettere, quanto alla vicenda del processo presupposto, che i ricorrenti sono stati parti di una medesima procedura iniziata nel dicembre 2001 avanti il Tribunale del Lavoro di Viterbo, avendo proposto un’identica domanda concernente il pagamento di importi ritenuti loro dovuti, a titolo di mancata corresponsione di maggiorazione dell’indennità di utilizzazione.

– Ciononostante, pur essendo la domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata di tale procedura basata sullo stesso presupposto giuridico e fattuale, hanno proposto in uno stretto arco temporale distinti ricorsi alla Corte d’appello competente con il patrocinio del medesimo difensore. Tale condotta deve ritenersi configurare un abuso del processo, dato che è priva di alcuna apprezzabile motivazione e incongrua rispetto alla rilevata modalità di gestione, sostanzialmente unitaria, delle comuni pretese, contrasta, innanzitutto, con l’inderogabile dovere di solidarietà sociale, che osta all’esercizio di un diritto, con modalità tali da arrecare un danno ad altri soggetti, che non sia inevitabile conseguenza di un interesse degno di tutela dell’agente, danno che nella fattispecie graverebbe sullo Stato debitore a causa dell’aumento degli oneri processuali: ma contrasta, altresì, e, soprattutto, con il principio costituzionalizzato del giusto processo inteso come processo di ragionevole durata (SS.UU. n. 23726/07, sopra citata), posto che la proliferazione oggettivamente non necessaria dei procedimenti incide negativamente sull’organizzazione giudiziaria a causa dell’inflazione delle attività che comporta, con la conseguenza di un generale allungamento dei tempi processuali.

Pertanto, al riscontrato abuso dello strumento processuale, correttamente, la Corte distrettuale, al fine di eliminare per quanto possibile gli effetti distorsivi dell’abuso, ha liquidato le spese giudiziali come se il procedimento fosse stato unico fin dall’origine.

2= Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione di legge, art. 91 c.p.c., art. 2233 c.c., comma 2, liquidazione compensi ex D.M. n. 140 del 2012. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale non avrebbe applicato correttamente i criteri stabiliti dal D.M. n. 140 del 2012 dato che, dovendosi applicare al caso in esame le tariffe previste dalla tabella A del D.M. n. 140 del 2012 per causa di valore inferiore ad Euro 25.000,00; In considerazione di dette tariffe, il compenso sarebbe risultato corrispondente ad Euro 1.128,00 e se ridotto del 50% ai sensi del D.M. n. 140 del 2013, art. 9 l’importo minimo sarebbe stato di Euro 564,00, in luogo di Euro 250,00, liquidati a titolo di compensi e posti a carico dell’Amministrazione.

2.1.= Il motivo è fondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass. n. 8158 del 2003; Cass. n. 21325 del 2005; Cass. n. 1763 del 2006; Cass. n. 2254 del 2007), il giudice, nel liquidare le spese processuali (anche in mancanza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, peraltro nella specie depositata e riprodotta in ricorso), deve indicare il sistema di liquidazione adottato e la tariffa professionale applicabile, è tenuto al rispetto dell’inderogabile limite minimo degli onorar e dei diritti stabilito dalla tariffa professionale forense in relazione al valore della causa e non può limitarsi ad una globale determinazione di tali compensi, senza dare contestuale adeguata motivazione della eliminazione e/o della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire il sindacato di legittimità circa la conformità della liquidazione a quanto stabilito da detta tariffa ed a quanto risultante dagli atti di causa.

Nella specie, la Corte d’Appello di Perugia nel determinare l’entità del compenso, pur facendo generico riferimento al D.M. n. 140 del 2012, non ha specificato il sistema di liquidazione adottato nè la tariffa professionale applicabile alla controversia; inoltre, pur non precisandolo espressamente, ha presumibilmente applicato a detta controversia, per la liquidazione degli onorari e dei diritti, la tabella A, per le cause innanzi alla Corte di appello, Organi di giustizia tributaria di secondo grado, Organi di giustizia amministrativa e contabile di primo grado, nello scaglione di valore fino ad Euro 25.000,00, conseguentemente è incorsa nella violazione del principio della inderogabilità degli onorari minimi e dei diritti stabiliti nella predetta tariffa per i procedimenti di natura contenziosa, non avendo la corte di merito fatto alcun riferimento all’abrogazione dei minimi tariffari per effetto del D.L. n. 1 del 2012, art. 9 e del D.M. n. 140 del 2012.

Conclusivamente, va accolto il secondo motivo del ricorso e rigettato il primo, conseguentemente, il decreto impugnato va cassato limitatamente al capo relativo alle spese del giudizio. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con liquidazione delle spese del giudizio di merito, sulla base della nota spese prodotta dalla parte, ed operata la riduzione del 50% degli onorari, normativamente affermata dal D.M. n. 140 del 2012, il quale, appunto, all’art. 9 prevede che i compensi spettanti ai difensori, con riferimento alle controversie di cui alla L. n. 89 del 2001, siano ridotti della metà, in Euro 564,00, oltre alle spese forfettarie e agli accessori di legge; il Ministero della giustizia deve quindi essere condannato al pagamento della predetta somma in favore dei ricorrenti. Le spese del giudizio di legittimità, considerato l’esito del giudizio, vanno compensate per la metà e poste a carico del Ministero della giustizia la restante parte che viene liquidata con il dispositivo. Le spese del presente giudizio vanno distratte a favore degli avvocati Giovanbattista Ferriolo e Ferdinando Emilio i quali si sono dichiarati antistatari.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio di merito che liquida in Euro 564,00, compensa per metà le spese del presente giudizio che liquida per l’intero in Euro 500,00 e pone a carico l’altra metà a carico dello stesso Ministero della Giustizia dispone la distazione in favore dei difensori antistatari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, sott. Seconda, della Corte di cassazione, il 3 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2016

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