Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11832 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. II, 27/05/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 27/05/2011), n.11832

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A.S. FIACCHINI Giancarlo & C, in persona del legale

rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura in calce al

ricorso, dagli Avv. Vescio Ugo e Tommaso Arachi, elettivamente

domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma, via Monserrato, n.

34;

– ricorrente –

contro

N.B.M. e N.L., nella qualità di eredi di

B.F., rappresentati e difesi, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Giovannelli Giovanni,

elettivamente domiciliati nello studio dell’Avv. Giammaria Camici in

Roma, via Monte Zebio, n. 30;

– controricorrenti –

e contro

G.D., G.C. e S.R.L. ALEANNA, in persona del

legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

e sul ricorso proposto da:

N.B.M. e N.L., nella qualità di eredi di

B.F., rappresentati e difesi, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Giovannelli Giovanni,

elettivamente domiciliati nello studio dell’Avv. Giammaria Camici in

Roma, via Monte Zebio, n. 30;

– ricorrenti in via incidentale –

contro

S.A.S. FIACCHINI Giancarlo & C, in persona del legale

rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura in calce al

ricorso, dagli Avv. Ugo Vescio e Tommaso Arachi, elettivamente

domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma, via Monserrato, n.

34;

– controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

G.D., G.C. e S.R.L. ALEANNA, in persona del

legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 232

depositata il 28 gennaio 2005;

Udita, la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 6

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Giammaria Camici;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale, assorbito l’incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Il Tribunale di Pistoia, con sentenza in data 11 luglio 2002, ha respinto la domanda proposta dalla s.a.s. Fiacchini Giancarlo & C. nei confronti di G.D. e G.C. (suoi danti causa), di B.F. (asserita comproprietaria del fondo) e della s.r.l. Aleanna (cui la B. aveva promesso di trasferire l’intera proprietà del fondo), domanda con la quale l’attrice aveva chiesto accertarsi il suo diritto di comproprietà, negato dalla B., sulla corte rappresentata al NCT del Comune di (OMISSIS) dalla partita 277 del foglio 18.

Il Tribunale ha ritenuto, alla stregua della disposta c.t.u., che la corte in questione era stata oggetto di una serie continua di trasferimenti a partire dal 1937 e fino al 1963 (data, quest’ultima, della morte del dante causa della B.), sicchè doveva considerarsi di esclusiva proprietà di quest’ultima, che l’aveva acquistata mortis causa.

Il Tribunale ha rigettato la domanda riconvenzionale, avanzata dal G. e dalla G.C., di usucapione, per la mancata dimostrazione dell’animus rem ibi habendi.

Infine il Tribunale, decidendo sulla domanda di evizione formulata dall’attrice (per l’ipotesi, verificatasi, del rigetto di quella di accertamento della comproprietà della corte), l’ha respinta per difetto di prova, non essendo stata dimostrata l’entità dei danni subiti.

2. – La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 232 del 28 gennaio 2005, ha dichiarato acquistata per usucapione dal G. e dalla G.C. la comproprietà della corte, compensando tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

2.1. – La Corte di Firenze ha ritenuto fondata la domanda di usucapione abbreviata ex art. 1159 cod. civ., sussistendone tutti i presupposti: la buona fede degli acquirenti (non contestata dalla B. poichè si presume, ex art. 1147 cod. civ., la non consapevolezza dei medesimi che, acquistando, avrebbero leso il diritto della proprietaria); il titolo – l’atto di vendita del 15 novembre 1977, trascritto il 16 successivo – idoneo al trasferimento della proprietà; il possesso continuato, pacifico ed ininterrotto per dieci anni (la vendita a favore della soc. Fiacchini risale al 15 luglio 1988). A proposito di quest’ultimo elemento, la Corte territoriale ha sottolineato che le prove raccolte evidenziano che la corte in questione è stata continuativamente utilizzata come rimessaggio di autoveicoli anche dai G. – G.C..

Dichiarata acquisita dai G. – G.C., per usucapione, la comproprietà della citata part. 277 del foglio 18, la Corte d’appello ha rilevato che, poichè il loro titolo di acquisto non indica la quota ideale di comproprietà, “non si può attribuire ai medesimi una quota numerica (come preteso dalla soc. Fiacchini nella sua domanda di accertamento), dovendosi rimettere alla successiva volontà delle odierne parti e di altri eventuali aventi diritto ogni decisione circa la ripartizione in quote (millesimali) del bene comune”.

La Corte territoriale ha rigettato il primo motivo di appello principale della soc. Fiacchini, sulla base del seguente ragionamento: “in tema di accertamento della proprietà, l’attore è onerato di dimostrare che il bene gli è pervenuto in forza di una serie continua di trasferimenti giungendo, a ritroso, fino ad un acquisto a titolo originario ovvero che la detta serie di trapassi si è protratta per il tempo necessario all’usucapione: nella specie, invece, mancano entrambe le condizioni”.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso in via principale la s.a.s. Fiacchini, sulla base di quattro motivi.

Mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva, hanno resistito, con controricorso, N.B.M. e L. N., nella qualità di eredi di B.F., proponendo, a loro volta, ricorso incidentale, affidato a tre motivi.

Al ricorso incidentale ha resistito, con controricorso, la s.a.s.

Fiacchini.

I controricorrenti e ricorrenti incidentali hanno depositato una memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni riferite alla stessa sentenza.

2. – In ordine logico, è preliminare l’esame dei primi due motivi del ricorso incidentale.

Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1159 e 1061 cod. civ.), i N. sostengono che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto provato l’acquisto per usucapione della comproprietà della corte da parte dei coniugi G. – G. C.. Le dichiarazioni dei testi non sarebbero sufficienti a provare l’esistenza di un animus rem sibi habendi. Anche a ritenere effettivamente esercitato il passaggio ed il posteggio dell’auto, esso non sarebbe, in ogni caso, sufficiente a rendere comproprietario il soggetto che ne usufruisce, corrispondendo, caso mai, tale comportamento all’esercizio di una semplice servitù di passaggio, tanto più che i coniugi G. – G.C. mai hanno adempiuto agli obblighi fiscali che conseguono alla (con)titolarità del diritto di proprietà. Inoltre la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto delle testimonianze ( Ma., Gi.) che hanno riferito dell’apposizione, da parte dei legittimi proprietari, di una catena con il lucchetto, per la durata di circa un anno, apposizione che, in quanto tale, ha determinato una interruzione dell’eventuale possesso ad immagine del diritto di servitù di passaggio e/o di uso. Infine, anche a ritenere sussistenti gli estremi dell’esercizio di una servitù di passo, gli stessi non sarebbero sufficienti ai fini della dichiarazione di usucapione, non essendovi i segni apparenti richiesti dall’art. 1061 c.c., comma 2.

Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1118 cod. civ.) i ricorrenti in via incidentale sostengono che non possa riconoscersi, in capo ai G. – G.C., alcun diritto di comproprietà sulla corte in questione, essendo questa di proprietà esclusiva della B. e, per essa, dei suoi eredi. Nè sarebbe possibile accertare il concreto contenuto del preteso diritto, atteso che nel contratto del 15 luglio 1988 si parla genericamente di “annessa quota di comproprietà sulla corte a comune”.

3. – Entrambi i motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente -sono infondati.

Esaminando le prove testimoniali raccolte, la Corte di merito è pervenuta al convincimento – logicamente e congruamente motivato – che il compossesso della corte da parte dei G. – G.C. e, prima ancora, del loro dante causa, I.M., si è esplicato attraverso l’esercizio delle facoltà di godimento tipiche del diritto di comproprietà, comprendenti tutte le forme di utilizzazione del bene, corrispondenti alla sua destinazione, non risultando che vi siano state limitazioni nel godimento imposte dalla B., pretesa unica proprietaria del fondo in questione, nè che vi sia stata una specificazione di percorsi o di spazi obbligati.

In questo quadro, mentre non è decisiva (non essendo di per sè significativa dell’assenza di un animus rem sibi habendi) la circostanza che i G. – G.C. non abbiano provveduto agli obblighi fiscali conseguenti alla (con)titolarità del diritto di proprietà, i motivi di ricorso si risolvono, anche là dove denunciano vizi di violazione di legge, nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie (con riferimento in particolare alle deposizioni testimoniali) che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito.

Le censure articolate dai ricorrenti in via incidentale non tengono conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata. Spetta, infatti, solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Nè per ottemperare all’obbligo della motivazione il giudice è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la motivazione (Cass., Sez. lav., 23 dicembre 2009, n. 27162).

Inoltre, secondo il costante insegnamento di questa Corte (Cass., Sez. Un., 21 dicembre 2009, n. 26825), si ha carenza di motivazione, nella sua duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, soltanto quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza però un’approfondita disamina logica e giuridica, ma non anche nel caso di valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte.

Parimenti, si ha motivazione insufficiente nell’ipotesi di obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice del merito alla formulazione del proprio convincimento ovvero di mancanza di criteri idonei a sorreggere e ad individuare con chiarezza la ratio decidendi, ma non anche quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati (Cass., Sez. lav., 2 febbraio 1996, n. 914).

Nel caso di specie, inoltre, la critica di non avere tenuto conto delle deposizioni dei testi Ma. e Gi. è articolata senza osservare il principio di autosufficienza, mancando la trascrizione di guanto da loro riferito nell’istruttoria dinanzi al giudice del merito.

4. – Passando all’esame dei motivi del ricorso principale, con il primo di essi (violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 1159 cod. civ.) la società Fiacchini lamenta che la Corte territoriale – pur avendo ritenuto che i danti causa G. – G.C. hanno acquistato per usucapione la comproprietà della piazzetta -abbia escluso che essa avente causa ne sia divenuta comproprietaria.

Con il secondo motivo si denuncia la contraddittorietà della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. La sentenza impugnata sarebbe affetta da incongruenza logica, per avere prima riconosciuto l’esistenza del diritto di comproprietà in capo alla dante causa per averlo usucapito, e successivamente negato la sussistenza di quello stesso diritto alla società Fiacchini, che lo ha acquistato per contratto.

5. – I due motivi – che possono essere esaminati unitamente, data la loro stretta connessione – sono fondati.

E’ pacifico che la società Fiacchini ha acquistato per contratto dai G. – G.C. la comproprietà della corte in contestazione.

Avendo accertato l’acquisto a titolo originario della comproprietà del bene da parte dei G. – G.C., la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere la contitolarità del diritto di proprietà anche in capo all’avente causa società Fiacchini, sulla base del principio secondo cui l’onere probatorio gravante sul soggetto che agisce in rivendicazione è assolto con la deduzione e la dimostrazione, da parte sua, dell’acquisto a titolo originario da parte del suo dante causa (tra le tante, Cass., Sez. 2^, 28 gennaio 1995, n. 1044; Cass., Sez. 2^, 13 ottobre 1999, n. 11521; Cass., Sez. 2^, 28 giugno 2000, n. 8798; Cass., Sez. 2^, 5 novembre 2010, n. 22598). In altri termini, l’attrice è risalita, tramite i propri danti causa, ad un acquisto a titolo originario.

6. -Il terzo mezzo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1100 e 1101 cod. civ. La Corte d’appello, statuendo che la determinazione delle quote di proprietà del bene comune è questione che va rimessa alla successiva volontà delle parti e di altri eventuali aventi diritto, non ha considerato che, se il titolo o la legge non dispone diversamente, le quote dei partecipanti alla comunione si presumono eguali.

7. – La censura è fondata.

Ha errato la Corte d’appello a ritenere impossibile attribuire ai G. – G.C. “una quota numerica” di comproprietà sulla corte comune e a considerare necessaria la rimessione di tale ripartizione alla successiva volontà delle parti.

La Corte di Firenze avrebbe dovuto attenersi al principio – tratto dall’art. 1101 cod. civ. – secondo cui in mancanza di diversa disposizione convenzionale, le quote di più soggetti concorrenti nel godimento di un bene o diritto si presumono uguali.

8. – Per effetto dell’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso principale resta assorbito l’esame: del quarto motivo del ricorso principale (con cui si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., lamentando che la sentenza della Corte d’appello abbia omesso di pronunciarsi sulla richiesta, subordinata, di condanna dei coniugi G. – G.C. al risarcimento dei danni subiti dalla società acquirente in conseguenza dell’evizione);

e del terzo motivo del ricorso incidentale (che denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in punto di spese giudiziali compensate in primo grado).

9. – La sentenza impugnata è cassata in relazione alle censure accolte.

La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto, rigetta i primi due motivi dell’incidentale, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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