Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11830 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 18/06/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 18/06/2020), n.11830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6258-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA SCROFA 57 presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE PIZZONIA, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GIANCARLO ZOPPINI, GIUSEPPE RUSSO CORVACE

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PESCHIERA BORROMEO in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA VECCHIA 785, presso

lo studio dell’avvocato VALENTINA ADORNATO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ADRIANA LA ROCCA giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 150/2010 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 20/07/9010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/02/2020 dal Consigliere Dott. MAURA CAPRIOLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

STANISLAO DE MATTEIS che ha concluso per il rigetto dei cinque

motivi di ricorso e inammissibilità del 6;

udito per il ricorrente l’Avvocato TRIMARCHI per delega dell’Avvocato

PIZZONIA che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato GRADARA per delega

dell’Avvocato LA ROCCA che si riporta agli atti.

Fatto

Con sentenza nr 150/2010 la CTR di Milano accoglieva l’appello principale proposto dal Comune di Peschiera Borromeo avverso la sentenza della CTP di Milano con cui era stato parzialmente accolto il ricorso della contribuente Poste Italiane avverso l’avviso di accertamento relativo all’omessa denuncia e omesso versamento Ici per l’anno 2000 in ordine ad una vasta area edificabile di proprietà di quest’ultima.

Rilevava in primo luogo, alla stregua delle risultanze di causa, non sussistente la doppia imposizione.

Osservava in questa prospettiva che l’ente impositore aveva dimostrato di aver emesso per l’anno 2000 due avvisi di accertamento ai fini ICI uno relativo al fabbricato in base alla perizia di stima e l’altro riguardante l’area edificabile in base al valore venale.

Evidenziava che il perito, pur non menzionando tale area, non l’aveva compresa nella stima nè avrebbe potuto comprenderla trattandosi di due entità distinte che ai fini ICI non potevano essere tassate in modo congiunto.

Escludeva poi che tale area potesse considerarsi pertinenza del fabbricato sia perchè centro di smistamento postale e sia perchè l’ente poste aveva manifestato nell’anno 2001 l’intenzione di utilizzare questa zona a scopi edificatori chiedendo la concessione edilizia per l’ampliamento del centro meccanografico.

Sottolineava altresì che non era ravvisabile il difetto di motivazione dell’avviso impugnato in quanto le sigle ritenute incomprensibili era state utilizzate dalla società negli atti presentati in Comune con la domanda di concessione edilizia ed in quanto gli atti,di cui la contribuente lamentava la mancata allegazione, erano documenti presentati dalla stessa società per l’ottenimento dell’autorizzazione ad edificare e della concessione edilizia.

Affermava poi che il valore dell’area era stato determinato applicando la delibera comunale in materia di Ici che teneva conto della situazione ambientale e che non era stata contestata sicchè non era stata dimostrata l’incongruità o l’assenza di valore.

Da ultimo rilevava la correttezza dell’applicazione della sanzione nella misura massima alla luce della condotta- tenuta dalla contribuente la quale non aveva presentato dichiarazioni ICI nè pagato l’imposta producendo perdita di gettito per gli anni passati non più accertabili e dell’entità elevato dell’imponibile evaso. Avverso tale sentenza Poste Italiane propone ricorso per cassazione affidato a 6 motivi cui resiste con controricorso il Comune di Peschiera Borromeo.

Diritto

Con il primo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la doglianza relativa ad un preteso vizio dell’atto impositivo emesso in violazione del principio ne bis in idem.

Sostiene infatti che la CTR sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ponendo a base del suo ragionamento argomentazioni insufficienti e contraddittorie.

Afferma,in particolare, che la duplicazione impositiva sarebbe provata dal fatto che i riferimenti catastali contenuti nell’avviso impugnato relativo all’area edificabile e in quello relativo al c.m.p. sono identici.

Con il secondo motivo Poste Italia s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 817 e 818 c.c., e del D.Lgs. 30dicembre 1992, n. 504, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Critica, in particolare, il passaggio motivazionale con cui la CTR ha escluso la natura pertinenziale dell’area in questione ritenendo che la decisione impugnata si sarebbe posta in palese contrasto con la nozione giuridica di pertinenza quale evincibile dagli artt. 817 e art. 818 c.c..

Sostiene infatti che la corretta interpretazione del combinato disposto delle disposizioni in esame avrebbe condotto a conclusioni diametralmente opposte a quelle cui erano pervenuti i giudici di appello.

Con il terzo motivo la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, lett g), e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Contesta,in particolare, il valore attribuito dal Comune all’area edificabile sostenendo che quest’ultimo non avrebbe tenuto in considerazione alcuni elementi quali la presenza nelle immediate vicinanze dell’area del fiume Lambro,di alcuni pozzi e dell’aeroporto di Linate e la destinazione dell’area al completamento produttivo del c.m.p.

Contestazione che secondo la ricorrente ben potrebbe essere fatta valere avanti al giudice tributario anche a prescindere dalla mancata impugnativa della delibera comunale che in quanto adottata ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, lett g), reca soltanto un metodo di determinazione dei predetti valori senza rappresentare la determinazione normativa della base imponibile ai fini Ici delle aree fabbricabili site nel Comune di Peschiera Borromeo.

Con il quarto motivo denuncia un vizio di carente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituito dalla congruità o meno del valore attribuito all’area in esame.

Sostiene che la sentenza si sarebbe appiattita sulla delibera comunale che aveva fissato il valore al metro quadro delle aree in generale ricadenti in una zona produttiva D1 e ciò malgrado la normativa di riferimento individua dei precisi parametri di valutazione per la determinazione del valore delle aree edificabili evidentemente finalizzati, nell’intenzione del legislatore, ad una valutazione ” particolare” di ciascuna area soggetta a tassazione.

Osserva che sarebbè stati spesi articolati argomenti per sostenere l’incongruità dei valori attribuiti dal Comune all’area de qua rispetto alle caratteristiche specifiche della zona in questione.

Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 472 del 1997, n. 472, artt. 7,16 e 17, e art. 3 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene infatti che la decisione della CTR nel riconoscere la legittimità della sanzione irrogata in quanto ritenuta aderente alla delibera consigliare avrebbe determinato uno spostamento del tutto illegittimo delle competenze proprie dell’ufficio accertatore in capo ad un soggetto assolutamente incompetente per materia.

Da qui la denunciata violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, a norma del quale l’entità della sanzione deve essere rapportata con una serie di elementi che non si conciliano con una determinazione a priori che renderebbe la misura afflittiva priva di motivazione.

Da ultimo la contribuente deduce la motivazione insufficiente in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio vale a dire la sussistenza o meno degli indici di gravità della violazione contestata e quindi dei presupposti per l’irrogazione delle sanzioni nella misura massima del 200% dell’imposta accertata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I primi due motivi che vanno esaminati congiuntamente per l’intima connessione sono inammissibili risolvendosi in una censura di merito relativa all’accertamento dei fatti compiuto sulla base degli elementi probatori acquisiti, accertamento che è insindacabile in sede di legittimità, risultando peraltro la motivazione della sentenza impugnata sul punto non apparente nè manifestamente illogica (cfr. Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

Le argomentazioni fatte valere si risolvono in realtà in una critica ai valori di stima indicati nella sentenza con giudizi e valutazioni che si sovrappongono all’accertamento di fatto compito dalla CTR insindacabile in sede di legittimità se non per vizio motivazionale nei ristretti limiti consentiti.

Come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014), la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionalè del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante,in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e graficò, nella ‘motivazione apparentè, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabilì e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibilè, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienzà della motivazione”.

Si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di

“motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. S.U. n. 22232 del 2016); tali caratteristiche non sono in alcun modo rinvenibili nella sentenza in esame che ha escluso alla stregua della documentazione prodotta, la doppia imposizione trattandosi di due entità distinte che ai fini ICI non possono essere tassate in modo congiunto.

Ha altresì escluso che tale area possa essere considerata edificabile sulla base di due ordini di considerazioni la prima legata alla natura del fabbricato che proprio perchè centro di smistamento postale non richiede una zona edificabile intorno a sè e la seconda legata all’utilizzo dell’area a scopo edificatorio manifestato dalla contribuente attraverso la richiesta di concessione edilizia per l’ampliamento.

Relativamente alle critiche mosse con il terzo e quarto la decisione impugnata è coerente con la previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1A, lett. b), così come interpretata- dal preminente indirizzo giurisprudenziale di legittimità sulla nozione di edificabilità ai fini Ici.

Questa Corte ha affermato (Cass. Sez. Un. 25506/06, Cass. 26462/2017 Cass.11176/10; Cass. 20256/08; Cass. 19131/07 ed altre in termini) che: a) la natura edificabile di un’area (ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale) deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione, e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi (principio fissato – a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2005, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992 cit., art. 2, comma 1A, lett. b); b) il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, nel prevedere che il valore dell’area fabbricabile debba essere costituito da quello venale in comune commercio, fa riferimento all’area complessivamente ed unitariamente interessata dalla modificazione urbanistica, senza che dalla base imponibile così determinata vengano scorporate porzioni di tale area, in ragione della diversa destinazione che esse possano eventualmente avere nell’ambito della realizzazione dell’intero processo edificatorio; c) la ricomprensione nella base imponibile altresì delle aree di urbanizzazione e di intervento c.d. “standard” risponde alla logica secondo cui, ai fini del concreto e proficuo esercizio dello jus aedificandi, è necessario che l’area sia urbanizzata; con la conseguenza che non si può non tenere conto dell’incidenza degli spazi riservati (secondo le prescrizioni dello strumento urbanistico attuativo) ad infrastrutture e servizi di interesse generale, ai quali sono finalizzate le opere di urbanizzazione.

Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, non ricollega il presupposto dell’imposta all’idoneità del bene a produrre reddito ovvero alla sua attitudine ad incrementare il proprio valore o il reddito prodotto, posto che, D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 5, il valore dell’immobile assume rilievo ai soli fini della base imponibile e, quindi, della concreta misura dell’imposta; la diversità di destinazione delle porzioni interne alla suddetta area di intervento complessivamente ed unitariamente considerata è rilevante ma al diverso fine (non della “natura” – edificabile o meno – dell’area, bensì) del “valore venale” ad essa attribuibile secondo i parametri tutti di cui al del cit. D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, (già SSUU 25506/06 cit. ebbero ad affermare che, ferma restando l’edificabilità dell’area “l’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio”).

Da ciò consegue che, al fine di determinare in concreto la base imponibile, la valutazione dell’area medesima deve essere effettuata secondo il criterio del valore commerciale complessivo (non segmentato in ragione del valore attribuibile alle singole parti che la compongono), tenendo ben presenti i differenti livelli di edificabilità di queste ultime.

Quanto alla determinazione del valore, la censura è inammissibile poichè involge questioni di merito in ordine alla ritenuta correttezza del criterio di determinazione del valore delle aree, avendo la CTR motivato sul punto.

In particolare la CTR ha rilevato che il valore era stato determinato applicando la delibera del Consiglio Comunale in materia di Ici che aveva tenuto conto della situazione ambientale dell’area.

La Corte di legittimità ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili, la delibera con cui la giunta municipale provvede, ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52, ad indicare i van tema di imposta comunale sugli immobili, la delibera con cui la giunta municipale provvede, ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52, ad indicare i valori di riferimento delle aree edificabili, come individuati dall’ufficio tecnico comunale. sulla base di informazioni acquisite presso operatori economici della zona, è legittima, costituendo esercizio del potere, riconosciuto al consiglio comunale dalla L. n. 446 cit., art. 59, lett. g), e riassegnato alla giunta dal D.Lgs. n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni dedotte da dati

di comune esperienza, idonei a costituire supporti razionali offerti.

dall’Amministrazione al giudice, ed utilizzabili, quali indici di valutazione, anche retroattivamente (Cass. n. 16620 del 05/07/2017; Cass. n. 15555 del 30/06/2010).

Le censure relative al quinto e sesto motivo che possono essere trattate congiuntamente. non sono fondate.

La CTR motivando adeguatamente sul punto ha rilevato che: “‘applicazione delle sanzioni nella misura massima era corretta ed aderente alla Delib. del consiglio comunale n. 41 del 1998, atteso che la società non ha mai presentato dichiarazione ICI, nè pagato l’imposta producendo perdita di gettito per gli anni passati non più accertabili e stante l’elevato importo evaso”.

Non sembra riscontrabile,come già rilevato da questa Corte con la sentenza nr 13742/2019 resa fra le stesse parti anche se riferita ad altra annualità,nella fattispecie quella giustificabile incertezza circa la portata applicativa delle norme che giustifica, a mente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, la non applicabilità delle sanzioni. Invero dal combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 2, comma 1, lett. b), emerge in modo inequivocabile l’imponibilità a fini ICI delle superfici edificabili, per tali intendendosi le aree utilizzabili a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi. Nella fattispecie, poi, non può essere revocata in dubbio la destinazione del terreno in questione ad opera del vigente P.R.G. Nè può rilevare nel senso della non tassabilità la previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), che ricomprende nella nozione di fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza proprio per l’impossibilità di riconoscere all’area de qua natura di pertinenza…”.

In base alla giurisprudenza di questa Corte (sentenze 28 novembre 2007, n. 24670, e 21 marzo 2008, n. 7765): a) “Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da incertezza normativa oggettiva tributaria, cioè dal risultato equivoco dell’interpretazione delle norme tributarie accertato dal giudice, anche di legittimità”; b) l’incertezza normativa oggettiva tributaria è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito; c) solo in questo senso oggettivo, con esclusione di qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali, l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti; d) l’incertezza normativa oggettiva non è in alcun modo rapportabile, non solo ad un singolo soggetto, cioè ad un soggetto di specie ultima, ma a nessuna classe di soggetti, cioè a nessuna categoria, perchè essa è, invece, rapportabile solo allo stesso ordinamento giuridico cui appartiene la normazione da interpretare: l’incertezza normativa è oggettiva, perchè essa esiste in sè ed è rilevante in sè, in quanto impossibilità di stipulare una convenzione interpretativa delle norme, con la conseguente necessità dell’intervento autoritativo del giudice; e) l’incertezza normativa oggettiva non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria.

La infondatezza della censura relativa all’incertezza normativa oggettiva risulta, invero, dalla totale mancanza dell’indicazione, ad opera della contribuente nel corso del giudizio di merito di qualsiasi fatto al quale far risalire l’incertezza normativa.

La valutazione della congruità della sanzione nella misura massima, così come motivata, si sottrae al sindacato di questa Corte.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Le spese della fase di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri di legge.

P.Q. M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessive Euro 7300,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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