Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1183 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 18/01/2017, (ud. 27/10/2016, dep.18/01/2017),  n. 1183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13347-2014 proposto da:

C.M., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato FILIPPO VITRANO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

T.S., T.F., TE.SE. n.q di eredi

di T.P., domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIUSEPPE BONDI’, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2389/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 20/11/2013 R.G.N. 1614/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato SILVESTRI MATTEO per delega Avvocato SONDI’

GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Palermo rigettava il ricorso proposto da C.M. per ottenere la condanna di T.S., T.F. e Te.Se., quali eredi di T.P., al pagamento della somma a lui dovuta per differenze retributive relative al rapporto di lavoro intercorso con il de cuius, nonchè alla riammissione in servizio ed al risarcimento del danno per essere stato licenziato oralmente.

La decisione del Tribunale era fondata sul rilievo che i resistenti con atto notarile del (OMISSIS) avevano rinunciato all’eredità del loro genitore e che il ricorrente non aveva offerto prova di un’ eventuale accettazione tacita dell’eredità, per cui detta rinuncia potesse ritenersi invalida.

La Corte territoriale con la sentenza n. 2389 del 2013 confermava la decisione del giudice di primo grado, argomentando che la rinuncia all’eredità rappresentava nel caso un fatto extraprocessuale sopravvenuto con potenziali ricadute sull’esito del giudizio, sicchè la relativa deduzione e produzione tardiva (dopo lo svolgimento dell’istruttoria) non era inammissibile, e che la resistenza in giudizio non poteva ritenersi accettazione tacita dell’eredità, considerato che essa rientra tra gli atti di conservazione del patrimonio che il chiamato deve esercitare se intende mantenere lo stato di fatto esistente al momento dell’apertura della successione; riteneva inoltre manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 476 c.c. proposta dal ricorrente per violazione degli artt. 24, 111 e 3 Cost., nella parte in cui consente al chiamato all’eredità di rinunciare all’eredità senza alcun limite, rilevando che tale facoltà non è illimitata, ma soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale previsto per l’accettazione.

Per la cassazione della sentenza C.M. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi; T.S., T.F. e Te.Se. hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Come primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 476 c.c., in combinato disposto con l’art. 416 comma terzo c.p.c.. Lamenta che la Corte territoriale non abbia valorizzato il fatto che le controparti si erano costituite, sia nel giudizio in atto che in altro precedente giudizio, “nella qualità di eredi di T.P.” ed avevano contrastato nel merito la pretesa azionata; sostengono che l’accettazione tacita dell’eredità dovrebbe configurarsi quando la difesa processuale del convenuto in giudizio non espliciti, nell’ambito e nei limiti delle preclusioni di cui all’art. 416 c.p.c., una presa di posizione in ordine allo status di erede o di chiamato all’eredità, come nel caso è avvenuto.

2. Come secondo motivo, deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 416 c.p.c., comma 3 e art. 112 c.p.c. e lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto ammissibile l’esercizio del potere di rinuncia all’eredità e la relativa produzione documentale nel corso del processo, laddove l’eccezione di difetto di legittimazione ad causam non era stata tempestivamente proposta.

3. Come terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 460 c.c. e lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto la difesa in giudizio un atto di conservazione del patrimonio, come tale inidoneo a costituire rinuncia all’eredità, laddove nel giudizio non vi era alcun bene ereditario da tutelare e si trattava di un ordinario giudizio a cognizione piena.

4. I tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della loro connessione.

Essi sono fondati, nel senso di seguito precisato.

4.1. Occorre premettere in fatto che T.S., T.F. e Te.Se., convenuti in giudizio da C.M. in qualità di eredi per un credito di lavoro da questi vantato nei confronti del loro genitore deceduto, hanno resistito in giudizio con memoria di costituzione depositata il 21.9.2007, nella dichiarata “qualità di eredi del fu T.P.” e contestando nel merito le avverse pretese. Nel corso del giudizio di primo grado, dopo che era stata espletata l’istruttoria testimoniale, con atto notarile del (OMISSIS) hanno poi rinunciato all’eredità del loro genitore ed hanno prodotto il relativo atto.

4.2. Costituisce principio pacifico, condiviso anche dalla Corte territoriale, quello secondo la quale affinchè un atto del chiamato all’eredità possa configurare accettazione tacita, è necessario che esso presupponga necessariamente la sua volontà di accettare e che si tratti di atto che egli non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.

4.3. In proposito, questa Corte (Cass. 20/3/1976, n. 1021) ha chiarito che non solo gli atti dispositivi, ma anche gli atti di gestione possono dar luogo all’accettazione tacita dell’eredità, secondo l’accertamento compiuto caso per caso dal giudice di merito, in considerazione della peculiarità di ogni singola fattispecie e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura ed importanza nonchè della finalità degli atti di gestione compiuti dal chiamato. In ogni caso, occorre però che si tratti di atti incompatibili con la volontà di rinunziare e non altrimenti giustificabili se non con la veste di erede, mentre sono privi di rilevanza tutti quegli atti che non denotano in maniera univoca un’effettiva assunzione della qualità di erede, occorrendo accertare se il chiamato si sia mantenuto o meno nei limiti della conservazione e dell’ordinaria amministrazione del patrimonio ereditario, potendosi in linea generale affermare che tutti gli atti previsti dall’art. 460 c.c. (disciplinante i poteri del chiamato prima dell’accettazione, e cioè: compimento di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari; compimento di atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea) non provochino la mutazione delle status da chiamato a erede.

4.4. Sulla base di tali premesse, questa Corte ha ritenuto che il fatto dei chiamati all’eredità che abbiano ricevuto ed accettato la notifica di una citazione o di un ricorso per debiti del de cuius, così come il fatto che essi si siano costituiti eccependo la propria carenza di legittimazione, non possono configurarsi come accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di atti pienamente compatibili con la volontà di non accettare l’eredità (così Cass. Sez. 3, n. 10197 del 03/08/2000).

4.5. Quando però i chiamati si costituiscano in giudizio dichiarando la propria qualità di eredi dell’originario debitore, senza in alcun modo contestare l’effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di titolarità passiva della pretesa, come nel caso è avvenuto, essi compiono un’attività non altrimenti giustificabile se non con la veste di erede, che esorbita dalla mera attività processuale conservativa del patrimonio ereditario, in quanto dichiarata non al fine di paralizzare la pretesa, ma di illustrare la qualità soggettiva nella quale essi intendono paralizzarla.

4.6. Non può obiettarsi che la memoria di costituzione costituisce un atto del difensore, e che se non sottoscritta dalla parte personalmente non può assumere valore di confessione giudiziale (Cass. n. 26686 del 2005), in quanto nel caso non di confessione si tratta, ma di declinazione degli elementi da cui deriva la titolarità passiva del rapporto controverso (v. in proposito Cass. S.U. n. 2951 del 2016), che il difensore esplicita in virtù del mandato ricevuto ed in relazione ai quali nel caso è stata presa posizione in modo specifico sin dalla memoria di costituzione di primo grado.

4.7. L’assunzione in giudizio della qualità di erede costituisce quindi accettazione tacita dell’eredità, che non può essere rimessa in discussione per effetto di un atto successivamente intervenuto e dipendente da una libera scelta dei medesimi interessati, qual è la rinuncia all’eredità.

4.8. La soluzione è coerente con quanto già affermato da questa Corte nella sentenza n. 13384 del 08/06/2007, in cui ha ritenuto configurare accettazione tacita di eredità, inconciliabile con la successiva rinuncia, il fatto del chiamato che era restato contumace in due giudizi di merito concernenti beni del “de cuius” e, nella fase d’appello e informalmente – mediante uno scritto – aveva dichiarato il disinteresse alla lite.

4.9. Come evidenziato anche da Cass. n. 21287 del 14/10/2011 (nel ritenere che la riassunzione del processo dopo il decesso della parte sia validamente effettuata nei confronti di coloro che risultano chiamati all’eredità, se questi non contestino tempestivamente la loro qualità di eredi) l’interpretazione che pone a carico dei chiamati un onere di specificare tempestivamente nel processo la loro posizione in relazione al compendio ereditario è necessitata dall’applicazione dei principi di sollecita definizione del processo e di tutela del diritto di difesa, di cui all’art. 111 Cost., ammettendosi in caso contrario la possibilità di protrarre una situazione di incertezza, addirittura sino al decennio, per il quale dovrebbe essere paralizzata l’iniziativa processuale del creditore del de cuius, o il relativo accertamento giudiziale.

5. Segue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, che dovrà rivalutare la soluzione della lite in applicazione del principio di diritto sopra affermato, e giudicare anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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