Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11828 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. II, 27/05/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 27/05/2011), n.11828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SALARIA 227, presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA

PIERLUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIAMMARIA GIACOMO;

– ricorrente –

contro

D.P.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA S. LIBERIO 21, presso lo studio dell’avvocato ALFONSI

GUIDO, rappresentato e difeso dall’avvocato VENTA ERNESTO FAUSTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 544/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 20/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito l’Avvocato GIAMMARIA Pierluigi, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 2/7/2001 il tribunale di L’Aquila: dichiarava cessata la materia del contendere relativamente alla domanda riconvenzionale di rimozione delle piante di alto fusto non a distanza regolare dal confine formulata da C.R.; rigettava le domande di risarcimento dei danni formulate in via principale e in via riconvenzionale; accoglieva parzialmente la domanda di D.P. R. condannando C.R. a portare solo il fabbricato B – di cui alla planimetria allegata alla c.t.u. per la parte fronteggiante il confine catastale tra le particelle 264 e 262 – alla distanza di m. 3 dal confine e non anche il fabbricato A per il quale riteneva fondata l’eccezione di usucapione per una porzione della particella 262 in favore del C..

Avverso la detta sentenza proponeva appello D.P.R. relativamente al capo concernente il rilascio della porzione di particella 262 per la quale il tribunale aveva riconosciuto in via riconvenzionale maturata l’usucapione in favore del C., nonchè al capo concernente la demolizione del fabbricato A ritenuto, in conseguenza della usucapione, a distanza dal confine.

Il C. resisteva al gravame deducendone l’infondatezza.

Con sentenza 20/6/2005 la corte di appello di L’Aquila in parziale riforma della impugnata decisione: a) condannava il C. al rilascio in favore del D.P. della porzione di terreno di cui alla particella 262 compresa tra il muro di recinzione e il confine tra la detta particella e quella 264; b) condannava il C. a portare il fabbricato A alla distanza di m. 3 dal confine per la parte fronteggiante la particella 264 e per il tratto necessario a raggiungere la indicata distanza dal confine. La corte di appello osservava: che, come si evinceva dalla relazione del c.t.u., D. P.R. era proprietario della particella 262 sita a fianco a quella 265 e C.R. era proprietario della particella 264 prospiciente quella 262, nonchè della particella 503 sita a fianco della 262; che il Collauda aveva realizzato sulla particella 264 un muro di delimitazione della particella 262, all’interno della sua proprietà e quindi al di qua del confine, tranne che nel tratto finale ove aveva occupato una piccola porzione di terreno di proprietà del D.P. in prossimità della zona di confine con la particella 503 di sua proprietà; che sulla particella 264 il C. aveva altresì realizzato due fabbricati indicati dal C.t.u. sotto le lettere A e B a distanza dal confine inferiore a quella consentita; che la distanza minima delle costruzioni dal confine risultava fissata in m. tre per cui il fabbricato B per tutto il lato fronteggiante il confine era posto a distanza inferiore a quella legale, mentre il fabbricato A solo per un tratto del lato fronteggiante il confine era posto a distanza inferiore a quella legale di m. tre; che le risultanze della espletata c.t.u. erano frutto di accurati accertamenti condivisibili e non contestati dalle parti; che il tribunale aveva rigettato le domande del D.P., tanto di rilascio della parte di fondo occupata quanto di demolizione del fabbricato antistante per violazione delle distanze, sulla base dell’eccezione di usucapione formulata dal C. per cui la porzione di terreno della particella 262 intestata al D.P. sarebbe stata sempre nel suo possesso; che l’assunto non poteva essere condiviso in quanto, come risultava dalle deposizioni dei testi escussi, il possesso esercitato dal C. sulla detta porzione di terreno atteneva all’esercizio di facoltà corrispondenti ad un diritto di servitù di passaggio e non a quello di proprietà;

che nessun accertamento era comunque contenuto nella pronuncia di primo grado in merito alla intervenuta usucapione in favore del C., nè il medesimo era stato mai richiesto da quest’ultimo in via riconvenzionale; che l’usucapione in via di eccezione, aveva riguardato il diritto di servitù di passaggio e non quello di proprietà della porzione di terreno in contestazione; che, non potendo il C. opporre un utile possesso ventennale sulla porzione di terreno dal medesimo occupata e di proprietà del D. P., doveva essere disposto il rilascio della detta porzione di terreno; che parimenti doveva essere disposta la demolizione dei manufatti realizzati dal C. per le parti fronteggianti il confine con la proprietà D.P. e poste a distanza dal medesimo inferiore a m. tre; che, alla luce delle dichiarazioni rese dai testi in primo grado, poteva affermarsi che i manufatti erano stati realizzati a distanza non regolare dal confine nel 1982 per cui non era stato superato il periodo di venti anni antecedenti la notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

La cassazione della sentenza della corte di appello di L’Aquila è stata chiesta da C.R. con ricorso affidato a due motivi illustrati da memoria. D.P.R. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il C. denuncia vizi di motivazione deducendo che, con riferimento ai fabbricati dei quali il D.P. aveva chiesto l’abbattimento – in quanto costruiti in parte su particella di suo proprietà – ed alla contraria eccezione di usucapione sollevata da esso ricorrente in ordine a tale particella, il giudice di primo grado, facendo riferimento ai testi, aveva concluso per l’accoglimento di detta eccezione accertando la violazione delle distanze legali solo in relazione al fabbricato B, restando invece in fabbricato A a distanza di legge. La corte di appello ha invece affermato che esso ricorrente aveva esercitato sulla porzione di terreno de qua un possesso avente ad oggetto una mera servitù di passaggio. La stessa corte di merito ha riportato affermazioni di tali testi che confermavano il possesso “uti dominus” di esso C. il che dimostra che il giudice di secondo grado ha tenuto conto in maniera parziale delle risultanze richiamate nella stessa sentenza impugnata. Esso ricorrente ha posseduto, in quanto l’ha lavorata, la porzione di terra de qua onde ne ha acquisito il possesso ad usucapionem con conseguente erroneità della sentenza impugnata.

La Corte rileva l’infondatezza – e, in parte, l’inammissibilità – delle riportate censure che, pur se titolate come vizi di motivazione, si risolvono essenzialmente nella pretesa di contrastare e criticare l’apprezzamento delle prove operato dal giudice del merito (deposizione dei testi escussi in primo grado) incensurabile in questa sede di legittimità perchè sorretto da motivazione adeguata, logica ed immune da errori di diritto: il sindacato di legittimità è sul punto limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nell’impugnata sentenza. Inammissibilmente il ricorrente prospetta una diversa lettura del quadro probatorio dimenticando che l’interpretazione e la valutazione delle risultanze processuali sono affidate al giudice del merito e costituiscono insindacabile accertamento di fatto: la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione per il solo fatto che gli elementi considerati dal giudice del merito siano, secondo l’opinione del ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione conforme alla tesi da essa sostenuta.

Inoltre si ha carenza di motivazione, nella sua duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, soltanto quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza però un’approfondita disamina logica e giuridica, ma non anche nel caso di valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte.

Parimenti si ha motivazione insufficiente nell’ipotesi di obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice del merito alla formulazione del proprio convincimento ovvero di mancanza di criteri idonei a sorreggere e ad individuare con chiarezza la “ratio decidendi”, ma non anche quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore o sul significato attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, vale a dire l’apprezzamento dei fatti e delle circostanze effettuato secondo i compiti propri di esso giudice di merito.

Nel caso in esame non è ravvisabile il lamentato difetto di motivazione: la sentenza impugnata è corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto.

Come riportato nella parte narrativa che precede il giudice di appello -con indagine di fatto condotta attraverso l’esame degli elementi probatori acquisiti al processo, ossia delle dichiarazioni rese dai testi escussi – ha coerentemente affermato, sulla base di circostanze qualificanti, che il C. aveva esercitato sulla porzione di terreno in questione “facoltà corrispondenti ad un diritto di servitù di passaggio” e “non a quello di proprietà”.

La corte di appello è pervenuta alle dette conclusioni attraverso argomentazioni complete ed appaganti, improntate a retti criteri logici e giuridici – nel pieno rispetto, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, delle regole che disciplinano l’onere della prova e con ragionamento ineccepibile – nonchè frutto di un’indagine accurata e puntuale delle risultanze istruttorie (deposizioni dei testi) riportate nella decisione impugnata. Inoltre la corte territoriale non ha mancato di evidenziare che lo stesso capitolo di prova era stato formulato dal C. nel senso dell’esercizio della servitù di passaggio e non di facoltà connesse al diritto di proprietà.

Il giudice di secondo grado ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esaminando compiutamente le risultanze istruttorie ed esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

Alle dette valutazioni il ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compite dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Va altresì segnalato che le censure concernenti l’omesso o errato esame della acquisita prova testimoniale, oltre che per l’incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, sono inammissibili anche per la loro genericità in ordine all’asserita erroneità in cui sarebbe incorso il giudice di appello nell’ interpretare e nel valutare la detta risultanza istruttoria.

Nel giudizio di legittimità il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze probatorie ha l’onere (per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il contenuto delle prove mal (o non) esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo del lamentato errore di valutazione: solo così è consentito alla corte di cassazione accertare – sulla base esclusivamente delle deduzioni esposte in ricorso e senza la necessità di indagini integrative – l’incidenza causale del difetto di motivazione (in quanto omessa, insufficiente o contraddittoria) e la decisività delle prove erroneamente valutate perchè relative a circostanze tali da poter indurre ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata.

Nella specie le censure mosse dal ricorrente sono carenti sotto l’indicato aspetto in quanto non riportano il contenuto specifico e completo della prova testimoniale indicata nel motivo di ricorso in esame. Tale omissione non consente di verificare l’incidenza causale e la decisi vita dei rilievi al riguardo sviluppati in ricorso.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme di legge sostenendo che la corte di appello, nel condannare esso C. alla rimozione e messa a distanza anche del fabbricato A, ha errato includendo nel decisum una particella mai fatto oggetto di causa da parte del D.P. il quale ha fatto riferimento solo alle particelle 262, 264 e 503. Dalla lettura della sentenza di appello, alla luce della c.t.u., risulta che il manufatto A insiste anche sulla particella 265 (per circa mi. 1,60) la quale non ha mai costituito oggetto di domanda da parte del D.P..

Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Innanzitutto va rilevata la manifesta infondatezza della tesi del ricorrente relativa all’asserito vizio di ultrapetizione di cui sarebbe incorso il giudice di appello nel pronunciare la condanna “a portare il fabbricato A, indicato nella planimetria allegata alla CTU a firma ing. Ca., alla distanza di m. 3 dal confine” ( punto n. 2 del dispositivo della sentenza impugnata).

Al riguardo è appena il caso di osservare che, come risulta da quanto riportato in fatto nello stesso ricorso e nel controricorso, il D.P. con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado ha chiesto la condanna del C. alla demolizione dei fabbricati realizzati da quest’ultimo a distanza dal confine inferiore a quella consentita. Il tribunale ha accolto tale richiesta limitatamente al fabbricato B rigettando la domanda in relazione al fabbricato A per il quale “ritenuta fondata l’eccezione di usucapione per una porzione della particella 262 in favore del C.” ha escluso la “violazione delle distanze” (pagina tre sentenza impugnata).

La domanda rigettata è stata riproposta dal D.P. nell’atto di appello con la richiesta di condanna del C. “ad arretrare il fabbricato indicato con la lettera A nella planimetria allegata alla CTU alla distanza di legge dal confine” (conclusioni dell’appellante riportate alla pagina 2 della sentenza della corte di appello).

Da quanto precede – e da quanto emerge dai menzionati atti processuali la cui lettura è consentita in questa sede di legittimità attesa la natura, in procedendo, del vizio denunciato (ultrapetizione) – risulta evidente l’insussistenza del detto vizio posto che la corte di appello ha accolto una domanda dal D. P. ritualmente formulata in primo grado e tempestivamente ed espressamente riproposta in secondo grado volta ad ottenere la rimozione e l’arretramento di un fabbricato in quanto realizzato dal C. ad una distanza dal confine inferiore a quella legale e ciò senza alcun riferimento specifico alla particella o alle particelle sulla quale o sulle quali era posizionato il detto fabbricato.

In relazione a tale ultimo punto va evidenziato che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta (nè è stato dedotto dal C.) che abbia formato oggetto delle problematiche dibattute dalle parti nel giudizio di secondo grado la questione prospettata dal ricorrente con il motivo in esame concernente l’asserita realizzazione del fabbricato A (in relazione al quale la corte di appello ha disposto la condanna all’arretramento sino al rispetto della distanza a m. tre dal confine “per la parte fronteggiante la particella n. 264”) in parte su “una particella catastale mai fatta oggetto di causa da parte del resistente”, ossia sulla particella 265.

In proposito va richiamato e ribadito il principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio senza necessità di nuove indagini di fatto. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (nella specie non rispettato) di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del gravame, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (tra le tante, sentenze 7/9/2007 n. 18891; 14/6/2007 n. 13958; 29/5/2007 n. 12506).

Il ricorso va pertanto rigettato con la conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 2.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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