Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11820 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. I, 05/05/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 05/05/2021), n.11820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12792/2020 proposto da:

L.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Gregorace, ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via della

Giuliana, n. 32, in virtù di procura speciale posta in calce al

ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 5127/2019,

pubblicata il 25 luglio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9

marzo 2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del 25 luglio 2019, la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da L.C., cittadino proveniente dal (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma del 27 giugno 2017, che aveva respinto il ricorso proposto nei confronti della decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. La Corte di appello ha rilevato, in via preliminare, che l’appellante non aveva depositato il proprio fascicolo di parte di primo grado, contenente il verbale delle dichiarazioni rese davanti alla Commissione territoriale e, decidendo nel merito, sulla base della ordinanza impugnata, ha ritenuto che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, poichè il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal (OMISSIS) perchè non contento del trattamento ricevuto dal suo datore di lavoro e perchè la sottoposizione ad un procedimento penale per il reato di furto non costituiva una forma di persecuzione, nè vi era la prova che il richiedente fosse stato accusato di furto perchè appartenente ad una classe sociale inferiore; non sussistevano nemmeno i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, perchè la situazione del (OMISSIS) era mutata dal 2016 in poi, come affermato anche dal Report Amnesty International e riscontrato dal fatto che il presidente del (OMISSIS), B.A., nel febbraio 2018, aveva annunciato la sospensione della pena di morte e nel gennaio del 2019 aveva inaugurato, insieme al presidente del (OMISSIS), S.M., il ponte sul fiume (OMISSIS), che avrebbe accresciuto notevolmente le possibilità di sviluppo economico della zona; la Corte ha precisato, inoltre, che tenuto conto della situazione del (OMISSIS) non sussistevano nemmeno i presupposti per la concessione della protezione umanitaria.

3. L.C. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a quattro motivi.

4. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omesso esame del verbale di audizione dinanzi la Commissione territoriale e la violazione o falsa applicazione dell’art. 347 c.p.c., comma 3, per la mancata acquisizione del fascicolo d’ufficio.

1.1 Il motivo è infondato.

Ed invero, è principio affermato da questa Corte, applicabile anche al caso in esame, che “L’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, ai sensi dell’art. 347 c.p.c., non costituisce condizione essenziale per la validità del giudizio d’appello, con la conseguenza che la relativa omissione non determina un vizio del procedimento o della sentenza di secondo grado, bensì, al più, il vizio di difetto di motivazione, a condizione che venga specificamente prospettato che da detto fascicolo il giudice d’appello avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi per la decisione della causa, non rilevabili “aliunde” ed esplicitati dalla parte interessata” (Cass., 4 aprile 2019, n. 9498), circostanza questa non verificatasi nel caso in esame, stante la genericità sul punto della censura sollevata dal ricorrente.

Anche con riferimento al deposito del fascicolo di parte in appello, questa Corte ha affermato che “L’art. 348 c.p.c., comma 2 laddove sancisce l’improcedibilità per la mancata presentazione del fascicolo alla prima udienza da parte dell’appellante si riferisce esclusivamente al mancato deposito del fascicolo d’appello, data la specifica ed insostituibile funzione del medesimo al fine dell’esame dell’impugnazione e della sua ritualità, mentre l’omissione inerente al fascicolo di primo grado non svolgendo il relativo deposito una consimile essenziale funzione, ma attenendo soltanto alla prova delle domande e delle eccezioni proposte dall’appellante e, quindi, al merito del gravame, può essere sanata attraverso il deposito eseguito anche successivamente fino all’udienza di precisazione delle conclusioni” (Cass., 15 marzo 1994, n. 2456).

Detto incombente, tuttavia, come si legge nel provvedimento impugnato, pur essendosi il ricorrente riservato di depositare il fascicolo di parte di primo grado, non risulta essere stato adempiuto.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del paese di origine del ricorrente.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 avendo errato la Corte di appello a non riconoscere la protezione sussidiaria, tenuto conto delle attuali condizioni socio-politiche del paese di origine.

3.1 I due motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, non meritano accoglimento.

3.2 Non sussiste l’omesso esame delle dichiarazioni del ricorrente avendo ritenuto la Corte di appello, sulla base del contenuto dell’ordinanza impugnata, che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, poichè il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal (OMISSIS) perchè non contento del trattamento ricevuto dal suo datore di lavoro e perchè la sottoposizione ad un procedimento penale per il reato di furto non costituiva una forma di persecuzione e non vi era la prova che il richiedente fosse stato accusato di furto perchè appartenente ad una classe sociale inferiore.

3.3 Si tratta, peraltro, di plurime ragioni del decidere che non risultano minimamente censurate dal ricorrente, che, in modo estremamente generico, non indica quali parti di dichiarazioni non siano state tenute in debita considerazione dai giudici di secondo grado e la loro rilevanza ai fini della decisione.

Ed invero, in tema di ricorso per cassazione, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass., 14 marzo 2017 n. 6496; Cass., 31 agosto 2015, n. 17330).

3.4 E’ infondato anche l’ulteriore motivo di censura relativo alla mancata valutazione della situazione del paese di provenienza, avendo la Corte di appello affermato che la situazione del (OMISSIS) era mutata dal 2016 in poi, come affermato anche dal Report Amnesty International e riscontrato dal fatto che il presidente del (OMISSIS), B.A., nel febbraio 2018, aveva annunciato la sospensione della pena di morte e nel gennaio del 2019 aveva inaugurato, insieme al presidente del (OMISSIS), S.M., il ponte sul fiume (OMISSIS), che avrebbe accresciuto notevolmente le possibilità di sviluppo economico della zona.

Ciò nel rispetto dei principi affermati da questa Corte secondo cui nei giudizi di protezione internazionale l’esame officioso della situazione generale esistente nel paese di origine del cittadino straniero svolto dal giudice del merito deve essere specifico e dar conto delle fonti di informazione (Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 28 giugno 2018, n. 17075).

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la mancata valutazione del suo grado di integrazione in Italia, alla luce degli attestati di frequenza scolastica prodotti e delle precarie condizioni socio-politiche del paese di provenienza.

4.1 Anche il quarto motivo è infondato, avendo la Corte di appello affermato che, tenuto conto della situazione del (OMISSIS), non sussistevano nemmeno i presupposti per la concessione della protezione umanitaria.

Il ricorrente, peraltro, anche in questa sede si è limitato ad una critica sterile indirizzata alla motivazione della sentenza, senza nulla aggiungere, in concreto, se non un generico richiamo ad attestati di frequenza scolastica, con riferimento alla posizione personale e ad una qualche situazione di vulnerabilità in grado di giustificare le ragioni umanitarie richieste per il permesso di soggiorno.

4.2 Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ed infatti, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza e, tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

Così facendo, infatti, si prenderebbe altrimenti in considerazione, piuttosto che la situazione particolare del singolo soggetto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

5. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Nessuna statuizione va assunta sulle spese, poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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